l’estate e i libri

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Da quando non faccio più il pendolare perché vado al lavoro in automobile, purtroppo, leggo sensibilmente meno di prima. Il problema che a casa poi mi metto a fare dell’altro e alla sera, a letto, non riesco ad andare oltre una manciata di righe. Crollo immediatamente e vivo nel senso di colpa di non poter leggere più tutto quello che vorrei. Così sono partito per la Sardegna con un borsa piena zeppa di romanzi americani. Uno l’ho divorato durante il viaggio in nave, il secondo l’ho già terminato nei primi due giorni di campeggio e domani inizio finalmente il nuovo di Richard Powers, “Il sussurro del mondo”, un volume gigantesco che spero mi tenga impegnato almeno per il resto della settimana. Non vedo l’ora.

se vi interessa sapere come ho organizzato la mia vita da lettore, ecco qualche dritta che magari può tornarvi utile qualora siate indecisi su come pianificare la vostra

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Se vi interessa sapere come ho organizzato la mia vita da lettore, ecco qualche dritta che magari può tornarvi utile qualora siate indecisi su come pianificare la vostra. Ho iniziato a trarre piacere dalla lettura solo all’università, forzato a imparare qualcosa dai romanzi del novecento. Ma da quel momento lì è sbocciato un irrazionale e compulsivo fanatismo per la letteratura principalmente italiana del secolo breve che, romanzo più o romanzo meno, credo di aver smarcato in modo a tratti ossessivo quasi nella totalità (o, meglio, credo di aver letto la maggior parte dei cosiddetti classici, ché leggere la totalità di quanto scritto nel novecento è impresa titanica). Tutto questo fino a circa trentacinque anni o giù di lì. All’improvviso, complice la “Trilogia di New York” di Paul Auster e qualche racconto di Carver sottopostomi da amici, ho virato direzione ma con lo stesso approccio dedicandomi come un pazzo alla narrativa statunitense contemporanea.

Forte dell’esperienza precedente, ho deciso di proseguire con questa ossessione – sempre che la salute me ne dia le possibilità – fino ai sessant’anni. Ora seguitemi nella considerazione successiva. In media leggo tre libri al mese. Supponendo di campare fino agli ottanta, mi resteranno solo 3x12x20 libri da leggere, per un totale di 720 romanzi. Ecco, credo che quei 720 romanzi saranno una sorta di “the best of” di tutto quello che ho letto in passato. Quello che mi è piaciuto di più del novecento italiano e quello che mi è piaciuto di più di questo primo secolo americano, con qualche digressione nella letteratura russa (avete capito quale) e uno “speciale” Proust da giocarmi come jolly. Non so che effetto faccia rileggere i libri, a me è capitato pochissime volte, ma penso che da vecchio (quindi tra poco) possa risultare un’esperienza avvincente. Vi saprò dire.

la letteratura non interessa quasi più a nessuno

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La letteratura non interessa quasi più a nessuno. Non so come fossimo messi prima ma se volete vi faccio una veloce statistica prendendo come campione la manciata di persone che incontro sui mezzi mentre vado al lavoro lungo una tratta che consente di mettersi comodi, inforcare gli occhiali chi ne ha bisogno e leggere qualcosa. E voi dieci (a essere ottimisti) che state leggendo qui non venite a dirmi che quel robo portatile che avete tra le mani non ha contribuito a diminuire il tempo che passate sui libri. Secondo me su cento siamo in quattro o cinque, e su quattro o cinque in tre scriviamo anche e quindi, anche se nessuno di noi tre fa Franzen di cognome, è facile dimostrare che una buona fetta della popolazione appassionata di libri è composta da addetti ai lavori o gente a cui gli piacerebbe esserlo. Qualche sera fa ho partecipato a un incontro con gli inventori di una piattaforma on line di crowfunding di letteratura, un’idea di per sé super-affascinante. Proponi il tuo manoscritto, viene valutato da una redazione, se passa la prima fase puoi pubblicare l’abstract con qualche pagina dello scritto sulla piattaforma. Trattandosi di una community che è in grado di attrarre sia autori che lettori non direttamente coinvolti, può anche avere il suo peso il passaparola che nel mercato massificato come lo vediamo noi potrebbe sembrare anacronistico, se non altro per il corto circuito di informazioni nelle nostre micro-società chiuse, ma invece pensate alla viralità di certe iniziative che ci passano sotto il naso centinaia di volte al giorno su Facebook. L’idea punta proprio sul marketing di sé volto a convincere amici, parenti e contatti vari sui social a contribuire al raggiungimento in un tempo circoscritto di una soglia minima di copertura di spese di partenza, oltre la quale il libro può essere stampato o distribuito a chi ha investito nella tua opera. A questo punto la start up dietro la piattaforma si fa promotrice della pubblicazione e distribuzione del libro su vari canali di vendita, on line e al dettaglio. Non so voi, ma il mio problema è duplice. Se avessi qualcosa da far leggere a qualcuno mi vergognerei troppo di mobilitare amici e parenti a contribuire all’obiettivo, e quando ho tempo per leggere qualcosa tra uno come me e Franzen non ho dubbi su chi andrebbe la mia scelta. Lo so, se tutti facessero come me la letteratura, che già non interessa quasi più a nessuno, sarebbe in via di estinzione, ma forse è proprio così.

meglio un racconto o una storia lunga come un libro?

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Non è assolutamente vero che i racconti o li odi o li ami, perché è vero che qualcuno è di questa opinione ma ci sono, come al solito, delle sagge vie di mezzo. Io per esempio vado a periodi, ma devo ammettere che in genere preferisco i romanzi alle storie brevi. Non è certo stato il caso di Carver o di Grace Paley o quell’inquietante sicurezza degli oggetti di A. M. Homes che, come alcune delle vicende di America Oggi di Altman, sono state adattate per il cinema in una versione davvero niente male di cui al momento mi sfugge il regista. Ho letto tempo fa anche una bella raccolta di Stuart Nadler dal titolo “Nel libro della vita e altri racconti” e ce ne sono anche un paio davvero imperdibili, secondo me, di Richard Ford. Ho dimenticato di aggiungere prima che c’è anche il punto di vista dello scrittore, sulla stesura dei racconti. C’è chi dice che è più difficile rispetto a un libro vero e proprio perché è complesso condensare in poche pagine delle storie credibili, ma a me sembra invece più semplice almeno come approccio. Quante volte mi viene voglia di prendere qualcuno di questi post qui e farne una raccolta così, tanto per fare qualcosa. Comunque tutta questa era l’introduzione a una scrittrice che ho scoperto solo ora e che si chiama Lorrie Moore. Ho preso in biblioteca l’ultima pubblicazione uscita quest’anno, dal titolo “Bark” e vi metto anche il link per saperne di più. Avete presente quegli amori a prima vista che, nel caso degli autori letterari, si dice amore alla prima parola? Ecco. Si tratta di una prosa molto intelligente e divertente, a volte cinica e spietata come solo la realtà può esserlo. Storie che non sfigurerebbero in un film di Todd Solondz. Insomma, se avete già letto Carver, Grace Paley, A.M. Homes, Richard Ford e Stuard Nadler, dateci dentro con Lorrie Moore, di materiale ce n’è a bizzeffe.

la vita nelle copertine dei libri

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Se avete abituato i vostri pargoli a leggere libri sin dalla tenera età avrete senz’altro osservato come l’editoria per ragazzi cambi e segua la loro crescita cercando di soddisfarne man mano il gusto, per ovvi scopi di marketing ma non è un aspetto che ci offende più di tanto, a noi puristi della letteratura. Anzi, devo ammettere che le pubblicazioni per le età dai zero a sedici anni tutto sommato sono le più curate, da un mero punto di vista estetico. Motivato come tutti voi a esercitare il diritto di selezione all’ingresso, tuttavia non ho controllato tutto quanto mia figlia ha chiesto di leggere e anzi, negli ultimi anni ho incautamente abbassato la guardia sui contenuti, consentendole maggiore autonomia sulla scelta dei titoli.

Ma, ancora oggi, quando entro in una libreria o mi reco in biblioteca provo un po’ di invidia per la cura con cui si attira l’attenzione dei ragazzi mentre, a noi adulti e vaccinati, si riserva un trattamento standard basato – giustamente – su autori, titoli, copertina e fascetta con endorsement più o meno altisonante per indurci alla scelta. Il punto è proprio questo: la capacità di attrattiva dei libri è inversamente proporzionale all’età a cui sono rivolti, non sembra anche a voi? Questa parabola la possiamo osservare nelle nostre case, settimana dopo settimana, mese dopo mese, anno dopo anno. I nostri figli crescono e le letture si fanno sempre meno colorate e illustrate, questo perché ci saranno studi che provano che più si diventa grandi e più si amano le righe fitte e le edizioni tradizionali, anche perché sarebbe impensabile impaginare un qualsiasi romanzo come un testo qualunque per la pre-adolescenza a meno che non sia pensato in fase di stesura proprio così. Ma ve lo immaginate un Jonathan Franzen che farcisce le sue Correzioni con illustrazioni, iniziali miniate, caratteri a fumetti?

Ecco: nel giro di poco tempo mia figlia ha compiuto proprio questo giro di boa. Prima ha portato a casa dalla biblioteca della scuola qualche testo per le vacanze che, impilato di costa sullo scaffale, si confonde tranquillamente con la narrativa che mia moglie ed io abbiamo scelto da portare in ferie. Stessa altezza, stesso spessore, stessi colori. Dove sono finiti quegli album alti e così pieni di fascino che veniva voglia anche a noi genitori di immergerci nelle storie in essi contenuti? Sembra che tutto, in questa società, sia volutamente indotto a convergere verso un’estetica e un’etica seriosa perché, probabilmente, al netto di tutte le stupidaggini della fanciullezza, nella vita c’è ben poco da scherzare. Oggi poi ho ricevuto dal servizio abbonamenti della Mondadori un’offerta per confermare l’iscrizione a Focus Junior, rivista che mia figlia legge da qualche anno. Mi sono trattenuto dall’acquisto dell’abbonamento per il 2016 perché ho pensato che, sull’onda di tutti i cambiamenti a cui stiamo assistendo, era meglio chiedere prima le sue intenzioni. Provate a indovinare qual è stata la risposta. Un altro pezzo di storia che se ne va, un nuovo capitolo che inizia, nuovi interessi che si fanno spazio nel carattere di una persona che cambia di giorno in giorno.

il fantasma di Tom Joad

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Che combinazione. Le ultime dieci pagine le affronto spesso in una manciata di stazioni prima di scendere, d’altronde è il treno la principale location in cui noi commuter, i pendolari insomma, esercitiamo la maggior parte della nostra passione preferita, sempre che non ci capiti a fianco qualche chiacchierone. Così mi ritrovo a lottare tra due approcci opposti: da una parte, il desiderio di non abbandonare la cosiddetta confort zone (un inglesismo che oggi va di moda di brutto) che mi sono ritagliato intorno con il romanzo che sto terminando, quindi centellinare parola per parola, sillaba per sillaba, la storia e cercare di giungere al finale il più lontano nel tempo possibile. Dall’altra invece la smania di arrivare a scoprire la frase conclusiva, con il rischio però che l’ultima pagina non coincida con gli ultimi metri di viaggio e, conseguentemente, cercare di accelerare la lettura con il rischio di lasciarsi sfuggire qualche passaggio determinante. Di certo è che, ogni volta che mi appresto a concludere la lettura di un romanzo e mi trovo in quelle dieci pagine, e che sia su un treno o a casa o su una spiaggia, mi viene da misurare lo spessore di quanto già letto e da valutare al chilo l’esperienza di lettura. Guardo tutte quelle pagine dalle quali sono passato e mi meraviglio, ogni volta, di essere giunto così lontano. E tutto perché una volta mica ero così. Iniziavo un romanzo e dopo l’entusiasmo delle prime dieci pagine il libro restava spalancato sul comodino come una danzatrice rimasta incastrata in una spaccata. Poi qualche mese dopo ci riprovavo ma il risultato era poco differente. Ho imparato ad arrivare fino in fondo con libri che era impossibile che non ti prendessero, storie che ti accolgono dentro e non ti mollano fino alla quarta di copertina. Uno di quei libri lì è stato “Uomini e topi”, e potete immaginare perché. Ora, per dire, mi mancano dieci pagine alla fine di “Furore”, non sono in treno e né su una spiaggia ma ho voluto lo stesso fermarmi per segnare questa sensazione, che per un libro di questo spessore – in senso proprio e lato – è talmente enorme che non riuscirei mai a descriverla. Dico solo che a leggere Steinbeck ci si rende conto di quanto sia piccolissima la letteratura contemporanea, ma forse sono i tempi che viviamo a essere piccolissimi.

il peso della narrativa e la leggerezza dell’essere

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A differenza dei nativi digitali e degli invecchiati analogici, io che sono uno zoticone ignorante degno rappresentante dei cresciuti catodici ho avuto poca dimestichezza da ragazzo con la lettura, trascurata rispetto a media tiepidi come i fumetti, più caldi come dischi e musicassette, se non roventi come, appunto, la tv. Quindi almeno fino ai venti anni abbondanti mi sono dedicato più che altro alla narrativa che il palinsesto educativo imponeva, mi riferisco doveri scolastici che portavo a compimento solo per meri fini valutativi. Così uno dei primi libri che ho letto di mia volontà è stato “L’insostenibile leggerezza dell’essere”, ma solo perché era un best seller, una moda molto anni ottanta, insomma. L’antesignano di tanti successi letterari paragonabili alle code per l’iPhone 6 e, come sovente accade, ampiamente sopravvalutato e obbrobriosamente commerciale.

Ma, giudizi sommari a parte, lego solo al libro di Milan Kundera la prima sensazione provata di una sterile trama che si consuma muovendo il peso del supporto cartaceo non rilegato dalla parte destra, pagina dopo pagina, verso la parte sinistra. Gli spessori dell’una e dell’altra che variano in misura inversamente proporzionale man mano che si avvicina la fine e la lettura, in tutto questo, come una cosa a sé, un ambiente in cui uno abituato a ben altre più pigre esperienze – come ero io ai tempi – riesce a muoversi solo tenendosi ben stretto a una balaustra a ridosso della narrazione, un supporto utile a darsi lo slancio per fuggire, alla minima distrazione, da questa parte del libro.

Ma la cosa sorprendente consiste nella sorpresa finale, la quarta di copertina che mi ha indotto a una riflessione a grandi linee riassumibile in una sola domanda: e ora che me ne faccio? Perché la finalità dei Pavese, dei Pirandello e di un Manzoni stesso appresi perché parte di un programma di studi fornivano comunque una serie di crediti fittizi per ottenere il pass finale al futuro, una sorta di raccolta di bollini per un’offerta speciale di opportunità professionali successive. Ma quell’Adelphi azzurro acquistato e passato in rassegna perché “usava”, che cosa ha lasciato a parte lo sforzo di portarlo a termine e l’illustrazione della nudità femminile in copertina? E voi, qual è stato il primo libro – narrativa per ragazzi a parte, perché ha avuto più influenza “I ragazzi della via Pal” nella mia vita che qualsiasi altra opera letteraria – che avete scelto di leggere in autonomia, al di fuori dalla lista dei suggerimenti della prof. di Italiano? E che cosa vi ha lasciato?

natura morta e nemmeno io mi sento troppo bene

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Il problema non è tanto non essere in grado di descrivere le stagioni e tutto ciò che comportano. Questo genere di osservazione della natura e di ciò che ci circonda porta dei frutti solo se ciò che si cerca di raccontare è sufficientemente romanzabile. Ma alla lunga vedere sempre gli stessi posti nei quali scavando a fondo si trovano sempre gli stessi particolari rompe i maroni. Se vivete come me nei dintorni di Milano troverete ben pochi dettagli da cogliere e utilizzare come scenario per il vostro storytelling. Il cielo per esempio ha due modalità, acceso e spento, ovvero il sereno che si alterna al classico controsoffitto grigio hinterland, quel lastrone che copre le nostre vite indipendentemente dal mese in corso, senza variare nemmeno la tonalità. In questo contesto binario la gamma e le sfumature si riducono già di un buon ottanta per cento – sto sparando a caso – e nulla del contesto vi verrà incontro. Poi se siete come me e non notate se i fiori dell’aiuola nel mezzo della rotatoria o quella all’incrocio con il semaforo dove sosta il profugo senza una gamba che chiede l’elemosina sono fioriti, le foglie sono ancora appese ai rami o giù insieme alle cartacce che nemmeno gli operatori ecologici hanno il coraggio di districare, farete fatica a collocare anche solo un vostro pensiero in una cornice temporale. La differenza e l’alternanza la scandiscono solo l’abbigliamento, forse, perché senza nebbia e senza mare basta distrarsi un po’ e ci si dimentica persino del nome del centro commerciale in cui si sta facendo passare un sabato pomeriggio. Quando si posano le cavallette sul balcone e i gatti me ne fanno uno sgradito omaggio è il segnale che l’autunno ha preso ritmo, e il ciclo riprende mentre tutto intorno le persone starnutiscono fiaccate dall’allergia all’ambrosia. C’è poi il tempo dei furti in casa, arrivano le giostre in paese e si sa che gli appartamenti iniziano a stiparsi di regali di Natale sempre più costosi per figli sempre più tecno-dipendenti, tutto ciò fa gola agli acrobati come allo stesso modo spariscono borse e borselli dalle auto nei parcheggi dell’Esselunga mentre i clienti lasciano per qualche istante la spesa incustodita per riporre il carrello e negare l’euro al questuante nomade in servizio. A quel punto si entra davvero nel tunnel del grande freddo fino a quando la stagione delle pioggie porta sollievo a chi latita dagli autolavaggi per poi sublimare nell’esplosione delle infiorescenze con quell’odore che i più associano allo sperma umano che si diffonde ovunque. Nelle case e negli uffici che aprono le prime finestre mentre nel resto dello stabile i più anziani lottano per mantenere ancora un po’ il riscaldamento acceso. Nei pressi dei vivai dove si fa la coda per portarsi a casa un po’ di natura finta e artificiale dal ciclo di vita breve quanto la passione che i vegetali possono suscitare. Nelle esposizioni dei megastore di articoli sportivi in cui attrezzature e abbigliamento per il tempo libero vanno a ruba fino a quando ci si rende conto che acquistare e possedere un qualcosa di tecnico per una disciplina non è sufficiente a farci appartenere all’insieme di chi la pratica. La stagione più calda che oramai non ha più un vero e proprio nome, tanto dura poco e si palesa in modo disordinato, è quella delle donne seminude, dei maschi in ciabatte e dell’aria condizionata sparata ovunque, nelle auto come nei negozi, per una trasformazione climatica che non so a che punto porterà il genere umano e la sua capacità adattiva. Per il resto, nei contesti urbani e urbanizzati non c’è altro da dire. L’osservazione del comportamento della flora o della fauna ha lasciato il posto ai programmi delle tv a pagamento e alle lampade che si accendono e si spengono nelle abitazioni limitrofe alla propria che già stanno sparendo, coperte dalle luci condominiali accese ventiquattro per sette che prima o poi, oltre alle stagioni, uccideranno persino il giorno e la notte.

l’ombrellone, nel senso del film

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Nessuno riconosce subito lo scrittore perché gli scrittori non si riconoscono di faccia, mica come i campioni del pallone e le star della tv che di sicuro, comunque, uno non bazzicano da queste parti battute per lo più dalle persone normali, due non sempre è possibile perché visti da vicino e seminudi, nel senso dei costumi da bagno, vi sfido a riconoscere tizio e caio. Anche chi sei abituato a vedere vestito in ufficio o al bar per il caffé prima di entrare al lavoro, con addosso uno di quei terribili slip da bagno o con un due pezzi fluorescente quanto le vene varicose all’inizio fai un po’ di fatica, a dimostrazione della diceria biblica che poi al giudizio universale siamo tutti senza indumenti e, di conseguenza, praticamente irriconoscibili. Figurati poi uno che già non se lo caga nessuno perché esponente di un’arte inferiore come la scrittura e, di conseguenza la lettura, che ai tempi dei quiz e talent show gode della stessa considerazione dell’opinione pubblica quanto, sul fronte dello studio comparato delle professioni, l’insegnante della scuola. Perché anche un Moccia o un Baricco li riconoscete solo perché fanno le comparsate dalle varie bignardi del caso, presentatrici che un giorno introducono i partecipanti alla casa del Grande Fratello e poi le ritrovi a spendersi per la politica spettacolo di Renzi. Ma quelli un po’ più minori, che magari nemmeno la casa editrice anch’essa minore e fuori dal duopolio gli ha messo la foto in quarta di copertina perché privi della piacioneria di un Veronesi o un De Carlo, quelli proprio non li distingui dal tizio che gioca a racchettoni con il figlio adolescente o quell’altro che si instagramma i piedi sullo sfondo del mare mattutino. Nessuno lo riconosce perché poi non è che ti presenti al prossimo con nome e cognome, in un contesto di vacanza l’etichetta da riunione di lavoro la lasci nel cassetto insieme ai biglietti da visita che poi se o l’una o gli altri ti finiscono in acqua come ci torni a casa. Il nome poi è comune ma la faccia che fa mentre vede una nei pressi con il suo potenziale best seller sotto l’ombrellone che è la moglie di quello con cui sta parlando di pesca sportiva per rompere il ghiaccio mentre i figli insieme si lanciano il frisbee, ecco questo può essere un indizio che ti fa riconoscere uno scrittore. Così lo scrittore fa una battuta sulla possibilità che il libro non possa piacere alla donna, e di fare attenzione alle critiche negative perché poi lui ci rimane male, ma è tale l’emozione di trasmettere qualcosa anche per interposto mezzo come la carta stampata che proprio uno non ci riesce, non è certo per vantarsi ma per dire grazie per il tempo che mi stai dedicando e per quegli spiccioli che pagata la casa editrice, la distribuzione, dire fare baciare lettera e testamento mi consentono di offrire al prossimo che legge i miei libri un caffé al chiosco. E alla fine lo scrittore aggiunge il suo cognome al gruppo incredulo di persone e sotto lo sbigottimento dei più che non si tratta di un caso di omonimia, proprio loro abituati a guadagnarsi il pane con un negozio, un’impresa, uno stipendio fisso, una tassa evasa. La lettrice propone di sancire il momento con un autografo sotto il titolo e lo scrittore si schernisce promettendo che poi lo farà. E la scena, quando me l’hanno raccontata, mi ha ricordato un vecchio film con Enrico Maria Salerno nel ruolo del professionista, Sandra Milo in quello della moglie in vacanza senza il marito e Lelio Luttazzi, un letterato romantico che seduce la Milo con la lettura di poesie. Mica perché poi lo scrittore che è lì con moglie e figli fa breccia nei cuori altrui. Ma solo perché in un contesto così di persone in ferie, e la vita dello scrittore è più o meno quella di uno sempre in ferie, il gap è ancora più evidente. Almeno, se ne conoscessi uno mi troverei molto in imbarazzo per lui.

sei un personaggio in cerca di autore?

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Per scrivere una storia occorrono personaggi da inventare in condizioni ideali per un racconto di fantasia, con alcune caratteristiche fondamentali per garantire una stesura sufficientemente intrigante al netto dei tempi morti. Voglio dire, la vita di ciascuno di noi non è interessante ventiquattr’ore al giorno, o meglio magari per voi stessi lo è ma se fate un’indagine con chi vi sta appresso potete stare certi che mi darete ragione. Voglio dire, chi se ne frega di quello che fa un protagonista mentre dorme. Cosa farà? Dorme e basta. Magari sogna, si gira e rigira nelle lenzuola, parla o grida nel sonno, emette vapori corporei per non dire che scoreggia. Trascorre così sei sette otto ore allo stesso modo che nell’economia di una trama boh, possono anche essere omesse. E ancora il tempo che ciascuno di noi passa al lavoro. A meno che non stiate scrivendo un libro di narrativa aziendale, che potrebbe anche avere un suo perché, la sintesi da mettere nero su bianco terrà conto delle ore fuori dall’ufficio, e così altri momenti su cui soprassedere. Per questo nei libri ambientati nel nostro mondo contemporaneo, occidentale, industralizzato e due punto zero, ci capita spesso di incontrare gente che non c’ha un cazzo da fare, che in qualche modo trova dei sistemi tutti da verificare per sbarcare il lunario, quasi come se capitasse tutti i giorni di veder lievitare il proprio conto corrente in modi che non siano la routine di otto ore a dannarsi l’anima con sistemi operativi che si incrocchiano o colleghi con i quali non condivideresti nemmeno una cartella con i successi di Sanremo, figuriamoci del tempo libero. Le vicende si dipanano nelle trame letterarie e non c’è traccia di soste in bagno piagati dalla colite, per esempio, o di momenti di cura personale come il taglio delle unghie dei piedi o passarsi lo scovolino tra le insenature artificiali delle arcate dentali causate da interventi di impiantisca su quella skyline irregolare che abbiamo in bocca e che sappiamo tutti quanto ci costa. Ma proviamo a immaginare. Mike si sedette sul bidet accorgendosi troppo tardi che sua moglie aveva messo la salvietta in lavatrice dimenticandosi del cambio, così sgoccialandosi il sapone intimo lungo le cosce fu costretto a raggiungere l’unico elemento di spugna presente in quel momento in bagno, l’accappatoio della figlia. Oppure: Donna e Peter si scontrarono su chi avrebbe dovuto pulire la lettiera dei gatti, il cui stato di abbandono aveva spinto gli animali domestici a scaricare i propri bisogni nel vaso della buganvillea che, data la fascia climatica a dir poco inadatta per quel tipo di vegetazione, sembrava comunque destinata a non superare l’inverno. E ancora: Jane impiegò tutto il weekend per portare a termine il cambio degli armadi spostando gli indumenti pesanti nella parte più facilmente raggiungibile considerando la sua altezza, mentre i vestiti più leggeri furono riposti come ogni autunno nelle scatole in alto, pronti per essere riscoperti al successivo cambio di stagione. Ecco: la letteratura spesso omette questi interstizi esistenziali nei quali si cela molto più che un comportamento standard del genere umano dettato dalle più basilari leggi naturali di sopravvivenza spicciola. Trovarne la sintesi nei grandi gesti che fanno delle storie i capolavori che leggiamo è ingiusto nei confronti di noi poveri mortali e dei comportameti in cui siamo imprigionati dalla notte dei tempi, e costretti a trovare un posto libero ai romanzi sugli scaffali, dopo l’ultima pagina e il sospiro di soddisfazione che accompagna la fine di un best seller.