ma che storia è che un figlio torna indietro nel tempo e bacia la madre e sistema le cose per cambiare il destino di tutti?

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So che molti di voi aspettavano questa data dal 1985 e mi spiace fare il guastafeste. Ma ieri non è successo niente di particolare per molti, mentre per altri si. Ho letto di gente che ha cessato di vivere alla vigilia del viaggio nel tempo più famoso della storia, l’ho letto sulla mia home di Facebook quindi persone comuni come me e voi. E ho visto anche foto di neonati appena sfornati con tanto di braccialetto, sapete che in reparto, quando sono tutti in bella mostra e ci sono i parenti che si azzuffano per vedere meglio, è facile scambiare la propria progenie per quella di altri. Questi ultimi – tra i miei contatti ne annovero almeno due – saranno ricordati per essere giunti al mondo su una Delorean, chissà. La vita e la morte nelle ricorrenze importanti è un fenomeno ovvio come il destino che si accanisce su chi non se lo merita privilegiando i peggiori per non si sa quale legge naturale se non, appunto, la casualità delle cose. Nonostante ciò, “Ritorno al futuro” resta uno dei numerosi film divertenti che ho visto anni dopo la sua uscita. Nell’85 un vero punkettone radicale mica si poteva permettere un film di cassetta per giunta con la colonna sonora di Huey Lewis and the News. Pensate a quante cose la nostra intransigenza ci ha fatto perdere. Ma vi dirò che averlo perso fresco di uscita mi ha consentito di apprezzarne di più la leggerezza in tempi in cui di cose così ce ne è stato davvero il bisogno. Un’altra irremovibile circa la saga completa di Marty McFly è mia figlia, ma non si tratta di un problema di gusti, il suo. A mia figlia fatele vedere le cose più spaventevoli del mondo ma al cinema o in tv non fate dell’ironia o cose strane sui genitori. Che storia è che un figlio torna indietro nel tempo e bacia la madre e sistema le cose per cambiare il destino di tutti? La prima volta che ha assistito alla proiezione domestica – forse era troppo piccola – ha interrotto la visione giustificando i suoi timori con l’attacco omicida dei terroristi libici. Ma poi ho capito il motivo perché il caso di “Ritorno al futuro” fa il paio con “La città incantata” di Hayao Miyazaki. Mia figlia oggi si spara i film e le serie più truculente su licantropi e vampiri ma i genitori trasformati in maiali proprio non le vanno giù. Così, per la trilogia di Zemeckis, siamo rimasti solo al primo capitolo e ogni volta che cerco di convincerla a vedere il resto non c’è verso. Quindi niente, ognuno vive i miti del cinema un po’ a suo modo. Con lei mi è già andata sin troppo bene con i Blues Brothers e persino con Smoke, pensate un po’. Ecco perché, per noi, il 21 ottobre è stata una data come le altre.

primi dolori

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Tesoro, se mai ti capiterà di leggere queste righe sappi che l’amicizia è un fattore forse più imprevedibile dell’amore perché spesso è a fondo perduto mentre se c’è un legame fisico di mezzo subentrano altre modalità di darsi l’un l’altro. Tu non lo puoi sapere, hai solo undici anni, ma le persone si dichiarano amici al prossimo per i motivi più strampalati, anche solo per l’invidia, per calcoli strumentali all’interno di dinamiche di gruppo in una sorta di atteggiamento kamikaze: sacrifico me stesso e mi sistemo al tuo fianco pur ti metterti i bastoni tra le ruote. Non ci crederai ma ci sono pure tipi così e, se te la devo dire tutta, è proprio quello che ti è capitato. Ci sono individui subdoli e dannosi che rilasciano il loro sentimento corrosivo che ti imbriglia in uno stallo dal quale so benissimo che è difficile tirarsi fuori finché il veleno non ha fatto tutto il suo effetto. Come uno psicofarmaco che induce alla sonnolenza ci si sente incapaci alla reazione e ci si lascia andare inerti nel torpore della comodità relazionale. Sono consapevole del fatto che l’entità dei turbamenti ha tutta una sua proporzionalità distorta a seconda dell’età, e quello che a noi adulti sembra alla portata di un preadolescente può essere in grado di approfittare della tua vulnerabilità anche se si tratta di cose su cui, tempo un paio di anni, farai delle grasse risate insieme ai nuovi coetanei con cui trascorrerai il tuo tempo. Quindi piangi pure se hai scoperto che una che si ostina a definirsi tua amica ti ha spiazzato con l’affronto che hai raccontato a tua madre – giusta complicità femminile – e io ne sono venuto a conoscenza solo di rimando, e qui nota pure una punta di stizza ma è temporanea e assolutamente secondaria alla gravità della cosa. Sei piena di amiche, di compagne di classe e di compagne di squadra che ti stimano, ti rispettano e ti vogliono bene. Puoi tranquillamente permetterti di cancellare una persona inutile dalla rubrica di Whatsapp e dalla tua vita, è molto più facile di quanto sembri anche alla tua età.

scambio bambina di dodici anni con due da sei

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Per scherzo qualcuno ha messo proprio questo annuncio e quando l’ho letto, per un momento, ho approvato l’iniziativa e poi mi sono come al solito vergognato in silenzio e, esaurito il consueto senso di colpa, mi sono fatto una risata. Stavo giusto pensando a come rappresentare in un grafico fattori quali l’engagement reciproco in un rapporto padre-figlia, l’investimento che comporta, l’entusiasmo che si disperde in altri meandri della vita con i cambiamenti dell’età in quei primi quindici/diciotto anni in cui ci si gioca praticamente tutto e, parallelamente, aspetti legati al diventare vecchi, il che non significa necessariamente indebolirsi e essere stanchi e quindi privi delle risorse necessarie a seguire le energie prorompenti di un vita che esplode in mille modi. Senza contare poi il piano su cui si stanno muovendo le giovanissime persone di quelle generazione, tutte touch e whatsup, snickers alte, abbreviazioni, felpe e pessimo rap italiano. Insomma, in questo piano cartesiano dove nell’asse x ci mettiamo gli anni che passano e in quello y un variegato quanto tumultuoso divenire degli eventi in cui basta assentarsi qualche ora per dover rifare tutto daccapo, mi immagino un linea blu – un colore a caso, la mia – in calo, una decrescita infelice dovuta però a fattori assolutamente fisiologici e una rossa a identificare mia figlia che è schizzata verso l’alto con valori record. Con la pre-adolescenza cambia il livello di supporto e di presenza genitoriale ma solo perché diminuiscono le opportunità di contatto tra i due mondi – mamma e papà su uno, prole sull’altro – e i momenti di confronto non è facile decidere come impiegarli. I genitori devono essere costantemente pronti perché si tratta di scambi spesso improvvisi che non sempre riusciamo a programmare, a volte ci si trova sprovveduti e i risultati sono deludenti. Da quello che ho letto tuttavia l’aver posto buone basi relazionali in ottica preventiva dovrebbe costituire una garanzia di credibilità per i tempi futuri, quando cioé il periodo della “stupidera” lascia il posto a personalità mini-adulte più propense al contatto con la famiglia di appartenenza. Insomma non ci dovremmo stupire di trovarci uno/a sconosciuto per casa che tenta di continuo esperimenti di emancipazione psicologica e culturale e di contrapposizione con i propri grandi di riferimento. Mia moglie ed io ci teniamo all’erta, facciamo quadrato in questa che non è certo una guerra ma che comunque ha tutti i caratteri di una sommossa popolare da tenere sotto controllo, fortemente disponibili ad accogliere un nuovo pari tra di noi e speranzosi di ritrovare, un giorno, tutte quelle cose in erba che già sembravano svilupparsi prima dell’avvento di questo tsunami emotivo.

la solitudine di radersi alle sei e un quarto del mattino con l’acqua fredda in novembre

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C’ho dato un taglio. Basta con l’hipsteria collettiva che a chi è tenuto a dare un esempio genitoriale non fa certo fare una bella figura. Quando il valore della scala di grigio si attesta per più del cinquanta per cento verso il bianco è bene ripristinare l’antica virile usanza di farsela, la barba, che è un’attività altrettanto pallosa delle varie cerette e epilady passati su arti e varie cavità corporee femminili. Non entro nemmeno nel merito della depilazione maschile, tanto la disprezzo, anche nei casi di chi la pratica con la scusa che fa sport e vuole evitare le infezioni, ma andate a raccontarla a qualcun altro.

Farsi la barba è una bella rottura aggiuntiva di maroni per chi usa ancora schiuma e lamette come me. L’unica volta in cui ho provato un rasoio elettrico mi è venuta la faccia a bolle e ho detto basta. Tra l’altro si trattava di un regalo di Natale che ho riciclato di lì a poco. Il rischio dell’ostinarsi con il luddismo in contrasto con la ricerca tecnologica del settore è che operare in contesto umido e bagnato non consente un’esperienza di rasatura piacevole nei mesi invernali tenendo conto che si tratta di un’attività da svolgersi la mattina presto, quando tutto sembra freddo persino l’acqua calda, figuriamoci il metallo delle lame e il gel schiuma che vive nella latta.

Trovarsi con quella roba bianca in faccia alla luce artificiale perché fuori è buio pesto, dovendo pure stare attenti a non fare casino per non svegliare il resto della famiglia e i vicini, comporta una violenza inaudita contro il proprio equilibrio già provato dallo stato di risveglio. Senza contare il rischio di tagliuzzarsi le parti più vulnerabili della pelle e fare la figura di chi non è in grado di adempiere a uno dei principali doveri della cura di sé. Facendosi la barba ci si sente spesso soli in un classico momento-uomo di cui ogni uomo vorrebbe potersi liberare. Le sei e un quarto del mattino, poi, sono state fatte per essere consumate sotto le coltri, nell’aria viziata da quasi otto ore di sonno, con i peli sul mento, collo e guance, liberi di svilupparsi in tutta la loro ostica durezza.

due mesi a Natale oggi: ecco cosa cambia nell’edizione 2014

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Oggi che mancano precisamente due mesi a Natale posso anticiparvi che per il primo anno non ci sarà nessuna messinscena dell’arrivo di Babbo Natale. Mia figlia, pur con un anno di anticipo, è in prima media e qualcuno dal dicembre scorso deve essersela cantata. C’era già stata qualche avvisaglia perché nei giorni precedenti l’ultima edizione – lo scorso anno – mia figlia aveva interrotto le domande con le quali già da qualche settimana chiedeva spiegazioni su quell’evento incredibile, anche se credo più per colpa di qualche compagno di classe nostalgico delle beate ingenuità dell’infanzia piuttosto che per mettere in riga alcune incongruenze scientifiche, fisiche e macro-economiche. Come fa un solo uomo a raggiungere tutti i bambini del mondo in una notte? Come fa un mezzo di trasporto tipicamente terrestre a volare? Dove li prende i soldi per tutti quei giochi? E forse proprio nel timore della conferma di una teoria amara in fase di maturazione, la cosa era caduta. Quindi… sopresa! Anche quest’anno ci sono i doni sotto l’albero!

Qualche giorno fa invece ne abbiamo parlato con molta serenità, mi detto di sapere ormai da un po’ che facevamo tutto noi, e la mia paura era che potesse rimproverarci di averle fatto credere a storie che non stanno né in cielo né in terra e di averle fatto provare vergogna con coetanei già smaliziati per aver tirato per le lunghe quella tradizione così infantile. Tutt’altro. Intanto ha apprezzato lo sforzo di aver inseguito ogni anno la sua soddisfazione, andando incontro il più possibile ai suoi desideri, aspetto che inoltre ha influito sul ridimensionamento delle richieste per le feste imminenti. Poi ha riconosciuto la magia di quelle attese e la gioia del risveglio con i pacchi colorati sotto l’albero. Devo ammettere che un tale compiacimento – che davvero non mi aspettavo – ha reso meno doloroso il distacco da quello che ormai era un piacere più per i genitori che per lei. Tenere duro fino a notte fonda, posizionare i regali in un allestimento scenografico, far sparire il bicchiere di latte e i biscotti simulandone l’avvenuto consumo, liberare finalmente i gatti rinchiusi appositamente per evitare il loro contatto con l’offerta votiva alimentare, tornare a letto e lì ripetere ancora una volta una conversazione su quante occasioni ci sarebbero state concesse ancora per assaporare quella gioia senza eguali. Ma è sempre così, lo sapete. Anche se si può prevedere, è difficile sapere quando una volta è proprio l’ultima, senza occasione di ritorno.

ma giusto per non vedertelo sempre in mano

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Se già l’avere tutto a portata di mano con l’internet vi trasmette completezza e un livello di progresso che non ha confronti ma che quando trovate le striscioline di quotidiani cinesi usate per fare spessore nel sistema di chiusura degli ombrellini dei long drinks vi fa riflettere sulla parte del mondo a cui dobbiamo tutto, provate a immaginare il senso di sazietà tecnologica che ci hanno dato scoperte come la tv a colori, o le cuffie per riproduttori audio portatili, o anche una partita a pong. Persino la lavastoviglie Siemens di mia mamma che funziona ininterrottamente dall’82 mentre la mia, acquistata nell’anno del matrimonio, è di una marca italiana che nemmeno esiste già più, uscita fuori gioco senza nemmeno passare dal via alla delocalizzazione. Mi ricordo persino il profumo del vano per le cassette della piastra del primo impianto hi-fi e la reazione fisiologica che mi dava la polvere che si raccoglieva sulla fila degli LP riposti di costa proprio come accade oggi, la differenza è che una distinta signora ucraina una volta alla settimana comprime in un aspirapolvere obsoleto con il sacchetto ogni rischio di allergia con acari di contorno. Ma se fosse per me io mi sarei fermato già da un pezzo perché nessuno vi verrà mai a dire che gli manca qualcosa, al massimo qualcuno ma è un altro discorso, e senza tirare in ballo quelli della decrescita felice io mi accontento di una stabilità non certo triste ma con quel poco di nostalgia per gli album Disney con le storie di topi e paperi contestualizzate per i mondiali di calcio, il significato di cinque stelle che era una latteria dove mio papà comprava i semifreddi al sabato sera da gustare durante Fantastico con Beppe Grillo, ironia della sorte, persino l’odore che c’era nella Ford Taunus che mi faceva venir da vomitare dopo un paio di isolati e che non ho mai capito perché un abitacolo di berlina dovesse puzzare così di abitacolo di berlina. Nello stesso anno – non chiedetemi quale – qualcuno è riuscito persino a far coesistere una specie di console portatile ante litteram con cui si poteva solo giocare a un gioco e basta e io avevo scelto il basket, con una lineetta accesa che alla pressione di un pulsante a forma di freccia faceva allontanare da sé un puntino – la palla – verso uno spazio vuoto che era un canestro, e allo stesso tempo dicevo c’era un catafalco con delle molle che, comandate da tastoni colorati, lanciavano una pallina da tennis tavolo in un canestro. Una specie di pallacanestro balilla, passatemi il termine, fatto apposta – credo di essere stato il proprietario dell’unico articolo venduto – per gente che si faceva fotografare ancora con i genitori in vacanza. Invece no, gli inventori non si fermano ed è per questo che tergiverso quando mia figlia mi chiede questa o quell’altra cosa. Tesoro, le dico, che cosa te ne fai di uno smartphone? Se devi chiamare qualcuno – e mi chiedo chi debba chiamare al di fuori dei suoi genitori ma vabbe’ – se devi chiamare qualcuno puoi farlo col telefono di casa. Se vuoi invece spippolare con le cosine touch che vanno per la maggiore abbiamo già un tablet in casa, se si tratta di voglia di entertainment digitale, allora, non ti puoi certo lamentare sulle prestazioni dei pc domestici. Non è tanto quindi necessità di comunicare, è più una voglia di avere un robo che se non ce l’hai ti senti un po’ escluso.

come diceva un mio amico, l’unico posto in cui una moglie non riesce a spostare l’arredamento è il bagno. Ma non è detto.

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Cara, e care mogli altrui di tutto il mondo, ovviamente questo post è un divertissement e spero siate autoironiche, dovevo pur fare un titolo simpatico. Ma la sostanza non cambia, visto che sta cambiando tutto il resto. Dunque la conoscete vero quell’usanza che hanno le nostre mogli di dare un tocco di novità all’ubicazione di contenitori e contenuti delle nostre case, vero? C’è la fase uno meglio definita come ottimizzazione logistica, che consiste nelle mutande in un posto e i calzini nell’altro che diventa asciugamani nel cassetto in cui mettevi le mutande che ora vanno nel ripiano in cui impilavi i maglioni che ora vanno nella scatola Ikea in cui c’era l’abbigliamento da montagna che ora è in cantina tanto si usa una volta l’anno. Così il tempo per trovare ciò che si cerca raddoppia perché prima si sbaglia cassetto come sempre ma poi si sbaglia anche il cassetto che ci ricordiamo come quello giusto, a cui venivamo indirizzati dopo aver sbagliato la prima ricerca e aver chiesto le inevitabili informazioni.

A questa fase segue la fase dell’ottimizzazione logistica dell’ottimizzazione logistica, ovvero spostare la cassettiera che comprende maglioni, asciugamani eccetera dalla parete nella stanza da letto a quella di fronte in cui prima c’era l’armadio che così deve essere posizionato sul muro di destra per far spazio alla lampada che segue lo stesso shift in senso orario. Il tutto con contenuti compresi, ovviamente. Questo significa che il tempo per trovare ciò che si cerca triplica, perché prima ci si dirige verso la parete in cui c’era il mobile e poi quando lo si ritrova nella nuova collocazione si sbaglia cassetto la prima e la seconda volta come nel caso precedente.

Inutile scendere nei dettagli della terza fase, quella dell’ottimizzazione logistica dell’ottimizzazione logistica dell’ottimizzazione logistica. Arriva infatti il momento in cui le mogli decidono di invertire le stanze, i bambini crescono e hanno bisogno di più spazio o, viceversa, i ragazzi trascorrono meno tempo in casa e quindi possono anche vivere in un ambiente con il minimo necessario. I mobili della camera dei genitori vanno di là, sostituiti da quelli dei figli. Il tempo medio dell’uomo nella ricerca di qualcosa è così di quattro volte maggiore: ci si reca nella camera sbagliata, poi in quella giusta, poi verso la parete dove prima si trovava la cassettiera, poi verso la parete giusta, quindi si apre il cassetto che una volta conteneva ciò che si cerca, poi quello giusto e a quel punto, comunque, chiedere indicazioni alla propria moglie può essere anche un’azione giustificata.

Ma ho capito che questa smania di rinnovamento è un po’ un segno dei tempi. Pensate solo alla geografia e a tutte le città del mondo che, negli ultimi tempi, hanno cambiato nome, si sono riappropriate del loro indicazione topografica originale, vengono chiamate così o cosà per vezzo dagli opinion leader. Qualche esempio? Yangon. Lo sapevate che Yangon è il nome locale di Rangoon, la più grande città della Birmania anzi, pardon, Myanmar? Io l’ho scoperto ora. Per non parlare delle metropoli indiane. Mumbay è quella che alle interrogazioni di geografia a scuola chiamavamo Bombay, Chennai che è la vecchia Madras. E non entriamo nel merito dell’ex Unione Sovietica e gli stati al di là del Friuli, che insomma prima di metterli a fuoco devo accendere un computer connesso a Internet. O contare su qualche gioco di indovinelli con mia figlia. Lei si mette sulla cartina cartacea, fa le domande, e io che interrogo l’oracolo di Google e pigio enter, anche solo per rendermi conto di quante nazioni ci sono al mondo e che, se non si sta attenti, la prima volta che uno fa un viaggio in Africa il rischio di una pessima figura o di un incidente diplomatico è assicurato. Anzi no. Meglio fare un’assicurazione contro l’ignoranza e informarsi prima.