dacci oggi il nostro pane quotidiano, e rimetti a noi i nostri debiti

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C’è un paese alle porte di Milano in cui l’Amministrazione Comunale ha un ammanco di molte migliaia di euro. La colpa di questo – chiamiamolo – buco è dei cittadini, a dimostrazione che non ci sono solo problemi di sperperi o di cattiva gestione ma anche di insolvenza dal basso. L’evasione fiscale riguarda il buono mensa scolastico, che a giudicare dalla cifra in rosso sembra diventato un fenomeno non tanto di massa quanto di una elite di recidivi. Da qualche anno l’amministrazione ha introdotto il sistema di ricarica sulla Carta Regionale dei Servizi, alcuni esercizi locali sono dotati del dispositivo elettronico per trasferire crediti sulla tessera magnetica e le famiglie che hanno figli interessati al servizio possono mettersi in regola in anticipo sia in contanti che tramite carta. Ma la procedura di pagamento preventivo purtroppo non funziona in una società dove, non appena l’istituzione abbassa la guardia e mostra fiducia, il cittadino indossa la maschera della disonestà, per non dire che svela il suo vero aspetto latente da ladruncolo.

Un tempo vigeva il complicato sistema dei buoni cartacei affidati ai bambini, che però, a parte l’essere costoso e non informatizzato, metteva le famiglie morose direttamente di fronte alle loro responsabilità. La maestra poteva intervenire tempestivamente con i genitori, e anche se questo non risolveva i problemi di povertà di alcuni nuclei famigliari poteva tenere lontana la tentazione degli altri, per evitare brutte figure ai piccoli di fronte ai compagni e agli insegnanti. Ora invece il processo è tutto nascosto, i bambini accedono alla mensa ogni giorno e solo chi gestisce il servizio a monte è in grado di intervenire verso chi non paga. E la questione è più delicata, perché è sacrosanto che tutti paghino il loro contributo affinché il serivizio mensa possa continuare, ma l’Amministrazione correrebbe il rischio di rendersi impopolare, pur perseguendo una giusta causa. Perché i casi di ripercussione sui bambini, in altre città, a cui è stato negato il pranzo o in cui si è minacciato di procedere in tal senso hanno sollevato un polverone. E allora ci si chiede come giungere a una soluzione.

Il sistema telematico è sicuramente la strada giusta, ma dovrebbe essere completo. Per esempio dotando i bambini di un badge (che potrebbe essere la loro stessa CRS) e installando un lettore nelle mense scolastiche si tornerebbe al livello di controllo quotidiano dei buoni cartacei. Non si negherebbero comunque i pasti agli affamati studenti ma maestre e scuola avrebbero il controllo della situazione. In alternativa, le famiglie che decidono di avvalersi del servizio di mensa dovrebbero comunicare obbligatoriamente l’IBAN del loro conto corrente al momento dell’iscrizione a scuola e periodicamente sarebbero soggette all’addebito automatico della quota, anche questa sembra una via percorribile. Insomma, l’importante è adempiere al proprio dovere e pagare tutti, i pochi euro di quota per far mangiare i figli un genitore scrupoloso li riesce a trovare, ne sono certo.

via cogne schianto mortale, guarda subito il video

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Che faccio, clicco o non clicco? Sul corriere on line ho disponibile l’ennesima ripresa dai circuiti di videosorveglianza di una tragedia, gente che muore in diretta e che i sistemi di sicurezza registrano indiscriminatamente e poi, non si sa il perché o il percome, i video finiscono in mano alle redazioni e quindi alla mercé di persone come me. Siamo quelli che rallentano quando c’è un incidente in autostrada, che si fermano a contemplare le risse, che abbassano il volume dello stereo quando i vicini di casa litigano. Siamo quelli che si fanno gli affari degli altri quando gli affari degli altri sono succulenti, pruriginosi, involontariamente tragici o grotteschi. Siamo quelli a cui i reality show ci fanno un baffo, un po’ perché oramai si tratta di un format trito e ritrito, un po’ perché si vede lontano un miglio che è tutta una finzione, che quando ci troviamo di fronte a una realtà aumentata abitata da persone che spingono sull’acceleratore dei loro difetti che possono piacere di più agli sponsor ci meravigliamo dell’ingenuità di chi ci casca, di chi li segue anche sui forum e sui social network. I video degli incidenti, degli scippi, delle rapine, quello è pane per i nostri denti, peccato per l’audio, sentire il rumore di un impatto, le grida di aiuto, i pianti di disperazione conferiscono tridimensionalità agli avvenimenti e fanno passare in secondo piano la qualità pessima delle immagini. Immagini come queste, una berlina che accelera a un semaforo per sfuggire alla polizia e centra in pieno un’automobile causando la morte di un uomo, così dice l’articolo. Non si vede nulla, non si vede sangue, potrebbe essere una finzione. Quindi che faccio, clicco o non clicco? Clicco, che domande. Clicco e parte la pubblicità, e immediatamente capisco a cosa serva la pubblicità sui video on line. Pensare a un ufficio marketing che consente che il proprio brand sia visualizzato prima del video di una tragedia da persone come me. Perché io non vorrei che persone come me comprassero i miei prodotti. La pubblicità prima dei video on line serve a far riflettere su questi aspetti, e dura sufficientemente a lungo affinché si possa avere il tempo di chiudere la pagina del browser prima del video dell’incidente e a promettere a noi stessi di mettere a tacere il nostro lato morboso per sempre.

nomi impropri

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Quando penso a iniziative tipo “adotta una parola” mi rendo conto che ci sono termini che nessuno prenderebbe mai con sé, e non mi riferisco alle volgarità comuni, quelle che sentiamo ogni giorno. Esistono nomi di malattie, medicinali o di oggetti legati all’ospedalizzazione come catetere, per esempio, che sono brutti, sfido a farli propri. Incarnano significato, significante e segno in una aberrazione semiotica che chiunque pagherebbe per veder le lettere di cui sono composti svanire ad una ad una come le scritte sul vapore dei vetri, ma ci vuole ben altro. Forti dell’appartenenza a un vocabolario tecnico, invadono le vite come soprammobili regalati da terzi che ci conoscono poco e tirano a indovinare circa i gusti altrui, così ti restano in casa perché ti vergogni a metterli in cantina che poi se l’autore del dono passa di lì non sapresti come giustificarti. Speri però che il gatto in un eccesso di entusiasmo da appetito o da gioco faccia cadere quella macchia scura che fa parte della tua vita ma di cui faresti a meno, era proprio un bell’oggetto ma Birillo sai come sono i gatti, inseguiva una mosca e l’ha mandato in mille pezzi. Ecco, ci sono tante parole di cui faremmo a meno, pensate ai nomi dei disturbi della memoria, il termine stesso demenza senile, che smacco alla dignità di una donna o di un uomo o qualunque persona che ha vissuto decenni lavorando, allevando figli, giocando a carte o leggendo romanzi gialli o terminando cruciverba senza usare il dizionario. Demente sarai tu, qualunque cosa tu sia.

mi fai stare bene

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Non c’è nulla di personale da parte mia contro Biagio Antonacci, comincio così queste futili righe di pensieri per mettere le mani avanti, e dal momento che fare gaffe è una mia specialità ci tengo a mantenere i buoni rapporti con tutti. Consideratela una forma di prevenzione per commenti di fan invasati scritti in caratteri maiuscoli e zeppi di punti di sospensione e punti esclamativi, tipo “CHI SEI PER CRITICARE BIAGIO…… NON VALI NEMMENO LO SPORCO DELLE SUE DITA DEI PIEDI!!!!11!!1!… PRIMA DI SPARARE SENTENZE INFORMATI!!!!11!!”. Il rischio di chi ha un hobby come il mio (sì, posso considerarlo un hobby) è di trovare sui propri passi qualche setta o singoli cani sciolti pronti a insultarti gratuitamente quando esprimi pareri personali perché sai che chi ti legge solitamente la pensa a grandi linee come te, quindi ti esponi liberamente convinto di poter ricevere solo encomi.

E la cosa bizzarra è che con Biagio Antonacci pratico una sorta di negazionismo, nel senso che nego la sua esistenza perché vi giuro non saprei dirvi un solo passaggio di una sua canzone tantomeno cantarne un refrain. Il titolo stesso del presente post, omonimo di un suo successo, l’ho trovato su Wikipedia, e l’ho usato perché mi sembrava attinente a quello che volevo esprimere. Biagio Antonacci mi risulta talmente anonimo che non escludo di aver potuto ascoltare qualche suo successo passato da quelle emittenti radiofoniche specializzate in nullità locali, ma così sui due piedi, senza fare un minimo di ricerca in rete, mi trovereste completamente spiazzato. E mi succede con pochi, gente del calibro di Gatto Panceri, Dolcenera o quegli avanzi di Amici o di X-factor tra i quali è raro trovare il personaggio in grado di emergere. Si, lo so, siete inorriditi nel veder il vostro idolo che comunque deve essere in attività da anni (confermate?) alla stregua di un qualsiasi vincitore di talent.

E sapete come so che c’è gente che è fan di Biagio Antonacci? Ho assistito in diretta a una serie di telefonate di una collega che prima ha concordato tutta fremente l’acquisto del biglietto di un suo concerto, poi ha preso accordi in modo eccitato il giorno stesso per recarvisi, quindi ha commentato dinanzi a tutti, parlando con un interlocutore misterioso, sperticandosi in lodi la performance il giorno dopo, e a giudicare dalla voce roca doveva aver supportato il suo beniamino vocalmente per l’intera durata della scaletta, e lì per lì mi sono chiesto come abbia fatto a non confondersi. Ma oggi, finalmente, la prova del nove: passo a fianco di una automobile in coda a un semaforo, la musica dentro a tutto volume con i finestrini chiusi, e una donna che canta a squarciagola interpretando perfettamente la sofferenza della melodia. Non capivo la struttura del pezzo, e grazie a mia moglie ho appreso che si trattava di un brano proprio di Biagio Antonacci. Io lo stavo confondendo con Nek, pensate un po’, e quando ho saputo la verità ho appurato che Biagio Antonacci, rispetto a Nek, è ancora più da sfigati.

ritorno al futuro

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L’aspetto che mi piace di meno dei ricordi delle storie d’amore – è già la seconda che mi capita a tiro nel giro di due giorni – o delle semplici avventure che sento narrare dalle persone che più o meno hanno la mia età, imprese ambientate ai tempi della loro gioventù e che era anche la mia, è che spesso hanno come colonna sonora o canzone di riferimento pezzi anni 80 ma di quelli che dovrebbero già essere morti e sepolti e che invece, vuoi per la mania del trash, vuoi per tutte le operazioni nostalgia che si sono ripetute in seguito, alla fine siamo ancora qui a parlarne e non è così raro accendere la radio, in qualunque momento della giornata, fare un po’ di zapping tra i canali e sbatterci il muso. La tesi di fondo, come ho avuto più volte modo di argomentare in questo spazio, è che a furia di vagare nel nulla oramai siamo spinti a considerare tutto quello composto all’epoca delle giacche spencer vere chicche artistiche, e allo stesso tempo si giunge a una sintesi in cui Simon Le Bon appartiene a una stessa categoria di Adrian Borland, per esempio, quando invece erano celebrità di riferimento di target agli antipodi e la sola idea mi fa rabbrividire. Quindi vengo a sapere di feste in cui lui nota i capelli vaporosi di lei sulle note di Broken wings dei Mr. Mister, o che gente del calibro dei Cock Robin ha unito coppie sopravvissute fino ad ora, malgrado abbiano danzato la prima volta l’una di fronte all’altro guardandosi negli occhi e mormorando insieme “remember the promise you made”. Fossi in loro non andrei a raccontarlo così in giro.

sopra la notizia

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Il valore aggiunto del commento alla semplice pubblicazione della notizia “as is” impreziosisce il fatto riportato, costituisce una sorta di firma del giornalista e ne giustifica lo stipendio. Ma i commenti a voce sui video un po’ così, intendo quelli che si trovano su youtube e che vanno a popolare le colonnine delle stronzate sulle home page dei principali quotidiani nazionali, che senso hanno? Video che siamo oramai abituati a trovare e vedere in autonomia perché sufficientemente autodidascalici, non necessitano alcuna spiegazione, si capisce benissimo di cosa si tratta. Il Corriere cade sempre nella fastidiosa abitudine di aggiungere la propria interpretazione anche su notizie in cui ogni di più è superfluo nonché irritante. Naturalmente già dopo aver descritto di che si tratta nell’abstract in home, nel titolo e nell’occhiello e nel testo dell’articolo, i casi in cui il video è quindi solo un supporto multimediale a testimonianza della notizia di cui si tratta. Voglio dire, guardate questo esempio: era il caso di fare un servizio e sovrapporre la voce della giornalista a immagini così esplicative? E, soprattutto, era il caso che io ci scrivessi su un post?

Aggiornamento: su Repubblica on line, il video è nudo e crudo.

il vaffanculo al tempo della crisi

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Ho pensato che dovrei contare fino a dieci prima di scrivere un post come questo, in cui cerco di concentrare tutto il veleno che vorrei riversare su di voi che mi fate perdere tempo al telefono con la vostra disorganizzazione, perché non siete nemmeno d’accordo tra di voi e in più dovrete coinvolgere in un secondo tempo il vostro amministratore delegato. Un approccio che non sarebbe velato di incompetenza se vi limitaste a fare il vostro, di lavoro, perché se ricoprite quella posizione sicuramente lo sapete fare. Ma non vorrei sembrarvi presuntuoso se vi dico che fare il mio lavoro come dite voi non è la maniera più percorribile, e se mi avete scelto come fornitore dovreste fidarvi di me. Ho pensato che dovrei contare fino a dieci prima di scrivere un post come questo, per evitare le scurrilità se non nel titolo così da attirare qualche lettore coprolalo in più ma che riassume un sentimento che provo fin nel profondo, perché anche se te ne approfitti sai che non posso interrompere la mia collaborazione con te, in questo periodo signora mia non si lascia certo scappare un cliente che paga anche poco, e si sente libero di cambiare il brief ogni volta. Perché le proposte creative sono proposte creative altrimenti ti preparo tre, quattro, dieci, mille varianti complete del progetto ma me le devi pagare tutte, perché ti devi fidare di me: la proposta che sceglierai con tutte le sue immagini provvisorie e tutti i lorem ipsum, alla fine vedrai che sarà piena dei contenuti e dei valori e della filosofia della tua azienda. (avevo aggiunto “di merda” ma lo ho cancellato, grazie allo sfogo che la scrittura comporta un po’ di rabbia era scemata e ho pensato che forse era un finale troppo forte, che dite?)

un pianeta terra terra

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Sabato più pioggia uguale centro commerciale. Non fa una piega, e sono in molti a non farla. Come si usa dire, la crisi non c’è perché mangiano tutti da Spizzico. Sarà.

Il centro commerciale in questione una volta era il Gigantesco Supermercato in mezzo a una galleria di negozi, i soliti brand che resistono perché con la loro solidità economica che si chiama franchising sono gli unici a potersi permettere l’affitto dei muri. In quel Gigantesco Supermercato, nel cuore del centro commerciale, fino a qualche tempo fa era messo tutto alla rinfusa, essendo talmente grande da rendere vano un modo strutturato e intelligente per guidare il visitatore lontano dalle sue necessità segnate a matita su un post-it e vicino alle offerte di tutto quello che non avrebbe mai voluto comprare ma che poi alla fine si ritrova nel carrello. Su questo, lo sapete meglio di me, ci sono studi e strategie mica da ridere. Così si sono inventati la formula Planet, che consiste nell’aver reso il Gigantesco Supermercato un vero e proprio sistema di consumo, il pianeta acquisti su cui si atterra dopo aver sorvolato i negozi satellite intorno e i vari spazi di ristoro. Dentro, ora colpisce il perfetto ordine, l’estetica ammiccante del restyle, il corpo perfetto di una creatura feroce quanto disciplinata composta di tutti i prodotti, tutte le scatole, tutti i barattoli ognuno nel proprio spazio dedicato. Congegni vitali che rendono l’esperienza del visitatore un viaggio allucinante nell’organismo di un essere vivente spietato e pronto a digerirti per poi espellerti, scontrino alla mano.

Nella apparente calma delle funzioni involontarie, la respirazione nel reparto alimentari, il battito cardiaco al banco gastronomia con il continuo bip bip del display che aggiorna di una unità alla volta il turno di chi deve essere servito, ecco l’apparato riproduttivo che è quello che attira di più l’utenza maschile e giovane: elettronica informatica e videogiochi. Un percorso segnato in rosso tra gli scaffali conduce a un salottino, due poltrone di fronte a una playstation con tv lcd. Due ragazzini obesi, conciati alla moda e con i capelli passati alla piastra, stanno giocando a sparare e uccidere persone finte, dentro lo schermo a non so quanti pollici tanto che assassino e cadavere sono in scala di poco inferiore all’1:1. La grafica è impressionante, sembra un film. L’audio è in qualità perfetta: dialoghi, colonna sonora e i colpi di pistola risuonano tutto intorno. Dietro, la fila dei curiosi che vogliono provare.

l’uomo del pan di stelle

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novecentouno

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Alessandro Baricco è uno di quegli autori che come Tolkien e Fabio Volo, e non me ne vogliano i fan dei tre scrittori citati e accostati nella stessa frase che probabilmente inorridiranno gli uni degli altri, non ho mai letto e mai leggerò perché so a priori che non mi piacciono. Scrivono cose che so che non mi interessano. La vita è troppo breve per rischiare un libro, tutti mi dicono di no, un libro può riservare una sorpresa ma so già che la sorpresa non arriva mai. Soprattutto se è mediocre tanto quanto il suo autore. E come loro ce ne sono migliaia, ma gli appartenenti alla triade di cui sopra li vedo spesso accostati, citati, accompagnati, inseriti in contesti che confermano il mio disinteresse o, nel caso della beatificazione mediatica in diretta di Renzi, il mio disprezzo. Anche perché Baricco, scusate la schiettezza, mi sta pesantemente sui coglioni. D’altronde, un politico di moda non poteva che ospitare uno scrittore di moda, al suo festival dell’esuberanza delle personalità, piacioni in passerella che si riempiono la bocca di parole di moda come meritocrazia. Sì, proprio Baricco.