fa la pubblicità

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Ci siamo cascati tutti, perché avere la definizione della propria professionalità, pardon, il proprio job title in inglese è un modo per sentirci un po’ meno fuori dal treno del progresso. Per questo facciamo bene, il monito vale anche per il sottoscritto, a non pensarci due volte nell’inviare la candidatura a posizioni che, sotto sotto, speriamo di non dover mai nominare a casa. A malapena fanno la loro sporca figura scritte là, sotto la nostra firma di default su Outlook, sopra gli alberelli della stampa con cautela, che solo a tener acceso quel trabiccolo con cui lavoriamo per leggere l’e-mail che abbiamo davanti stiamo sciogliendo chissà quanti cubetti di ghiaccio artico. A malapena fanno fare bella figura con gli amici di un tempo e con chi fa l’impiegato, l’assicuratore, il tecnico della caldaia. E abbiamo ragione a pensare di poter essere in grado a fare tutte quelle cose lì che non si sono mai sentite, non c’è nessuno che le insegna, non esiste teoria, ma solo la pratica del buon senso, dell’intelligenza, del saper sfruttare gli strumenti, del far finta di capire il significato di un ruolo professionale che ci viene chiesto di ricoprire e che, quando lo leggi la prima volta, a te che come me hai conseguito una laurea del vecchio ordinamento, sembra più una presa per il culo.

lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite

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In Italia lasciare i bambini fuori dalla Chiesa, dai sacramenti e dal catechismo non è cosa semplice. Nella classe di mia figlia sono in cinque, lei compresa, a non essere battezzati per esempio, ma tre sono musulmani. Quattro di loro fanno un’ora alternativa all’ora di religione, noi abbiamo pensato invece che comunque avrebbe potuto essere interessante per nostra figlia sapere di che si tratta, darle strumenti affinché possa decidere da grande, se vorrà, come comportarsi con la religione. Non si è rivelata una scelta oculata, perché non abbiamo tenuto conto del fatto che preparare la comunione, seguire i riti, i canti comandati, studiare la mitologia che sta intorno al cattolicesimo è oltremodo attraente per i bambini curiosi, categoria a cui mia figlia sembra appartenere. Tanto che più di una volta, e poche ore fa si è consumata l’ultima, ci ha chiesto perché non è stata battezzata e ci ha confessato che le piacerebbe seguire catechismo e preparare la comunione.

La motivazione ufficiale è che si trova in minoranza nel gruppo dei pari. Sono convinto non sia giusto forzare i piccoli a sentire la diversità come un valore, perché per loro è difficile sviluppare una maturità emotiva adeguata. O magari la sviluppano, ma i compagni di classe non sempre la capiscono. A noi sembrava peggio estrometterla dall’ora di religione, era come rimarcare in modo più accentuato una differenza culturale, tuttavia il problema si presenta con una certa ricorrenza.

Ma devo ammettere che parlare molto chiaramente, non mentire sulle proprie posizioni anche quando si pensa siano difficili da afferrare per i figli alla fine paghi. E non è stato nemmeno così complesso spiegarle perché non siamo credenti e praticanti, e soprattutto perché ci sentiamo così lontani da una comunità politica e spirituale che nega i diritti fondamentali alle persone omosessuali, portandole l’esempio di una coppia di amiche di famiglia, compagne di vita, che lei stima enormemente e che per lei sono più che zie. Perché vuoi far parte di una comunità che impedisce a loro di sposarsi, di adottare figli, di costruirsi una famiglia come la nostra, influenzando addirittura la legislazione e i poteri politici che potrebbero permettere tutto ciò? A sostegno della tesi le abbiamo mostrato gli esempi degli stati stranieri che, privi di un sistema di opinion leading interno come il Vaticano in Italia, possono difendere le coppie dello stesso sesso dai pregiudizi socio-culturali con l’informazione, con la cultura e, soprattutto, con la legge (ovviamente con terminologia adeguata all’età).

Non so, non nego che la cosa ci crei confusione, ma penso che sia un metodo vincente, alla lunga. Lei potrà comunque non privarsi dell’aspetto favolistico della religione, il Natale e tutto il resto, le feste che hanno un fascino indubbio e difficile da sostituire con un’alternativa altrettanto appagante. Ma se si ripresenterà il problema, sono certo che useremo gli stessi argomenti a difesa della nostra scelta. Per continuare la sana cultura cattocomunista di famiglia.

l’omonima insalata

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Il Belgio è uno di quei posti che pochi associano a una vacanza, o a un paese in cui trasferirsi. O quelle nazioni che quando pensi all’estero ti vengono in mente. Non so, magari succede solo a me, ma prima di arrivare al Belgio la mia classifica di luoghi del mondo passa in elenco una sfilza di altri stati e città. Complice anche qualche episodio di cronaca che ha alimentato il generatore di luoghi comuni e relative battute sui comportamenti di chi vive lì. Però pensavo proprio questa mattina a una serie di prodotti culturali del Belgio che si posizionano molto bene nelle mie personali categorie di appartenenza, trovo giusto quindi rendere omaggio a una piccola grande civiltà.




apologia di ciclismo

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La prima cosa che ho fatto quando mi sono trasferito a Milano è stata acquistare una bellissima city-bike. Provenendo da una terra in cui le strade pianeggianti sono poche e prese d’assalto da numerosi automobilisti, il cui numero centuplica nel fine settimana aumentando esponenzialmente la pericolosità e il disgusto del ciclista, ho finalmente coronato uno dei miei sogni, quello di spostarmi il più possibile usando le due ruote a pedali, tanto da giustificare un investimento. Per inciso, si è trattato di una scelta sulla quale ho subito le pesanti critiche degli esperti del settore: non bisogna badare all’estetica del modello, mi sono sentito ammonire, bensì al peso del telaio e alla maneggevolezza. In effetti la mia bici, che tuttora possiedo, è, mi si passi il termine, fighissima, in quanto unisce il design delle bici da uomo di una volta, quelle con i freni a bacchetta, alla più recente tecnologia (almeno pare): un cambio con rapporti e velocità che ne aumenta la flessibilità e la rende adatta a qualsiasi terreno. Ma è tutt’altro che leggera: grigia in alluminio proprio non mi piaceva, e il modello nero che ho comprato pesa praticamente il doppio. Ma il mio senso estetico è appagato. L’ho presa da Rossignoli in Corso Garibaldi, il che rende me ancora più milanese e la mia bici ancora più figa.

E il problema della mia bici è proprio la sua, mi si passi ancora il termine, figosità. Nel senso che non posso utilizzarla come vorrei, lasciarla per esempio incustodita in stazione, perché i furti di bici sono all’ordine del giorno. In un paio di anni me ne sono già sparite due, tanto per dire, una delle quali a fatica la si poteva definire bicicletta. Addirittura la seconda, che avevo insanamente legato solo per la ruota, mi è stata sottratta per tre quarti, unitamente al cerchione della bici che era parcheggiata lì a fianco, cannibalizzata dal ladro per portare a casa un esemplare completo. Così la mia bici, mi si passi per l’ultima volta il termine, fighissima giace chiusa in garage per cinque giorni la settimana, mentre devo continuare ad adoperarmi per sistemare catorci arrugginiti muniti di catena, comprati appositamente per essere il meno appetibili per i ladri. Una strategia che comunque, come ho detto sopra, non sempre ripaga.

Nella mia società ideale, quindi, i ladri di biciclette non esistono. Ma una sagace via di mezzo tra il mondo delle idee e la realtà potrebbe essere sfruttare i mezzi su rotaia per caricare le proprie bici la mattina, per poi sbarcarle nel centro di Milano e raggiungere l’ufficio pedalando per gli ultimi cinquecento metri, questo almeno all’interno dell’area metropolitana di cui fa parte il mio paesello. Sta di fatto che invece ho provato, la scorsa estate, a coprire invece l’intero tragitto casa-ufficio in bicicletta, venti chilometri circa, impiegando poco più di quaranta minuti, che è meno di quanto impiego normalmente per il percorso da portone a portone completo di attese sui binari, per non parlare dei treni in ritardo e degli imprevisti vari. Certo, ci si tiene anche in forma, così. Ma farlo assiduamente comporterebbe alcuni risvolti spiacevoli: gli scarichi delle auto, la quantità di auto stesse nei mesi di maggior traffico, le condizioni in cui si arriva in ufficio e l’impossibilità di farsi una doccia al lavoro. Il sistema precluderebbe anche la mia finestra di lettura sul treno, le pennichelle al ritorno e gli ameni incontri di varia umanità che non mi si risparmiano mai.

Comunque l’aver scoperto e appurato che la bici è un mezzo realistico di trasporto anche per distanze medie mi ha aperto nuove possibilità. L’investimento previsto per potenziare la rete di piste ciclabili a Milano, quindi, non può che farmi piacere. E se da una parte il dibattito sull’uso dei soldi pubblici è acceso e l’opinione pubblica talvolta sfavorevole, dall’altra togliere porzioni di spazio alla carrabilità delle vie cittadine con corsie dedicate alle due ruote può essere anche interpretato come un deterrente per i mezzi a motore. Complicare la vita agli automobilisti, nei punti raggiungibili dai mezzi pubblici, può essere un modo per spingerli a lasciare l’auto altrove e muoversi diversamente. Aggiungerei “bestemmiando”, ma voglio essere ottimista, nella mia visione dell’ecologia degna della famiglia dei Barbapapà.

questa zozza società

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D’altronde con qualcuno bisognerà pur prendersela, se è il primo giorno di lavoro dopo le ferie e piove e il treno viaggia con diciotto minuti di ritardo circa. Questa zozza società che ho visto ampiamente rappresentata sulla tratta Olbia-Civitavecchia, clientela tutta italiana perché dal nord Europa ha più senso imbarcarsi da Genova. Ce l’hai accanto e ti riporta alla realtà, l’Italia, anzi, l’Italia 1 che è fatta di treccine afro (probabilmente impazzavano gli intrecciatori sulle spiagge sarde e si tratta di una pettinatura alla moda), di labbra a canotto, di pelle tirata artificialmente e ammennicoli vari di cui ci beeeeeiamo (cit.) di fronte ai nostri simili, una spettacolarizzazione in cui manca solo un Teo Mammuccari che ci presenta uno a uno con il suo verso da agitatore di folle che tanto ci piace e chiede un applauso per ogni tratto osceno che nota in noi. Ma anche una zozza società in cui si vive per le ferie che poi finiscono, tutto riparte tranne l’economia perché manca la manovra, anzi c’è ma ogni giorno cambia e i mercati si burlano delle nostre zozzerie. Mi unisco allora al coro degli stornellatori, perché qualsiasi cosa sembra meglio, figuriamoci poi il vinello bianco fresco fresco che ti taglia le gambe, quindi mi alzo in piedi e dedico l’ultima strofa a questa società a responsabilità limitata in cui oggi sono rientrato al lavoro, che un po’ zozza lo è ma non dico perché, magari qualcuno che mi conosce passa di qui e lo legge.

italien

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So che li abbiamo mandati via più di una volta, e l’ultima è stata anche particolarmente cruenta, tanto che l’anniversario di quella volta lì è diventato una delle più importanti feste nazionali, migliaia di noi hanno sacrificato la loro vita per liberare il Paese da loro che in quel particolare contesto storico erano gli invasori e anche piuttosto molesti. Ma ora che regole internazionali e unioni varie hanno sancito una sorta di fratellanza, o almeno una non belligeranza, ora che possiamo considerarci a un livello di civiltà tale per cui ci si può fidare anche dei nostri ex-nemici, ora che condividiamo persino la stessa moneta, non potremmo chiedere alla Germania di prenderci in gestione? Cari amici tedeschi, vi affidiamo questo complesso residenziale, industriale e turistico, che potrete risanare come avete fatto con la vostra parte orientale dopo il crollo del muro. Scegliete pure quale percentuale sui profitti volete trattenere, ci fidiamo ciecamente del vostro premier, a differenza del nostro attuale. In cambio possiamo anche offrirvi soggiorni in incantevoli località di villeggiatura a prezzi di favore, so che non ne avete bisogno, in ogni caso decidete voi come organizzarci. Cambiate l’organigramma a vostro piacimento, scegliete quali settori produttivi mantenere, quali affidare in outsourcing, quali bonificare, quali dismettere. Prepariamo un contrattino per, che so, dieci anni? Venti? Che ve ne pare?