mulatu astatke & the heliocentrics: yekermo Sew

Standard

Ieri sera ho rivisto Broken flowers, tutto qui.

il giro delle fiandre, solo un po’ più triste

Standard

Non ricordo chi mi ha detto che “Il ragazzo con la bicicletta”, il film dei fratelli Dardenne, si discosta dalla loro filmografia per non essere sufficientemente drammatico e lasciar intravedere un barlume di speranza. E se non sbaglio, ho ricevuto questo feedback da più di una persona. Ho atteso l’inizio del film, quindi, convinto di assistere a una storia comunque neorealista, ma dai toni meno claustrofobici rispetto al “La promesse” o “L’enfant” o “Rosetta”.

*** Attenzione: di seguito anticipazioni sulla trama (SPOILER) ***
Ora, il barlume di speranza è un dodicenne ripudiato dal padre, facile target dei lucignoli del caso che lo convincono a prendere a mazzate da baseball in testa un negoziante a scopo di rapinarlo, viene beccato dalla polizia e poi anche percosso dal figlio del negoziante, ma alla fine il ragazzo con al bicicletta viene preso in affido da una parrucchiera single (già sopravvissuta a Hereafter) e con cui si appresta a vivere i tormenti di una adolescenza a dir poco inquieta. Si certo, poteva andare peggio e, cadendo dall’albero, morire sul colpo.

p.s. vogliamo parlare del ruolo e della reputazione dei padri nei film dei fratelli Dardenne?

gli italiani lo fanno così così

Standard

Capisco che l’esterofilia fine a se stessa sia scostante, e non vorrei certo sembrarvi antipatico. Anzi. E vi assicuro che mi impegno a seguire il panorama locale in ambito musicale, editoriale e cinematografico. E probabilmente lo farò ancora, anche solo per un briciolo di campanilismo. Ma, diamine, mi cadono sempre più le braccia.

Per farvi un esempio, anzi tre ma partiamo dal primo, fino a qualche anno fa seguivo con acceso interesse la musica italiana, le nuove band e il trend del momento, affidandomi soprattutto ai principali siti specializzati, come quelli che organizzano i festival dei baci e degli abbracci. Il motivo? Da una parte era il retaggio che mi portavo dietro da sempre, avendo occupato gran parte della mia vita (almeno 30 anni) a suonare in gruppi più o meno underground. Se volete saperne di più, questo blog è pieno di riferimenti alla mia vita precedente, e vi consiglio di iniziare dalla fine di quella esperienza. Seguivo i forum, partecipavo alle discussioni. Ma anche prima di Internet, ho letto e mi sono costantemente tenuto aggiornato, in un percorso che parte dagli Area passando per Diaframma, Litfiba e CCCP, poi svolta con Almamegretta e Casino Royale, sempre dritto per arrivare a Scisma e Subsonica. Ho parcheggiato di fronte agli Offlaga Disco Pax e sono sceso dal mezzo, autoradio alla mano, perché era subentrato nel frattempo il nulla più assoluto.

Più difficile argomentare la mia esterofilia in ambito letterario, sono meno competente (o più cialtrone, dipende dai punti di vista), il campo è oltremodo più vasto, più difficile da conoscere approfonditamente e da valutare. Diciamo che, esaurita la bibliografia del ‘900 italiano, ho perso l’orientamento passando da Pavese, per fare un esempio, a un qualsiasi autore emergente. Le poche volte in cui ho dato un’opportunità a uno scrittore locale (passatemi l’aggettivo), mentre mi si ripresentava a menadito il metro quadrato storico, politico e geografico in cui erano state ambientate le vicende descritte nell’opera di turno, già rimpiangevo la sicurezza dei parametri che utilizzo in fase di scouting di nuovi autori per il mio tempo libero. Ovvero: nati possibilmente tra l’Oceano Atlantico e il Pacifico (procedendo verso ovest), a nord del Messico e a sud del Canada (con l’eccezione di Coupland e degli autori nati in Alaska), tra il 1900 e il 2011. Un sottoinsieme già di per sé infinito.

Il terzo e ultimo elemento di riflessione riguarda il cinema. Qui converrete con me della difficoltà (mi veniva da scrivere dell’inesistenza, poi ho pensato che sarei risultato antipatico agli estimatori di Moretti, Martone, Costanzo, Sorrentino e Virzì, quei pochi di cui ho seguito l’attività) di mettere insieme un elenco sufficientemente corposo di prodotti di oggettivo valore, se comparati a omologhi lavori indipendenti o no realizzati all’estero. E anche in questo caso non so quanto sia determinante il fatto che altrove il cinema è un’industria mentre da noi è un hobby per figli di papà. Non so se il mio disagio di fronte ai film italiani dipenda dal gap qualitativo tra la recitazione degli attori (e dei loro accenti) e quella dei doppiatori di film stranieri, dalla piccolezza (si dice così) delle storie raccontate, un po’ come avviene per la letteratura, dalla scarsa attendibilità delle facce degli attori, dai registi.

Tutto questo per lanciare un appello: ridatemi speranza. Consigliatemi voi: libri, film e dischi italiani, di cui ne valga la pena.

fumata grigia

Standard

Il filmquiz di Moretti mi è piaciuto di più di Habemus Papam.

old york

Standard

Non trovate differenza tra sentire le vostre canzoni preferite alla radio, all’improvviso, selezionate da un diggei, rispetto all’ascolto pianificato delle stesse, quando avete voglia di quel brano e cercate l’LP tra i 33 giri allineati di costa in ordine alfabetico sul ripiano più comodo della vostra libreria? Perché io ancora vado in subbuglio se, mentre sto guidando, sento un pezzo a cui non pensavo da tempo e me lo ritrovo lì, alla radio, all’improvviso. Non credo alle mie orecchie. Tutto mi sembra improvvisamente familiare e privato. Mi mette di buon umore, anche se fuori c’è il sole, ci sono 35 gradi e sei in coda verso il mare e magari alla radio parte Sinking dei Cure. Ma non è la colonna sonora inappropriata, su cui vorrei soffermarmi. Bensì la sorpresa che qualcuno ha i tuoi stessi gusti e ti lancia un messaggio, anche se non è personalizzato. Ma non si sa mai: chi mi dice che in quel momento non sono io, l’unico al mondo ad ascoltare quella trasmissione? Chi mi dice che il palinsesto in realtà altro non è che un modo che una qualche entità soprannaturale sta utilizzando per comunicare con me? Niente di più probabile, alle soglie del 2012 e durante la quaresima.

La stessa cosa alla tv, nei rari momenti in cui decido di concedere un’opportunità alla cara vecchia compagna di infanzia, ormai poco più che un elettrodomestico/soprammobile quasi sempre spento. Dopo anni di media interattivi, subire inaspettatamente un programma è sempre un’esperienza particolare. Soprattutto se si tratta di film. Perché la musica, alla radio, la riconosci subito. Di un film magari non ricordi proprio tutte le scene, quindi ti rendi conto della familiarità delle immagini, inizi a pensarci, poi riconosci l’attore, il dialogo, aspetti un po’, qualche scena, quindi, se si tratta un film che ti piace, giosci e lo guardi più volentieri rispetto allo stesso spezzone che vuoi condividere con gli amichetti su Facebook, e non solo per un motivo di qualità video.

Qualche sera fa, cognac alla mano, aspettando che la lavastoviglie concludesse il suo ciclo, letto tutto quello che c’era da leggere sul web, ho acceso la tv. È stato sufficiente raggiungere le memorie dei nuovi canali RAI dei digitale terrestre ed ecco il flashback. Per una volta non ho dovuto interpretare la solita pantomima con mia moglie su quale fosse il titolo di quel film…. con quell’attore… ma sì, quello che ha fatto anche… che poi era lo stesso di… eccetera eccetera, in un tripudio di vuoti di memoria. Che imbarazzo, la senilità. Mi ha stupito invece la rapidità con cui abbiamo entrambi riconosciuto New Jack City, un film che non ha fatto la storia, ma ha avuto comunque un discreto successo. L’ho visto al cinema (era il 1991, ero ancora uno studente quindi se ho speso i soldi per il cinema doveva davvero valerne la pena) e ricordo pure che mi era piaciuto. Tanto da accendere subito la lampadina. L’altra sera però non l’ho rivisto tutto, il ciclo della lavastoviglie era già a buon punto e la porzione di cognac non era generosa, ma una parte abbastanza lunga da rimuginare qualche considerazione. Che poi si riduce ad un unico ragionamento.

Il film si colloca a una distanza di tempo non sufficientemente ampia da essere considerato una pellicola del passato, siamo sul confine di epoche diverse, ma secondo me già al di qua, rivolto verso di noi. Ciò non toglie che lo si veda con un’ottica remota perché racconta di cose che ci ricordiamo ma che non sono proprio storia consolidata. Ha un linguaggio a cui non siamo più abituati, ma non sufficientemente diverso da far rientrare New Jack City già nei film del passato, i classici da guardare con l’occhio sintetico del presente. Pensate per esempio a com’è cambiata la cultura afroamericana da allora, che a sua volta già era diversissima da quella di 10 anni prima. Che strano rivedere Ice T. ora che l’estetica dell’hip hop è così differente (e così diversamente macho). Sentire parlare di crack, non in ambito finanziario.

Il film si snoda a ritmo di rap, tutti si esprimono tramite quella gestualità che tanto ha fatto scuola, mani, braccia e petti strabordanti di suppellettili e ornamenti con simboli di potere e opulenza. Ballerini con i loro monumentali riproduttori di musicassette sottobraccio. Il basco e le capigliature a crestina. Insomma, un classico della blaxploitation e della old school, quella che ha toccato il suo apice con Flavour Flav e la sua sveglia al collo. New Jack City: provatelo sui vostri HD.

ma gli androidi sognano un posto pubblico?

Standard

Io ne ho viste cose che voi statali non potreste immaginarvi. Suv aziendali da 60mila euro al largo delle reception delle multinazionali. E ho visto CEO balenare nel buio vicino alle porte dei Direttori Marketing. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come Stock Options nei Fringe Benefit. È tempo di cambiare lavoro.

 

 

 

le domeniche al cinema – puntata del 6 febbraio 2011

Standard

Dopo la felicità porta fortuna, la tristezza porta un po’ sfiga.

in viaggio con papà e mamma

Standard

Le grandi domande. Dopo Hereafter,  “c’è vita dopo la morte”, ecco un altro film a cinque stelle, Away we go di Sam Mendes, scritto da Dave Eggers. Qui la grande domanda è “c’è coppia dopo il concepimento”? Due over-30 vanno alla ricerca del posto ideale, tra alcune opzioni in USA e Canada, in cui metter le radici e far nascere la loro figlia. Un coppia “perfetta”: Verona e Bart sono soprendentemente normali ma intelligenti, giovani adulti all’americana (non adolescenti irrisolti all’italiana) e middle-class. I due, non sposati e che probabilmente mai lo saranno (Bart le fa almeno 4 proposte di matrimonio in 90′), una volta assodata la  gravidanza fanno convergere il loro baricentro, singolo e comune, verso quella vita che sta crescendo nella pancia di lei (anzi, di loro) e partono. Ogni tappa del loro viaggio coincide con un’occasione di incontro con una diversa coppia di amici, parenti o ex-colleghi. Incontri che mettono a nudo problemi tipici della coppia quando diventa famiglia: i genitori di lui, americani di mezza età che si danno alla fuga nel momento in cui, da nonni, potrebbero essere ancora utili. Quindi la coppia che non ha mai modificato il proprio stile di vita, lasciando allo sbando i due figli preadolescenti. La coppia new age e fricchettona che mette al bando la tecnologia e fa l’amore con i figli nel letto. La famiglia numerosa di soli figli adottivi e la incompletezza in cui si sono risolti i genitori che non sono riusciti ad averne uno proprio. La coppia che si separa e la consapevolezza del padre che, rimasto con la figlia piccola, si rammarica di dover far crescere una bambina che sarà sempre marchiata figlia di divorziati. Verona e Bart man mano capitalizzano ogni singola esperienza tra le cose da non fare e provano a dare risposte alle domande che ogni stereotipo, dipinto sempre con ironia e intelligenza, fa sorgere. Il viaggio si chiude così nella destinazione naturale, quando Verona e Burt hanno consolidato la consapevolezza di vivere una fase che  sarà la più densa della loro vita. Da sottolineare il cameo dell’aeroporto e quello dell’incontro con la iper-mamma con figlio saccente.

p.s. leggo che si tratta di un film low-budget
p.s. la colonna sonora comprende Golden Brown degli Stranglers, così sembra dai titoli di coda, ma non ricordo di averla senita. Mi date un aiutino?

aldiqua

Standard

La vita, o l’esistenza di qualche cosa dopo la morte è un tema così banale che rende ogni tentativo di narrazione creativa superfluo. Non per Clint Eastwood. Hereafter, visto ieri, è un gioiello cinematografico, un film da 5 stelle che però, come scrive Curzio Maltese su Repubblica, non è solo un bel film. Il dubbio laico che si insinua dopo la visione non è tanto se esista o meno l’infinito spazio luminoso in cui si intravedono miliardi di persone quando i nostri sistemi vitali vanno in stand-by, per un istante, quindi riaccesi dopo l’esperienza del tunnel con luce bianca eccetera eccetera. La componente sovrannaturale passa in secondo piano, il vero miracolo è la nostra vita, già di per sé, ciò che si attraversa e in cui ci si cimenta. E raggiungere il traguardo non ha importanza. I tre protagonisti della storia convergono infatti in una esperienza umana, che è quella dello stabilire un contatto con una dimensione ancora fisica, la morte o la vita, si piò chiamare in entrambi i modi, che in sé comprende anche il dopo. Ma il contatto è tra corpi, anima inclusa. Collisioni che generano reazioni a catena, nella storia e nello spettatore. Aldilà siamo altrettanti che aldiqua. Che ci sia poi una cooperativa autogestita o una corporation con CEO e consiglio di amministrazione poco importa. Se il sistema si arresta del tutto, o, peggio, si tratta solo di una formattazione dell’hard disk, non ce ne accorgeremo.

addavedè baffone

Standard

In attesa di conoscere le nomination per le barbe più intellettuali portate dai loro appassionati (anelo a un posto nei primi 10.000), ecco i 15 migliori baffi tratti dai film dei fratelli Coen, un pour-parler da post digestione natalizia meditativa a base di Cognac.