tra le pagine di maggior valore ma non da un punto di vista letterario

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In realtà abbiamo un nascondiglio segreto, talmente segreto che poi ci dimentichiamo che li abbiamo messi lì. Non sto certo parlando di cifre da capogiro, come quegli anziani che tengono la pensione sotto la mattonella e poi quando i figli o i nipoti li chiudono nei ricoveri perché non sono più indipendenti, vendono la casa senza sapere nulla e il proprietario successivo stende il parquet direttamente sul pavimento perché è molto più economico ormai scegliere quel tipo lì anziché fare i lavori e spaccare tutto. Così le svariate migliaia di euro verranno rinvenute magari dopo un secolo, quando saranno altro che fuori corso perché nel frattempo non ci saranno più i soldi, non ci sarà nemmeno più l’economia, magari non ci sarà più nulla.

Per esempio quando ero bambino e l’appartamento in cui vivevamo sembrava uscito da un racconto dell’Italia del dopoguerra, ma solo perché era un appartamento rimasto tale e quale nel corso degli anni, c’era una maestosa cappa sopra i fuochi con un parte murata. Stiamo parlando di una casa di città riscaldata con stufa a carbone, una sola e in cucina, senza boiler, senza telefono, senza vasca da bagno e doccia e bidet, e non è che fossimo zozzi, solo che per lavarci facevamo scaldare sui fuochi o sulla stufa a carbone l’acqua per riempire le tinozze di zinco. Questo nei primi anni settanta, eh, non sto parlando del quarantacinque. E quella maestosa cappa in parte murata un bel giorno si è aperta ed è crollata, lasciando cadere oltre a più di mezzo secolo di fuliggine un sacco di lettere, cartoline, documenti e chissà che altro c’era, nascosto lì chissà quando e da chissà chi. Questo per dire che invece di soldi non ce n’erano – forse qualche francobollo di valore, ma non ricordo – e se anche ce ne fossero stati avrebbero solo avuto importanza da un mero punto di vista numismatico.

Ma nella società del denaro elettronico, contanti come sapete ne circolano meno – questo raccontiamocelo giusto per darci un tono, che ancora ieri l’altro ho visto un tizio all’Esselunga con una felpa di quelle con il marsupio incorporato da cui ha estratto un rotolo di carta moneta di tutti i colori che sarà stato di almeno mille euro – e anche a me scoccia girare con i soldi in tasca. Capita però di fare un bancomat, e quella volta lì lo fai da duecento euro giusto per non rimanere al verde nel giro di una settimana e doverlo rifare, che c’è un limite alle operazioni. Quindi finisce che qualche bigliettone anche noi ci preoccupiamo di occultarlo in casa, da qualche parte.

E per complicare l’attività dei ladruncoli che capita di trovarseli intra moenia, abbiamo scelto di conservarli tra le pagine di un libro impilato tra i numerosi (ma nemmeno tanto) che compongono la nostra dote di cultura famigliare. Uno di quelli da quei titoli così importanti che è quasi sufficiente averlo lì senza nemmeno leggerlo, tanto la sua presenza è in grado di influenzare la vita degli esseri umani che si muovono nel raggio di qualche metro e il giudizio degli ospiti che ti vengono a trovare e la mettono subito sulla competizione inclinando il capo per leggere meglio sul dorso dei volumi. E il ladruncolo, per trovare lì il nostro tesoretto, dovrebbe avere una buona dose di ironia, senso dell’umorismo, acume e nozioni di letteratura.

Così oggi per mettere via una banconota da cinquanta, mentre con mia moglie ci guardavamo con quella faccia come a dirci ma guarda quanto siamo fighi a mettere i contanti proprio qui in mezzo, ho avuto la piacevole sorpresa di trovare, proprio tra i passaggi di quel libro più pregni di importanza, una settantina di euro, frutto probabilmente del precedente prelievo al bancomat tanto che mia moglie, ridendo, ha ammesso di essersi preoccupata del fatto che era rimasta senza soldi un po’ troppo presto rispetto alla media. Il bello di questo tipo di sorprese, oltre al fatto in sé che si tratta di piacevoli imprevisti, è che ti sembra di aver trovato dei soldi e non pensi invece che non è vero, non ti sei arricchito né per l’ammontare del valore né perché si tratta di denaro già considerato come speso. Come tutte le volte che ci troviamo un conguaglio o il rimborso del 730, lei mi dice che sbaglio a gioire perché comunque sono euro che avevamo già pagato e, molto semplicemente, te li stanno restituendo. Sarà, ma io sono contento lo stesso.

grazie per l’ospitalità

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Sono seduto su una poltrona che ha dell’incredibile, nel senso che ha un tipo di comodità perfetta per un posto come questo e per alcune delle attività che si fanno in un posto come questo. Ed è anomalo che mi trovi qui di domenica pomeriggio, perché la norma vorrebbe che una biblioteca pubblica osservasse i turni degli altri uffici comunali. Invece trovo che sia un’idea vincente. Se hai una biblioteca di concezione moderna, meno libri e più luogo di incontro e coesione sociale, offrire uno spazio gratuito dove coltivare i propri interessi nei giorni liberi o semplicemente trascorrere del tempo da solo o in compagnia leggendo, sfogliando riviste o utilizzando la connessione wireless gratuita è una bella prova di servizio moderno dedicato alla collettività. Poi arredarla con pezzi come questo, rende il luogo oltremodo confortevole, tanto che sei lì che leggi abbandonato a questo schienale che con le sue propaggini forma due paratie ai lati degli occhi tali da ridurre i motivi di distrazione da quello che stai facendo. Perché ci sono bambini che corrono, persone che chiacchierano, gente che consulta cataloghi sui terminali o sbircia negli scaffali per cercare qualcosa di interessante. Nell’insieme non c’è molto di diverso da casa propria. Nessuno ti può sbattere fuori, basta comportarsi bene. Si sta comodi al calduccio. Certo, non si può venire qui in tuta e ciabatte e non è possibile mettere i piedi sul tavolino e sgranocchiare pop corn sbriciolandoli sul pavimento, ma si tratta di particolari sui quali non è difficile soprassedere. Per il resto, tutto è pensato per far stare l’utente a proprio agio. Prendete me. Sono qui sprofondato in questo guscio isolante, prima leggevo il romanzo che mi porto sempre dietro per dedicarmici in ogni minuto libero, poi mi sono messo a scrivere queste due righe giusto per condividere il piacere di passare una domenica pomeriggio in un posto così, in cui l’unico rischio è rilassarsi a tal punto da addormentarsi all’impr

si è roth

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canta tu

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Ho appena letto una bella storia nel romanzo che mi accompagna in questi giorni, Giochi d’infanzia di Lynne Sharon Schwartz, si tratta di un episodio irrilevante nell’economia della trama ma ricco di significato, così ho pensato di approfondire. L’aneddoto racconta di una canzone di protesta scritta dal famoso cantautore argentino León Gieco dal titolo “Sólo le pido a Dios”, del quale la dittatura di Videla aveva vietato la pubblica esecuzione in concerto, pena la pubblica esecuzione di León Gieco stesso, come direbbe Caparezza. A quanto sostiene la scrittrice, succedeva che, durante i concerti, fosse sufficiente che il cantautore desse il primo attacco di chitarra perché tutto il pubblico la cantasse in sua vece, sollevandolo così dalla responsabilità di aver contravvenuto all’imposizione della dittatura. Un bell’esempio di sostegno a un artista, vero? Mi sono immaginato lo stadio pieno, il cordone di militari armati fino ai denti tutto intorno al pubblico, dei musicisti sul palco fermi e muti e sotto migliaia di persone che cantano al loro posto. Il popolo unito giammai sarà stonato, al limite sarà stato difficile tenerli tutti a tempo. Purtroppo non ho trovato riscontro della veridicità di questo fatto commovente, nemmeno nella pagina dedicata al pezzo del sito Antiwar Songs, comunque ricca di particolari e comprensiva di tutte le traduzioni di cui la canzone è stata oggetto e altri dettagli sulla sua fortuna. Qui sotto una versione live di Mercedes Sosa, eseguita e registrata senza alcun pericolo per la sua incolumità, credo.

e voi, quali preferite?

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Ci sono le storie che terminano almeno dieci pagine prima della fine del libro, a cui segue un capitolo conclusivo che fa un po’ il punto della situazione, qualche anticipazione su quello che potrà succedere, magari un co-protagonista descritto nella sua vita dieci anni dopo, cose così. Questo finale diluito serve ad attutire il trauma del silenzio che segue quando dai l’ultima occhiata alla quarta di copertina e trai le tue, di conclusioni, ti senti scendere la vicenda giù come una bevanda calda quando fa freddo o viceversa, insomma senti tutto quel bolo di sensazioni che attecchiscono al tuo corpo come le sostanze che ti fanno ingrassare di più, solo che qui questo processo di assimilazione è in generale più piacevole anche se gli stati d’animo sono contraddittori. Perché, per esempio, passare il tempo a sentire le voci di altri su tematiche che già ci capovolgono con la loro carica deflagrante. Un po’ masochistico, ma siamo fatti così, che ci vuoi fare. E non è molto diverso quando il romanzo si chiude proprio con l’ultima parola, quella semi-coperta dal timbro della biblioteca, ma è troppo destabilizzante per i soggetti che soffrono di vertigine. Perché è un po’ come accompagnare il lettore su per le scale di uno di quei grattacieli in costruzione che si vedevano nelle comiche e nei cartoni. L’autore ti fa salire su, più su, più su ancora fino quando resta solo l’anima in ferro dell’edificio, gli ultimi piani da terminare, e proprio sulla soglia del punto più alto e più sporgente ti fa ciao ciao con la manina e si butta giù perché tanto ha un paracadute e poi comunque si tratta di una metafora quella lì, quindi tutto il resto non esiste se non la tua stabilità su quel pennone sporgente sul vuoto ed è un’impresa tornare indietro e salvarsi. Mica siamo tutti come gli operai carpentieri acrobati di quella celebre foto che fanno colazione sul niente. Se ne deduce che le migliori sono le trame che non si concludono, quei segmenti di vita altrui tagliati da un momento A a un momento B ed estratti dal loro contesto per la gioia di chi legge alla stregua di aprire la finestra e vedere quel che accade in strada. Personaggi che non sai da dove vengono né dove finiranno i loro giorni, perché terminato il tuo contributo voyeuristico rimetti quel blocco di materia narrativa al suo posto, in modo che la pagina uno e l’ultima coincidano perfettamente con un qualcosa prima e un qualcosa dopo che noi non potremo mai sapere. Proprio come riporre il libro al suo posto in un cofanetto immaginario di cui è disponibile però solamente un volume, quello lì che hai appena letto, tutti gli altri appena li prendi e li apri si trasformano in una risma di pagine bianche.

e tuttoduntratto il coro

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Ecco cosa potrebbe accadere anche a voi mentre state visitando una biblioteca tutta nuova e appena inaugurata, passando in rassegna i titoli esposti di dorso nella sezione narrativa americana il che significa che ancora una volta il Dewey ha trionfato e risulta evidente che lì il sano e funzionale ordine alfabetico al quale la modernità ci ha abituato sta stretto agli operatori del settore che si oppongono al progresso e prediligono i loro tecnicismi alla consultazione più intuitiva, la stessa che impariamo sin dalla prima elementare scorrendo i nomi in lista dei compagni di classe. Che periodaccio, e non solo nel senso della proposizione testé troncata perché troppo lunga.

E proprio per farla breve, ero lì in visita quando ho preso un volume posizionato di faccia – quelli messi per così invogliano di più di quelli messi di costa, questo è un messaggio subliminale – con la copertina in bella mostra che sembrava dire sfogliami e così l’ho accontentato, e afferrandolo ho notato una busta rigonfia messa a mo’ di segnalibro. Nel tentativo di ispezionarne il contenuto, giusto per vedere di cosa si trattasse e non farmi gli affari miei, ho estratto il foglio da dentro e da lì è caduto a terra un anello con brillante che subito ho raccolto, pensando di essermi guadagnato la giornata. Ma mia moglie che in quel frangente ho scoperto essere più avvezza di me ai diamanti e alle patacche e alla loro distinzione ha infranto all’istante i miei sogni di guadagno facile confermandomi la falsità del prezioso che appunto non era prezioso. Comunque la cosa mi ha incuriosito come sta incuriosendo voi, lo so, e badate bene che non si tratta di una di quelle leggende metropolitane tipo che il terrorista a cui avete restituito il portafoglio vi mette in guardia sulle possibilità di un attentato in metropolitana programmato per il giorno seguente e via dicendo. Quello che state per leggere mi è successo veramente e se non ci credete chiedete pure a mia moglie.

Insomma, il passo successivo come potete immaginare è stato leggere il biglietto che accompagnava la patacca, che diceva più o meno così: “Caro sconosciuto che hai trovato questo foglio, voglio raccontarti quello che mi è successo quest’estate. Ho conosciuto un ragazzo di cui mi sono follemente innamorata e con cui ho condiviso giorni indimenticabili, al culmine dei quali ci siamo scambiati una serie di promesse suggellate dall’anello che hai rinvenuto in questa busta e che, ti avviso subito, si tratta di un falso“. E già a questo punto, crollata ogni velleità, avrebbe potuto scemare la curiosità che quel bizzarro ritrovamento mi aveva instillato. E invece no, anzi la cosa ha iniziato a prendermi di brutto. Il manoscritto continuava così. “Ma poi quella che poteva essere la storia d’amore più importante della mia vita ha preso inaspettatamente una svolta impensabile. La persona per cui avevo perso la testa, e che credevo fosse presa di me in egual misura, si è dileguata adducendo le scuse più improbabili e spezzandomi il cuore. Così ho deciso di scrivere queste righe, mettere la lettera in una busta insieme all’anello che credevo potesse essere un pegno anche simbolico di amore eterno, e di lasciare tutta questa storia in balia del caso con l’intento di liberarmene. Tu, lettore sconosciuto che hai trovato il mio monito, sappi che l’amore può finire così come è successo a me. Ma per ora prendi l’anello che trovi qui e fanne l’uso che preferisci. Conservalo, donalo a chi ami, adulto o bambino che sia, gettalo nella spazzatura. Ma fai tesoro della mia esperienza“.

Le parole non erano proprio queste. Quello che conta è che alla fine ho rimesso anello e biglietto nella busta perché il libro era un best seller di Zadie Smith e come potete immaginare in realtà non avevo nessuna intenzione di prenderlo in prestito, per cui mi è sembrato più corretto lasciare a qualche vero cultore dei denti bianchi la missiva. E mi è sembrato saggio condividere quest’esperienza con voi, magari a qualcuno interessa davvero fare tesoro di questi consigli, lasciarsi conquistare dalle virtù romantiche di un tondino di plastica da anulare, e chissà, leggere anche il romanzo che casualmente conteneva il tutto, che però mi assicurano essere una storia molto meno avvincente di questa qui, indipendentemente dal fatto che ve l’abbia raccontata io, eh.

quando mancano le figure

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Con i figli l’utilizzo di un minimo di psicologia è un fattore decisivo. Dicono che la facilità con cui si riesce a raggirarli è proverbiale ma mica tanto perché raramente, esplicitando direttamente il proprio obiettivo, li si riesce a convincere con le buone su una determinata cosa. Aggiungo che anche con lo zucchero la pillola non va sempre giù e alla fine, quando ci sembra di aver perso troppo tempo in una modalità di confronto che a noi adulti sembra del tutto irrazionale e a un bambino tutt’altro, si opta per l’imposizione, cose tipo conto fino a tre con la voce grossa. Perché non sempre prendere alla lontana una comunicazione antipatica, indirizzarli verso un loro dovere o semplicemente suggerire loro un qualcosa che, una volta provato, siamo sicuri che gli piacerà è una metodologia che va a buon fine. Ogni bambino, come noi del resto, è irremovibile su qualche aspetto. Ma, a differenza nostra, non credo si tratti di pigrizia mentale, ignoranza o cocciutaggine fine a sé stessa. Mia figlia, per esempio, non ne vuole sapere di uscire di casa, un classico dei fine settimana, e questo indipendentemente da quanto la controproposta sia allettante o meno e comprenda ricompense materiali o no. Questo per dire che a volte anche facendo proposte ricche di divertimento in modo intelligente e subdolo, cioè senza chiedere il suo parere e dando per scontato che la cosa per cui ora ci prepariamo e usciamo si farà e la messa ai voti è fuori discussione, si ottiene un pugno di mosche in cambio e si passa al piano B, più grossolano ma di sicura efficacia anche a discapito dell’umore e dell’armonia del gruppo.

Ma c’è un ambito in cui mia moglie ed io non dobbiamo fare il minimo sforzo per avere il suo consenso, e dico per fortuna perché si tratta di una risorsa impagabile che fa sì che nostra figlia non si annoi mai (non credo di aver mai sentito dire da lei parole come non so cosa fare), e questo è fondamentale, soprattutto essendo figlia unica. Mi riferisco al momento della lettura. Leggere libri e fumetti è una delle sue attività preferite, si muove perfettamente a suo agio in biblioteca e sceglie i titoli e gli autori per l’infanzia che preferisce. Il lato più piacevole di tutto questo è che si fida di noi e dei libri che le proponiamo, difficilmente si rifiuta di iniziare una storia per partito preso e altrettanto raramente le lascia a metà, anche se talvolta è scettica sulle edizioni completamente prive di illustrazioni. I disegni hanno un forte appeal sui bambini, consentono di amplificare la loro fantasia fornendo spunti visuali per le sceneggiature mentali che costruiscono procedendo nelle trame più intricate. Ma anche qui abbiamo a che fare, talvolta, con atteggiamenti del tutto incomprensibili per i genitori. Con mio grande rammarico, non sono ancora riuscito a farle leggere Marcovaldo di Italo Calvino, uno dei testi più divertenti per l’infanzia che ricordi. E questo perché sono in possesso di una edizione economica e solo testo dell’opera, e tutte le volte in cui ho provato a sottoporgliela ho avuto solo ritorni negativi. Ho cercato di descriverle la ricchezza dei racconti e la figura stessa del protagonista, ma senza successo. Nessuna strategia di persuasione ha funzionato, mi sono offerto anche di leggerlo a voce alta ma niente. Un’opportunità guastata da un tascabile da due lire, senza nemmeno un disegno. E qui con la psicologia c’è poco da fare, non c’è strategia che tenga, e non è possibile imporre nulla con l’autorità. Quel libro di sole parole stampate non l’ha mai convinta a priori, e il guaio è che non riesco a recuperare in nessun modo. Un semplice “non sai cosa ti perdi” non è assolutamente sufficiente.

rifare tutto da capo

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un segnalibro come spada

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Voleva solo salvare vittime innocenti dalla cattiveria degli scrittori, specialmente le donne che all’inizio della storia perdono la vita in modo tragico per favorire la crescita e la statura morale dei mariti, personaggi che sopravvivono al lutto, raddoppiano il loro ruolo di padre con quello di unico genitore vedovo e si mettono in luce per giungere imbattuti all’epilogo come eroi senza macchia. Nel frattempo, nel corso del libro si sono dedicati da soli allo svezzamento della prole aiutati gratuitamente da parenti, amici e governanti, si sono resi protagonisti di carriere brillanti che sono riusciti a conciliare perfettamente con il tempo dedicato alla cura dei piccoli, allo sport e ai lavori domestici. Ma gli uomini che ce la fanno da soli permettono di vendere più copie, anzi, se le donne non ce la fanno possono sempre usare il proprio corpo per emanciparsi con il rischio di banalizzare la trama. E i protagonisti maschili a un certo punto iniziano a osservare le altre donne con un occhio diverso. Oddio, la foto della moglie morta è sempre sul comò e quando passano lì davanti la nostalgia prende il sopravvento. Ogni tanto si svegliano tutti sudati dopo aver ripercorso in sogno l’amore fatto durante la prima notte di nozze. Ma entro la fine della trama cedono a una ragazza che subentra nel ruolo di moglie madre e amante, lungi dall’intaccare il primato della prima scelta ma comunque sufficientemente agguerrita da condurre una lenta battaglia volta al definitivo spodestamento.

E tutto questo non gli sembrava giusto. Adottò così la prassi di avvertire le vittime designate in tempo utile affinché fossero al corrente dei piani dei mariti, senza dubbio in combutta con gli autori, e si rendessero conto di che tipo di persone avevano intorno. Uomini egoriferiti e malati di esuberanza di personalità pronti solo a rivelarsi come affermazione del maschio che vuole dimostrare di essere autosufficiente. Che non sarebbe nemmeno così drammatico se il progetto narrativo non fosse a scapito delle mogli. Così iniziò ad avere un discreto successo in certi ambienti letterari, qualche protagonista femminile si infatuava persino di quel cavaliere sconosciuto e con l’occhio attento che prevedeva il futuro dei romanzi. E in quei casi si schermiva, assicurando di non aver nessun potere soprannaturale, ma solo di aver preso l’abitudine di leggere la quarta di copertina.

cerchiamo di essere realisti

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Lui votava l’Ulivo, Prodi, i Democratici di Sinistra, quella roba lì insomma. Lei, che non votava a sinistra, vedeva come naturale sbocco, per una persona di matrice cattolica anticomunista, Forza Italia. Discutevano raramente di politica in modo diretto, ma alla fine il discorso puntava lì. Qualche esempio? Un giorno vedono alla tv Neri Marcorè che imita Gasparri e lui ride a crepapelle, lei dice una cosa tipo che ci sarà da ridere, non gli somiglia per nulla. Lui dice ma va, è uguale, solo che Gasparri è ancora più stolido. Così finivano per litigare. O lei a una cena con amici critica i volontari delle ONG laici, lui li difende, e alla fine se ne tornano a casa, ciascuno a casa sua, con il broncio. Fino a quando un giorno lui le regalò i racconti di Carver, lei si scandalizzò per alcune scurrilità contenute nella storia di apertura, così tornò al negozio e si fece cambiare il libro. Quello fu davvero troppo.