Una volta viaggiavo abbastanza spesso per lavoro e, quando mi era possibile, rientravo a casa portando qualcosa acquistato in trasferta. Tortellini a Bologna, cannoli a Catania, piadine industriali in Romagna, una boccia magnum di amarone dal Veneto e persino una confezione famigliare di carta igienica ricevuta in omaggio, dono di una fabbrica ubicata nel principale distretto produttivo del settore in Toscana. Spostare specialità del luogo da un posto all’altro è una pratica che probabilmente è composta della stessa sostanza del commercio export, non mi intendo di economia quindi potete confrontarvi tra di voi mentre metto un disco. A conferma di quello che dico ci sono persino leggende metropolitane come quella della focaccia comprata a Genova che, scollinato il Turchino, perde croccantezza e aumenta volume diventando mandrogna (giustamente si attraversa l’alessandrino) e, giunta a Milano, la puoi usare per lavare i piatti – la pasta – e per lubrificare i pistoni del motore – l’olio – grazie alla precisione con cui le condizioni ambientali contribuiscono a separare le componenti. Nonostante questo, i colleghi padani che ne beneficiavano non andavano tanto per il sottile. Qualunque materiale riconducibile alla principale specialità ligure a colazione – rigorosamente pucciato in qualsiasi bevanda prodotta dalle cialde come impone la tradizione rivierasca – risultava oltremodo gradito andando a ruba in tempo per il primo staff meeting della mattinata.
Operare nella scuola invece non comporta questo genere di trasferte di lavoro giornaliere o di brevissimo termine, a parte Didacta e altre perdite di tempo del genere. Ci sono le tratte migratorie con la T maiuscola dal sud al nord, questo sì, ma durano il tempo di una supplenza annuale, anche se i rientri dopo le vacanze e i ponti lunghi dei colleghi più zelanti nello stringere legami sono un’inestimabile occasione per gustare dolcetti e altre prelibatezze meridionali. Chi invece fa armi e bagagli e si trasferisce di sana pianta – pensate a chi entra in ruolo al nord e quindi volente o nolente impiega anni a ottenere uno straccio di trasferimento – tiene strette le sue radici. L’accento non si stempera mai e le occasioni in cui sfoggiare teglie di melanzane alla parmigiana (fritte e rifritte prima dell’inforno) o spacciare nduja tra i corridoi sono costantemente dietro l’angolo. Per questo mi sorprendo sempre ogni volta in cui qualcuno mi fa notare che la mia cocina ligure non si percepisca affatto. Chissà quando e dove l’ho smarrita. Nessuno mi chiede nemmeno più se mi manca il mare, elemento di cui facevo a meno persino quando abitavo a qualche centinaio di metri dal bagnasciuga. Una cosa a cui non so resistere però sono i canestrelli di Sassello confezionati che si trovano nel distributore in aula docenti. Sapete come funziona, vero? Più un prodotto va a ruba, più viene confermato da chi si occupa del refill. Ed è per questo che non perdo occasione di fare merenda – anche per il break di metà mattinata – con una confezione di canestrelli di Sassello accompagnata da quella brodaglia al sapore di caffè macchiato della macchinetta a fianco. I canestrelli tipici delle mie parti, a onor del vero, si trovano anche al supermercato e se mi rifornissi su più ampia scala alla grande distribuzione sono certo che risparmierei.
Tutto questo per rimandare il più possibile una cosa che apparentemente non c’entra nulla. La mia gatta è conciata malissimo, è vecchia e il veterinario sostiene che c’è poco da fare, anche se attende l’esito delle analisi del sangue per dare un parere più preciso. Ho aspettato troppo per il controllo perché avevo paura che mi proponesse di sopprimerla, allo stesso modo in cui oggi non riuscivo a scriverlo qui. Sono anche profondamente deluso da me stesso per non essere tutt’ora in grado di assumermi responsabilità come queste, far visitare la gatta e scrivere cosa c’è che non va qui. Vabbè. Sarà per il prossimo blog.
Certi pensieri non vogliamo proprio che ci si fermino in testa. Mi sembra un modo per non anticipare un dolore che comunque arriverà. Una carezza lieve alla tua gatta.