Io che sono medaglia d’oro in gentilezza, avrete sicuramente seguito la mia avvincente finale alle olimpiadi di Parigi lo scorso agosto – proprio oggi sono stato ricevuto dal Presidente insieme agli altri azzurri, dicevo che io che sono medaglia d’oro in gentilezza ogni tanto mi prendo tre o quattro giorni di fila di cattivo umore. Faccio lo sgarbato e mi viene da litigare con tutti per certi motivi che dopo, quando riprendo gli allenamenti in vista del nuovo torneo di cordialità, giusto per usare un sinonimo suggerito dalla Treccani, non ricordo nemmeno più. Tempo fa una persona che rispetto molto per la sua determinazione ha pubblicato su un social una foto di sé mentre beve un drink e, nella didascalia, scriveva che ogni tanto le piace prendersi una pausa da se stessa. Ecco, non mi viene una battuta che descriva meglio quello che mi succede in momenti come questo. Anche a me piace cambiare registro, per un po’, anche solo per vedere l’effetto che fa. Ho persino sbottato con mia mamma novantenne perché sostiene che Milano sia una città piena di pericoli. Il fatto è che mica ci vive. Piuttosto, con lei la narrazione mainstream dei tg della Rai di questo periodo di pensiero unicista funziona alla grande. Mi sono indispettito perché non riuscivo a convincerla del contrario. Le dicevo che deve fidarsi di me che sono suo figlio e ci abito, e non di quello che passano in tv. Alla fine ha fatto finta di essersi convinta, ma ho capito benissimo che lo faceva per fare la pace. Poi mi ha guardato mentre si preparava il necessario per l’iniezione di insulina e ha persino detto che non vorrebbe mai essere interrogata da me. Allora ho riflettuto se è mai capitato che quei tre o quattro giorni di fila di cattivo umore che mi prendo ogni tanto siano mai coincisi con dei giorni di scuola, perché in genere sono di cattivo umore quando vado a trovarla ma non perché è lei, piuttosto perché quel posto lì, quello in cui abita e dove sono nato, quella casa sommersa di cose vecchie, malfunzionanti e superflue mi rende intrattabile. Il punto è che quel posto lì lo percepisce e fa di tutto per farmi capire che si è offeso. Interrompe autostrade quando mi metto in viaggio per raggiungerlo, crea code al casello al di là di ogni immaginazione, chiude per lavori il mio panettiere preferito e addirittura, era la vigilia di pasqua, mi ha bucato una gomma contro un marciapiede. Giuro. Va be’, lo ammetto, sono giorni che sono scontroso anche con i miei bambini, per questo lo scrivo qui, sperando di risalire alla causa di questa irrequietezza e tornare al momento prima per evitarlo, come è bene comportarsi. Oggi a malapena ho trattenuto un’espressione di disgusto perché una mia alunna ha portato a scuola i libri appena ritirati dalla cartoleria con le copertine di plastica tutte appiccicose e dall’inconfondibile odore di zucchero filato. Non capisco come sia possibile: i volumi di prima primaria di matematica, stampato e corsivo, persino le letture, scienze e storia. Tutti con la stessa fortissima puzza di dolciumi da luna park, per di più senza le etichette che così ho dovuto metterle io e scrivere il suo nome perché non è ancora capace. Cos’hanno fatto, a casa? Li hanno disposti in fila sul tavolo e poi ci hanno fatto merenda sopra? Quell’odore di zucchero filato è passato sulle mie mani e anche i libri dei compagni, a contatto con il suo nell’armadio di classe, domani non saranno da meno. Ma poi è finita che ho pensato che è una bambina, che ha genitori un po’ disattenti, che non è certo colpa sua che ha sei anni e che, anzi, forse a lei che ha appena cominciato la scuola primaria è un profumo che dà sicurezza. A suo modo una madeleine. Ed è un peccato che non sappiano ancora scrivere, a quell’età, davvero, perché ne uscirebbero storie mica male.