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Il nuovo teatro è un vero gioiello di architettura. Il particolare che colpisce di più, all’esterno, è il sistema di specchi che dà sulla piazza e che è orientato in modo tale da riflettere quello che non si vede. La guida ci fa l’esempio della torre, in alto a destra. Ci invita a voltarci dietro e a notare che, da dove siamo, non si vede nessuna torre. Non fa cenno però a un particolare allarmante. Non sono l’unico a cercarsi in quella vasta superficie che sovrasta l’ingresso dell’edificio e a non ritrovarsi. Che fastidio, non vedersi in uno specchio. Mi sale il panico perché potrei essere invisibile o, peggio, non esistere proprio.

La guida è una ragazza di un istituto turistico locale che, insieme a tre sue compagne di classe, ci scorta lungo la visita alla struttura. Si avvicina un volontario del FAI – un anziano umarell della storia dell’arte – che la rimprovera di parlare a bassa voce. “Non sono operatrici specializzate”, sembra scusarsi con noi che ci siamo iscritti all’inaugurazione. La prima cosa che penso è di impegnarmi a non diventare vecchio così. A non incattivirmi con i giovani per invidia, o anche per il fatto di avere sempre meno prospettive davanti, a differenza loro. Si tratta di ragazze prestate alla giornata probabilmente con una formula di alternanza scuola-lavoro e che rientreranno a casa da mamma e papà con qualche brochure e dépliant in ricordo dell’iniziativa e nulla più. Ovvio che non sono specializzate, sono lì per imparare. Stanno studiando per fare quel lavoro lì. Mi viene voglia di sottolineare a quel vecchio presuntuoso che è più costruttivo incoraggiare, almeno io con i miei bambini faccio così. Non sopporto la gente sgarbata. Prima di alzare i toni è sempre meglio provare con la gentilezza. La ragazza comunque sa il fatto suo e si libera dell’inutile pensionato in un modo che solo i ragazzi riescono a fare.

Allora ne approfitto per mettere in fila una serie di cose che vanno dalla guerra al cazzotto di Will Smith, passando per la preside che i giornali mettono in home page solo perché è una storia che riguarda l’erotismo degli operatori scolastici – contenuti che fanno click sin dai tempi della supplente nella classe dei ripetenti e che comunque riflettono certe dinamiche evergreen tra i banchi di scuola (e le cattedre) e che ci segnano per tutta la vita – e non arrivo a nessuna conclusione se non alla prof di arte di mia figlia che, a sessant’anni suonati, ha confessato ai suoi alunni di sentirsi depressa per aver passato tutta la vita a fare l’insegnante senza ottenere alcunché. Un pensiero che mi turba così forte che ho paura che qualcuno se ne accorga. Per questo provo di nuovo a cercarmi nel gigantesco gioco di specchi che sovrasta la piazza, senza successo. Voglio vedere se, sopra la mascherina FFP2, traspare qualcosa. Le provo tutte. Cerco dei punti di riferimento ma non serve a nulla. Vedo della gente riflessa ma io non ci sono. Le guide ci invitano a visitare gli interni ma oramai mi sento altrove. Probabilmente sono già tornato a casa senza accorgermene. La gita al teatro finisce ma non ho capito se sono ancora lì. Passo davanti alle studentesse del turistico, le saluto dicendo loro che hanno dato l’idea di essere preparate e molto professionali. Mi ringraziano, ergo sum.

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