Offlaga Disco Pax – Alcatraz Milano, 08-10-25

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È l’Alcatraz a ospitare la celebrazione dei 20 anni di “Socialismo Tascabile” programmata inizialmente al Castello Sforzesco per il 2 settembre, poi rinviata per maltempo. Il bicchiere mezzo vuoto? È un vero peccato. I concerti estivi all’aperto, al netto degli insetti, sono decisamente più divertenti, l’acustica è superiore (con l’Alcatraz si vince facile) e poi volete mettere la splendida cornice? Nel bicchiere mezzo pieno però c’è la toccante coincidenza con il quarantottesimo compleanno di Enrico Fontanelli, il padre fondatore del progetto scomparso troppo presto, a cui Max Collini dal palco dedica il primo e l’ultimo pensiero, e che crea un’occasione irripetibile per il momento culminante di questa serie di eventi dedicati a uno dei più fortunati dischi d’esordio dell’indie italiano. Un tour partito con il freno tirato e poche date ma che, vista la risposta del pubblico, è stato intelligentemente prolungato fino a qui.

Quella di ieri è stata la seconda data milanese, dopo la tappa ai Magazzini Generali del 30 marzo, serata con la quale è doveroso un paragone, tutt’altro che polemico. Gli Offlaga Disco Pax di oggi risultano sicuramente più affiatati e allenati a tenere lo spettacolo rispetto ai primi live della reunion, ma pagano qualcosa in spontaneità. Tuttavia, sulla resa complessiva, non c’è nulla da recriminare. Anzi, anche all’Alcatraz la band è vittima di un problema tecnico: salta l’amplificazione del basso alla prima battuta di “Robespierre” smorzando un po’ il climax per la hit conclusiva (più di una volta richiesta dall’unico esagitato tra il pubblico), proprio come ai Magazzini uno dei marchingegni vintage pilotati da Mattia Ferrarini era andato in tilt. Il bello della diretta e la prova che dal vivo la band non usa basi ma esegue tutto dal vivo.

Più di un plauso va alla temeraria Alessia Zappamiglio, in arte Miglio, il cui merito di supporter non è solo l’essersi immolata in apertura ai convenuti per un rito collettivo come i fan di Collini e soci. Quello degli Offlaga è un pubblico proverbialmente democratico e diligente, che ha saputo prestare la dovuta attenzione all’opening act della giovane cantautrice bresciana, apprezzandone la scaletta. Il coraggio di Miglio, piuttosto, è nella proposta di un genere tutt’altro che semplice. Elettronica raffinatissima e un cantato decisamente originale che impone ascolti attenti. Nell’insieme, però, troppi pochi pezzi per consentire un quadro più approfondito della sua arte. La sua apparizione sul palco avrebbe meritato più tempo a disposizione.

Gli Offlaga Disco Pax, puntualissimi come da programma, confermano la stessa scaletta del resto del tour: un focus su “Socialismo Tascabile”, qualche estratto dagli altri due dischi, un credibilissimo revamping techno punk di “Allarme” dei CCCP e qualche battuta strumentale di “Atmosphere” dei Joy Division, eseguita come tributo a Fontanelli. Ancora tante le grandi assenti, come “Respinti all’uscio” e “Lungimiranza”, ma il repertorio della band ha pochissimi brani trascurabili e, a prescindere da qualunque scelta, vada come vada la scaletta non risulta mai vergognosa. I suoni dell’Alcatraz non sono il massimo, almeno dal punto che mi sono assicurato presentandomi nel locale con un anticipo prudentissimo. Dalla piccionaia dietro al mixer – quel rialzo in prossimità del bar da cui si gode una vista senza confronti sul palco – spesso i bassi risultano un po’ impastati, complice forse anche il ridimensionamento dello spazio a disposizione ricavato con tendaggi intorno a una piccola parte della platea, un’area sicuramente sottodimensionata rispetto al pubblico intervenuto.

Ma poco importa. Il concerto conferma, canzone dopo canzone, lo spirito di una riunificazione che da tempo il popolo degli Offlaga chiedeva con affetto. Collini, arguto e ironico come sempre, riesce a dirigere i passaggi più iconici dei suoi testi per declamarli a tempo con il pubblico, impaziente di sottolineare le citazioni ormai riconosciute – dopo anni di rilanci soprattutto sui social – dei veri classici non solo della nicchia indie ma di una platea più popolare. “Ha la faccia come il culo”, “la fabbrica!”, “ci hanno davvero preso tutto”, per non parlare della meravigliosa toponomastica corale con cui si conclude “Robespierre”, fino alla pioggia di confezioni di Tatranky verso la platea. Un tripudio quasi proustiano in cui viene spontaneo chiedersi se Enrico Fontanelli fosse ancora tra noi, quante suggestioni ci avrebbero ancora donato gli Offlaga Disco Pax. E chissà, forse nella malinconica ma rassegnata contingenza della serata, il busto di Lenin nell’omonima piazza di Cavriago ha davvero versato lacrime bianche come le navi del porto di Arcangelo.

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