Non ho ancora ben capito cosa voglia dire invecchiare ma se avete qualche dritta da darmi ogni suggerimento è il benvenuto. Talvolta mi capita di riflettere sull’argomento grazie a qualche spunto fornito dai libri che leggo, dai film e dalle serie tv, oppure semplicemente osservando e ascoltando persone in carne e ossa. Rifletto sulle esperienze altrui, presunte o autentiche o anche solo ispirate da fatti avvenuti realmente, provo a sovrapporle al mio vissuto – passato, presente e futuro – e cerco di trarre degli insegnamenti più che delle conclusioni, anche se poi, al lato pratico, torna tutto come prima. Trascorro il tempo libero ad ascoltare band di venti o trentenni americani e inglesi che si rifanno ai Killing Joke e ai Joy Division, ragazze e ragazzi che potrebbero essere miei nipoti, ma poi lo noto il contrasto con il riflesso che vedo di sfuggita sulle superfici lucide quando cammino, nonostante cerchi di evitare come la peste gli specchi fatti e finiti. Manca la corrispondenza che certe convenzioni sociali impongono tra come ci si deve sentire e come veniamo percepiti all’esterno e, nonostante colga di continuo le molteplici conferme di questo disallineamento e le conseguenti inadeguatezze, faccio fatica a trovare una soluzione. Anzi, a dirla tutta, non riesco proprio a capire come sia possibile arrendersi, se di resa si tratta.
Vi faccio un esempio. Ho avuto l’occasione di seguire qualche frammento – notate che mi vergogno non poco ad ammettere di essere arrivato fino in fondo a episodi interi – della trasmissione “The Golden Bachelor”, in onda sul canale Real Time. Dovete credermi però rispetto al motivo per cui l’ho scoperta. Il programma va in onda in coda a “Casa a prima vista”, format per il quale nutro una smodata quanto irrazionale passione. La spiegazione di tanto entusiasmo per i sei agenti immobiliari che si alternano tra Milano e Roma deriva da un latente trasporto per il design degli interni unito a un sentimento che non saprei definire per l’architettura (e gli architetti), mentre poi – ed è paradossale – non stimo particolarmente i venditori di appartamenti a partire da quello che, non mi spiego ancora come ci sia riuscito, si è procurato il mio numero di telefono perché qualcuno, per farmi uno scherzo, gli ha detto che casa mia era in vendita. Figuriamoci. Non mi separerei mai dagli ambienti da cui vi sto scrivendo. Mi ha chiamato e gli ho smentito la diceria, lui non contento si è presentato due volte qui sotto fino a quando ha preso coraggio e mi ha intercettato per chiedermelo di persona. Ho un sospetto su chi gli abbia potuto fornire i miei contatti e certe informazioni false. Ho un vicino che vota sicuramente Salvini ed è in pensione da quando ha compiuto 54 anni. Lo incrocio sempre, quando esco, nei pressi del nostro condominio con il suo cane di merda mentre fa finta di telefonare per non salutare o fermarsi a chiacchierare con i vicini, nonostante a nessuno verrebbe mai in mente di scambiare due parole con un potenziale serial killer così. Quindi, per tornare a noi, vai a sapere come nascono certi interessi.
Comunque è successo che, al termine di una puntata di “Casa a prima vista”, mi sono involontariamente esposto alla visione di “The Golden Bachelor” un mercoledì sera e, in una delle classiche sessioni di spegnimento del cervello e dell’elusione delle barriere inibitorie del giudizio dopo una stressante giornata lavorativa, mi sono lasciato sommergere da questa specie di incrocio tra “XFactor”, “Uomini e donne” e uno di quei dozzinali programmi in cui le persone si incontrano per conoscersi e finire a letto dopo essersi destreggiati in una qualsiasi forma di competizione tra di loro: seminudi in un’isola selvaggia, circondati da veline e tronisti tentatori quanto burini, abbinati a cazzo per un improbabile primo appuntamento a puro scopo di audience.
Conoscerete sicuramente anche questo, di format: uno scapolo ha a disposizione una sorta di harem composto da una decine di donne tra le quali deve scegliere l’esemplare con cui intraprendere una storia romantica che, sulla carta, dovrebbe essere quella decisiva. A ogni puntata ne prova una o due, nel senso che le sottopone a qualche pratica d’antan presa da un fotoromanzo rosa fino poi comunque a limonarsele – come biasimarlo – e ne scarta un paio fino a quando, immagino perché il programma è ancora nel pieno della gara, resteranno le finaliste e infine la vincitrice. Che poi, diciamocelo, di che premio si tratta? Comunque, sia il protagonista sia le concorrenti sono tutte persone piuttosto attempate. Divorziate e vedove, reduci dai più disparati vissuti personali e intimi, che per un motivo o per l’altro hanno deciso di mettere i propri sentimenti alla berlina e regalarsi questa sorta di favola d’antan in piazza. Non entro nel merito delle trame che a ogni episodio si dipanano. Il punto è che, quando scrivo concorrenti attempati, intendo donne e uomini a grandi linee miei coetanei. Lo scapolo ha tre anni in più di me, le sue pretendenti sono in un raggio di età coerente e potrebbero tranquillamente esser state mie compagne di classe o di università.
Nel corso dell’ultimo episodio, tutto incentrato sul potere seduttivo della danza, Massimiliano Pace – questo il nome del bachelor d’oro – se non ho capito male ha sostenuto di aver ridotto, da giovane, a un uso strumentale la canzone “Kiss” di Prince con l’obiettivo di sbaciucchiare ragazze in pista da ballo sfruttando il punto in cui si sente la riproduzione a tempo dell’inconfondibile schiocco delle labbra. Lui è un uomo attraente e sicuro di sé e immagino che in discoteca abbia fatto scintille. Il fatto è che “Kiss” è un brano dell’86 e io avevo diciannove anni, e anche se nei locali che bazzicavo io i dj se ne guardavano bene dal mettere una qualunque canzone di Prince, mi sono reso conto proprio in quel passaggio di avere in comune con il protagonista della trasmissione un trascorso da coscritto. In poche parole, in quella trasmissione potrei esserci io, da un punto di vista anagrafico. Il punto è che lo scapolo conteso, a vederlo così, a interpretare la percezione che ne ho io, mi sembra mio nonno, nonostante ci separino una ventina di mesi. Io non mi vesto come lui, non vado a cavallo, non parlo così, ho dei trascorsi da adulto decisamente più ordinari e soprattutto non ballerei mai il tango con una donna per cogliere l’intesa ma, al limite, “Charlotte Sometimes” o “Love Like Blood” o “Shake The Disease”.
Con lo stesso metro di giudizio, le concorrenti mi sembrano mia nonna nonostante siano donne decisamente attraenti e in forma, malgrado l’età. Si vestono giustamente con vestiti eleganti da sciure e nessuna, per dire, calza anfibi o Camper. Un altro aspetto che mi ha colpito è che sono a grandi linee coetanee anche di molte delle mie colleghe maestre e, riflettendoci, anche loro le vedo così, molto più grandi di me di almeno un paio di generazioni, quando magari invece sono più giovani ma, nel comportamento, mi superano ampiamente in maturità.
Non solo. Le concorrenti di “The Golden Bachelor”, lì a più o meno sessant’anni in versione single a valle di esperienze di coppia per motivi diversi fallimentari, indurite nel temperamento dalle traversie sostenute e non sempre risolte, manifestano un forte – e legittimo – desiderio di abbandono all’uomo ampiamente superato. Un anelito di resa che non nascondono al loro partner in potenza, in cui ricercano il ruolo protettivo da film americano anni cinquanta, come se decenni di emancipazione femminile e di conseguente rieducazione maschile non fossero mai esistiti. Al termine di ogni episodio, consumate tutte le prestazioni necessarie a creare un’intesa con le concorrenti, lo scapolo consegna rose alle donne che, superata la prova, passano al turno successivo. Ogni volta due restano sul campo, fanno armi e bijoux e tornano piccate e deluse alla loro dimensione privata e, da come l’hanno presentata, incompleta. Donne che cercano protezione e rose salvifiche in omaggio è un connubio di luoghi comuni che mi lascia attonito. Spero che anche voi cogliate la portata diseducativa e deviante di pratiche come questa e di un programma davvero ai confini della realtà. La rosa, poi, è un presente dal significato oltremodo svilente. Non è più romantico un libro o un disco?