c’è un sito che non è mai offline

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La mente è un luogo arcisicuro per dire le cose, dimostrare le proprie opinioni, sentirsi dare ragione, volendo anche vivere vite parallele a qualunque realtà reale o virtuale. Nella mente nessuno osa porre obiezioni ma malgrado ciò talvolta non è facile giungere a conclusioni. Se non sei determinato finisce che anche lassù inizi a trovare qualcuno che ti mette i bastoni tra le ruote e che a furia di sinapsi ti conduce lontano con l’illusione dell’incommensurabile che invece è una bella fregatura, ci potete scommettere. Sempre a spostare sti cazzo di confini del pensiero più in là e poi chi è che ha il biglietto per arrivarci o le gambe o mezzi propri, perché finisce che ti ritrovi spompato con il fiatone alla porta della percezione e invece – sorpresa – dietro non c’è altro che il locale contatore, e c’è da ritenersi fortunati che con il libero mercato dell’energia ogni due per tre c’è qualcuno che va a dare un occhiata per sincerarsi che i neofiti imprenditori dell’elettricità low cost non abbiamo combinato qualche casino. Come ogni condominio che si rispetti, anche nella mente c’è il pensionato tuttofare che ti riporta nelle tue stanze e, anche se con modi sbrigativi, bene o male è in grado di riparare qualsiasi cosa. Ma a saper stare al proprio posto la mente è un luogo davvero piacevole per le discussioni, si trovano anche quelli che chiedono consigli e poi fanno quello che gli dici. Leggono persino le cose che scrivi e, volendo, fanno pure sesso con te. Si fanno gli incontri giusti, succedono cose già accadute con insperati capovolgimenti di fronte e finali che nessuno avrebbe mai detto. Si può persino pensare qualunque cosa e soprattutto chiunque in qualunque modo e no, non si lascia traccia da nessuna parte, non ci sono cookie o sistemi che tracciano il navigare della nostra immaginazione, nessuno saprà mai chi ha utilizzato anche impropriamente e senza alcun diritto la persona altrui. Non so voi, io ci sto davvero bene, non ho mai trovato un ambiente più confortevole e anzi ora, e spero di non offendere nessuno, faccio log-out di qui e mi connetto di là come si fa con le reti private virtuali. Un collegamento, purtroppo, esclude l’altro.

3 mesi di emozioni premium a soli €0,99. Goditi un’intera stagione di sensazioni offline e senza pubblicità

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Il vantaggio del sistema emotivo standard va quindi identificato nella possibilità di avere a disposizione una library condivisa alla quale attingere ogni volta in cui ne sentiamo il bisogno. Questo consente l’ottimizzazione delle risorse che, erogate via web, ci permettono di liberare spazio dentro di noi da dedicare a quello che ci pare. Per lo più ricordi e cose di tutti i giorni. Per i non addetti ai lavori, l’esempio da tenere in considerazione è quello della musica. Anziché occupare memoria di pc, tablet e smartphone con i file delle canzoni, è sufficiente richiamarli dal cloud ogni volta che vogliamo attraverso la nostra connessione wireless o telefonica di nuova generazione. La differenza è che, nel caso degli stati d’animo, al momento non è previsto un servizio a pagamento premium, pro o de luxe, quindi già nel contratto base c’è davvero ampia disponibilità di materiali. Ma i meno ottimisti – o quelli più soggetti al fascino dei complotti – già hanno fiutato l’ennesima truffa ai danni dei consumatori. Perché sprecare energie e tempo a gestire anche le emozioni più rare, quelle di nicchia, quelle meno commerciali, quelle che riguardano la minoranza ad alta sensibilità? Perché non lavorare solo sugli aggiornamenti delle emozioni mainstream, magari facendole anche più ampie in modo da accontentare una massa di individui sempre più corposa e da favorire il riconoscimento a questo o quel modo di sentire generalizzato con più facilità? Si finirà con avere un monopolio anche in questo settore così delicato? Facciamo un esempio. Riflettere su cosa saremo tra dieci anni, nel caso di un utente finale quasi cinquantenne, comporta vibrazioni abbastanza similari al ricordo di quello che si provava a distanza di uno stesso lasso di tempo in precedenza, trascorrendo un pomeriggio estivo sotto le frasche di ferragosto. In un futuro prossimo, l’emozione provata sarà la stessa, priva delle sfumature accessorie: l’abbandonare le membra a una proiezione futura del sé sempre più ridotta per ragioni anagrafiche, da una parte, la stessa cosa ma con l’errata consapevolezza che le cose non hanno una fine né uno scopo dall’altra.

prima che il partito dei giovani prenda stabilmente il potere

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La crescita demografica ha subito un tracollo da quando si è consolidata nell’opinione pubblica la certezza che il livello di scontro tra adulti e giovani ormai ha superato ampiamente il punto di non ritorno. Complici i media, gli influencer e le stesse autorità che hanno soffiato sul fuoco a puro scopo strumentale, apparati comunque in mano agli stakeholder e alle lobby fortemente interessate. Consideriamo poi le numerose linee guida malcelate sotto una certa produzione culturale di qualità dubbia, diffusa e anzi favorita come unico linguaggio artistico popolare con finalità di coesione sociale mai portata a termine. Anzi, se è dilagato lo scontro generazionale è proprio a causa dell’esasperazione dell’uniformità: vecchi che si sentono giovani, e giovani a cui non è mai stata proposta un’educazione a come ci si deve sentire, hanno portato all’estremo il loro diritto all’autodeterminazione e quello a cui stiamo assistendo in questa fine di secolo ne costituisce la testimonianza più affidabile. Secondo le indiscrezioni di un portavoce della coalizione degli anziani per salvezza nazionale, la bozza del discorso di fine anno del Capo dello Stato addirittura contiene più di un invito a non darsi da fare per aumentare le fila dei ribelli e dei facinorosi. Meglio aspettare che la natura faccia il suo corso e che gli under-qualcosa si estinguano diventando over-qualcosa, ammorbidendo le posizioni radicali e quel senso di soffoco da mancanza di spazio nella società che li ha fatti imbestialire. Tra l’altro sono molti i casi di esacerbazione di questa psicosi collettiva, e i continui oltraggi subiti da pensionati e dagli utenti delle sempre più numerose strutture di ricovero specializzate hanno messo anche gli adulti di mezza età tutt’ora attivi nella vita economica sul piede di guerra, con tutti i rischi del caso. Ogni gesto sospetto scambiato tra ragazzi viene inteso come un segnale in codice: la condivisione di immagini di cani di razza sui dispositivi portatili, un modo poco ortodosso di legarsi la coda dei capelli con l’elastico, o ancora uno scambio di battute sulle opportunità di business mai prese in seria considerazione qui da noi, come quella di un servizio di telegrammi cantati.

orsi, torri cadute e altri incidenti

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No, non credo che acquisterò l’iPhone 6, quello con il display da settordici pollici e che costa due milioni di lire, che più o meno è lo stesso prezzo che mio papà aveva pagato per la mia prima auto, una Ritmo 60CL bianca super-usata. Non credo che comprerò nemmeno quello più piccolo perché ho  già speso ventun euro per il nuovo disco degli Interpol e in questo momento ho esaurito il budget dedicato ai vizi. Nemmeno inizierò a boicottare il Trentino e tanto meno l’Alto Adige per la storia dell’orsa. Orsù, siamo seri. Le Dolomiti valgono bene un mammifero. Ma questo non è niente, se pensate che cerco persino di lasciar cadere nel nulla nomination in catene dei dieci libri e dieci dischi su Facebook e persino in quella dell’auto-gavettone gelato in testa. Sono stanco, tutto qui. Sono anche vecchio per le trasferte di lavoro, per anteporre un undici settembre a un altro come si faceva da piccoli, per difese strenue di presìdi ideologici o anche solo per mettermi in posa davanti alla camera anteriore da 13 megapixel di uno smartcoso. I tempi cambiano. A mia figlia sta simpaticissima la prof di matematica che è dichiaratamente di CL e mi immagino già come potrà spiegare certe cose di scienze. Ve lo immaginate? Di certo se una specie non si è evoluta a tal punto da dominare il pianeta come facciamo noi, chi siamo per imporre comunque le nostre regole? Gli integralisti dalla parte degli animali invece sono pronti a farsene una religione, di quelle che ti fanno ammattire fino a schiantarti contro i grattacieli. E mamma orsa non me ne vorrà se ho controllato se la mia guida di New York, quella che conservo perché ha in copertina le torri gemelle, è ancora lì insieme alle altre Lonely Planet ad aspettare di diventare un pezzo da collezione. Non ci ero nemmeno voluto salire sopra, avevo preferito la vista dall’Empire State, sapete, sono un tradizionalista. Spero non vi siano sfuggiti, per chiudere, tutti questi dettagli degli ultimi giorni facilmente collegabili con un unico denominatore comune, e se davvero non fossi così stanco, sarebbe interessante rifletterci tutti insieme. Almeno finché mia figlia non si dichiarerà apertamente laica e, con la prof di CL, terminerà irrimediabilmente l’idillio.

se proprio ci tenete a saperlo, ecco come è andata

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Non potete immaginare la mia sorpresa quando noto le pantofole spuntare dalla borsa di plastica. Quel modello di calzature da casa che non vedevo da anni, ne possedevo un paio identico che consideravo preziosissimo perché erano chiuse dietro, avevano una suola anti-scivolo e mi consentivano quindi non solo di giocare interminabili sfide calcistiche da solo in casa, ma anche di auto-convincermi nella consapevolezza di riuscire a emulare i tiri di punizione a foglia morta di Mario Corso, già abbondantemente al termine di una gloriosa carriera sportiva, con una pallina da tennis. Erano pantofole blu con dei ghirigori rossi sulla punta in materiale invernale adatto agli appartamenti di una volta, in cui se non ti coprivi avevi freddo, e sono certo di averne patito la fine del loro ciclo di vita quando il mio piede si è prolungato al numero successivo rispetto a quello e, vuoi il cambio di stagione, vuoi i gusti in evoluzione a quell’età e in quegli anni, non sono state più confermate.

Così la meraviglia nel rivederle è difficile da descrivere e mi distrae proprio mentre mi chino a scrivere i miei dati sul modulo di registrazione che mi viene fornito alla reception. La borsa di plastica, con quelle pantofole e tutta una serie di indumenti che si direbbero usati e oggetti vari, è proprio a fianco del banco dell’accettazione, ma l’aspetto sorprendente è che non appena sottoscrivo con la mia firma uno di quei fogli stampati in corpo sei pieno di norme sulla privacy e articoli e commi che nessuno legge mai, l’hostess la afferra e me la consegna con un sorriso fin troppo fuori luogo ma probabilmente direttamente proporzionale al suo cachet orario in quel ruolo da freelance.

Cerco di appartarmi dopo essermi sottratto al resto della coda che dietro di me si accinge a fornire a sua volta le proprie generalità. Trovo due cataste di sedie impilabili che mi ricordano quelle dell’oratorio delle prime feste e dei primi tormenti ormonali e, provato dalla temperatura eccessiva per la stagione, mi libero della giacca del completo business che qualcuno ha scelto per me – forse perché l’unico mai posseduto – e indago sul contenuto di quel gadget senza dubbio originale. Dopo anni di eventi di lavoro in cui ho accumulato block notes, cartelline, penne e chiavi USB, per la prima volta trovo indumenti e oggetti curiosamente familiari.

Sotto le pantofole da casa dei tempi delle elementari trovo il mio vecchio chiodo, quello molto più tardo, compagno di notti trascorse su giacigli improvvisati in rumorosi centri sociali, momenti di gaio pogo sotto il palco di cover band sconosciute, donato infine a qualcuno in cambio di una promessa poi mai mantenuta. Sotto il datato giubbotto di pelle consumata ecco invece un raccoglitore in plastica di foto. Nella prima ci sono io con un ciuffo che oggi farebbe ridere chiunque in mezzo a una classe quasi interamente femminile, poi una serie di istantanee di una vacanza a Bologna, a casa di un tipo che viveva in una specie di sottoscala in un campanile, senza elettricità.

In fondo alla borsa trovo addirittura un volume Garzanti economico di un poeta italiano del cinquecento, e il frangente in cui ricordo di averlo acquistato – una libreria sul lungomare e una persona che si lamentava del modo in cui spendevo i miei risparmi, senza considerare il fatto che il libro era in offerta – mi permette di comprendere il nesso. Rimetto tutto nella borsa di plastica e mi trovo a sorridere perché immagino così anche il momento in cui ci si rende conto di essere in un posto oltre la vita, in cui non solo ti ridanno il tuo corpo nella migliore condizione in cui risulta essere stato in base a un archivio di dati raccolti nel corso degli anni, ma ti restituiscono pure tutte le tue cose.

Al momento del rilascio del consenso te ne consegnano qualcuna, giusto per sincerarsi che sia davvero roba tua. Poi ti forniscono un vero e proprio magazzino come quei posti dove puoi lasciare i tuoi mobili quando ti trasferisci ma non hai ancora una sistemazione definitiva e ti occorre uno spazio in cui depositarli prima di prendere possesso della nuova casa che magari non è ancora pronta.

E infatti nella seconda di copertina della brochure di cui la ragazza alla reception poco prima mi ha fatto omaggio trovo una tessera plastificata come quelle che negli alberghi ti fanno entrare e uscire dalla camera. Leggo un numero, una data che è quella della mia nascita e un’altra che non riesco a collegare a nulla di importante. Poi noto uno striscione pubblicitario appeso alla parete di fronte, è della società sponsor che si occupa di ritirare attrezzature da fallimenti e di rivenderle a privati e aziende a prezzi vantaggiosissimi. Cerco di memorizzarne l’indirizzo, sono certo che potrei trovare qualcosa di interessante.

inserisci qui il titolo

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«Dovresti esercitarti nei dialoghi, non puoi continuare all’infinito raccontando cose attraverso discorsi indiretti.»

Il solo fatto di aver trovato facilmente con Google la combinazione di tasti da digitare per ottenere i caporali aperti e chiusi, come nei libri stampati, gli aveva stimolato un nuovo modello di scrittura, sebbene nei suoi post non sentisse così pressante l’esigenza di cambiare il proprio stile. Considerando anche la discutibile popolarità che stava riscuotendo, testimoniata dal freddo rendiconto delle statistiche, non vedeva un gran bisogno di apportare novità. Ma quell’interlocutore inventato, che solo grazie a interventi in prima persona aveva trovato come attirare il suo interesse, sembrava non voler lasciarsi scappare un’opportunità così facile per ritagliarsi un po’ di consenso.

«Non so. Sono perplesso.» gli rispose. «Di certo dipende dall’autorevolezza della controparte. Non mi pare, tanto per fare un esempio, che alle tue parole corrisponda una personalità stand-alone. Sei in grado di provarmi il contrario?»

Non aveva tutti i torti. Dare voce a personaggi inventati per finzioni narrative era provato essere una pratica rischiosa per certi autori come lui, con poca esperienza editoriale, anzi nulla. Potevano manifestarsi infatti controindicazioni ed effetti collaterali. Potevano prendere vita alter ego con sufficiente attitudine all’indagine psicologica da notare e mettere per iscritto dettagli intimi spuntati dalla sera alla mattina, nuove angosce o pensieri fino ad allora compressi dalla quotidianità. Ma anche particolari fisici mai notati a causa dell’abbigliamento consono alle stagioni fredde, tutti quegli strati da cui si capisce poco o niente di come è fatto un corpo. Carne in eccesso all’estremità inferiore della schiena strizzata sopra la cintura. Ma anche cose ridicole come singole sopracciglia di lunghezza spropositata rispetto ai parametri medi di crescita.

«Ti ricordi quella pratica di fotografare due persone in un unico scatto separate tra di loro?» lo incalzò per ritagliarsi ancora qualche istante di vita prima della fine del post. «Così si stampava una sola copia per risparmiare e la si tagliava a metà con un soggetto in una e uno nell’altra da consegnare ai rispettivi interessati? Potrei essere la persona ritratta nella parte mancante di quella che hai trovato nell’agenda di seconda liceo a casa dei tuoi genitori.»

L’autore provò a ricordarsi di quel particolare. Poteva trattarsi di uno di quegli amici vestiti da comunione e liberazione, con k-way, abiti sportivi e scarpe da trekking come se dovessero farsi trovare sempre pronti a inerpicarsi su per le montagne per avvicinarsi il più possibile a Dio. O peggio, uno di quegli esagitati fanatici dei videogiochi da bar che muovevano il loro corpo in modo osceno, simulando quasi un amplesso con la macchina, dando così maggior potenza alla mano sul joystick e alle dita sui pulsanti per far saltare ammassi di pixel antropomorfi verso monete, cuoricini, frutta e varie amenità remunerative.

«Meglio che torni a esprimermi tra me e me». Questa gli sembrò la risposta più sincera con cui tornare alle sue abitudini. «Magari un giorno proverò con un romanzo, ho già in mente una trama. Se torni nelle bozze di WordPress e te ne stai buono lì è facile che abbia davvero bisogno di un protagonista». Per quella voce invisibile, al momento, non c’era ancora posto.

diritto di recesso

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Ci siamo un po’ dimenticati che quando le cose non funzionano o sono difettose si possono aggiustare, questo perché si fa prima a comprarle nuove. Chissà se ogni tanto pensiamo lo stesso per le persone, se quando devi scuoterle per farle accendere, o se c’è un contatto che rallenta la funzione che dovrebbero avere, o solo se diventano un po’ obsolete perché tutto il resto di quello che c’è – vita compresa – nel frattempo si è mosso verso una direzione diversa, si spera in avanti ma anche rimanere sul posto può andare bene, basta non tirare indietro, ecco, se in casi come questi uno desidera fare a meno di questi individui da riparare, perché così si risolve il problema alla radice, è molto meno faticoso, e mettersi intorno cose nuove tutto sommato è stimolante. Bene, immagino accada anche a voi perché non credo di essere migliore di nessuno, ogni tanto mi scappa da pensarlo ma poi mi gira subito la testa per averlo fatto e mi vien voglia di nascondermi per aver osato tanto.

se ci sembra che la vita ci stia stretta è sicuramente un problema di compressione video

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Quando lavoravo con un programma basato su una timeline, un applicativo non molto differente da quelli più comuni utilizzati tutt’ora per l’editing video o per elaborare animazioni grafiche, mi fermavo spesso a immaginare una analoga rappresentazione visuale del divenire multi-dimensionale. Un sistema in cui tutto poteva essere osservato sin nel millesimo di secondo da vicino a piacimento di qualcuno o qualcosa, tendenzialmente un ingegnere o un visionario di gran lunga superiore persino degli sviluppatori di quell’ambiente software che comunque era limitato e soggetto a fattori quali la potenza del processore della macchina su cui era installato, la perizia di chi era chiamato a smanettarci sopra, il sistema operativo stesso, sapete, l’antica dicotomia tra Windows e MacOS. E di certo non riuscivo a spingermi al punto da riuscire a definire l’esatta o la sufficiente mole di risorse da impiegare per una cosa del genere, in cui in ogni singolo fottuto frame vedi tutto, da Barack Obama che ruota di un miliardesimo di grado la testa che ha percepito lo squillo del telefono rosso, quello che lo collega direttamente con la NSA che di questi tempi dev’essere rovente, fino alla tua vicina che stirava in mutande due estati fa sul balcone, un cane che fugge impazzito dal terrore al primo istante di scossa a Pompei quel maledetto giorno funesto del 79 d.C. o una partita a scacchi telepatici tra due sfidanti del tremilaventi, uno nell’agglomerato del Nord l’altro sul pianeta Vicks Vaporub a qualche migliaio di anni luce di distanza. Bella storia, anche se piuttosto banale, voglio dire non sono certo il primo ad averci pensato e ci sarà tutta una letteratura fantascientifica più celebre ma dovete perdonarmi, non sono un amante del genere. Però sapete com’è, a scrivere uno dà voce a cose che altrimenti probabilmente non direbbe mai a nessuno.

Comunque, tornando al nostro modo di vedere le cose, se provate a immaginare un pannello di controllo così con qualcuno pronto a intervenire in caso di avaria, anche un semplice black-out – e chissà se nel passato non sia già successo – viene spontaneo spaventarsi un po’ e riconsiderare il valore delle cose ferme e immutabili di cui siamo circondati. Quelle di cui hai impostato una geolocalizzazione o anche un semplice posizionamento nella tua camera da letto e ogni sera prima di addormentarti e ogni mattina prima di svegliarti le vedi sempre lì. Ora scusate se parlo ancora di me, lo so che magari voi nel blog cercate informazioni e notizie più varie e interessanti rispetto al personal branding – non è colpa mia se si chiama così – dell’autore, ma vi assicuro che una delle paure più irrazionali che avevo da piccolo era proprio quella di vedere improvvisamente qualcosa di diverso negli ambienti famigliari che precedevano e seguivano alla notte. E tutto perché ero rimasto impressionato da uno di quei sceneggiati – di ottima qualità, peraltro – in bianco e nero che erano in voga ai tempi su uno degli unici due canali televisivi disponibili. Una scena in cui compariva un’urna cineraria sul comodino della protagonista (che potrebbe tranquillamente trattarsi di Daria Nicolodi) durante la notte. Non chiedetemi il perché, non ricordo altro.

Per questo mi piace avere davanti e a lato degli occhi sempre lo stesso “sfondo”, come ormai diciamo a proposito dei nostri pc. L’armadio con le porte chiuse di fronte al letto, la lampada e il libro a fianco, mia moglie dall’altra parte, la tapparella a metà per favorire un po’ di luce eccetera. L’immobilità, il fermo-immagine, ciò che con quel software di cui parlavo prima si può ottenere portandosi da una estremità all’altra della timeline per posizionarsi in un fotogramma preciso, mi restituisce l’illusione che la mia vita, che fino a prova contraria è delimitata da due marker uno a 00:00:00 e l’altro spero il più distante possibile dall’indicazione iniziale, possa essere un elemento da dare per scontato e autosufficiente, in grado di sapersi mantenere costante malgrado c’è tutto un insieme di cose di una grandezza incommensurabile che si sta muovendo per andare chissà dove, da una parte a l’altra e lungo assi che non possiamo nemmeno immaginare. Dev’essere questo che spinge molti di noi, soprattutto di sesso femminile, a cambiare mobili e le cose in essi contenute di posto, di sovente a insaputa degli altri – i mariti, per esempio – per un motivo che ancora non mi è chiaro ma che forse va analogamente ricercato proprio in questa sete di potere. Avere l’ambiente in pugno e soddisfare il fatto che in realtà ogni giorno siamo diversi dal giorno prima e che quindi è giusto che le cose cambino con noi, in peggio o in meglio non lo so, e che non c’è nessuno che ci osserva dall’alto, che una volta spento tutto tira le somme o forse semplicemente siamo vittima di una serie infinita di noi stessi che si spostano a nostra insaputa ma non sappiamo definire in che modo.

spazio 1999

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Tutti si chiedono come sarà la vita nel duemila. Quali attori saranno sulla cresta dell’onda e se ci nutriremo di pillole e di cibi liofilizzati come vaticinano i registi della fantascienza. Se ci saranno alieni a insegnarci come eleggere i nostri rappresentanti o se sarà giusto o no espellere quelli che non stanno ai patti nei movimenti di riscossa popolare, magari con sistemi inutilmente innovativi. Sta di fatto che nessuno crede che le grandi questioni che affliggono l’umanità potranno essere risolte. Non aspettatevi quindi che il trentun dicembre del novantanove sarà l’ultimo giorno utile per le miserie, le lotte fratricide e le guerre, i disastri ambientali, gli incidenti sul lavoro, il terrorismo, la maleducazione o il cattivo gusto di certa gente. I nostri antenati, all’alba del ventesimo secolo, anche loro erano pieni di speranze e non potevano certo immaginare che stesse per cominciare un periodo così contraddittorio, denso di grandi scoperte ma anche di tragedie. Il microchip e l’olocausto.

Ciascuno di noi però spera che il solo fatto che esista un futuro, almeno questo auguriamocelo, permetta di riporre nel domani ogni desiderio di rivalsa o di progresso, perché è così che funziona. Le cose, come le lancette, vanno per forza in avanti e nessuno sarebbe disposto a rinunciare a conquiste quali la libertà dalle schiavitù vere o metaforiche, il presidenzialismo e il sistema democratico o la sanità pubblica solo per un capriccio, per una moda, per un cambiamento fine a se stesso.

Proviamo a immaginare un giorno qualsiasi del duemila, tiriamo a sorte aprendo un libro dove capita. Sommando il numero delle pagine con lo stesso meccanismo con cui certe prof di matematica alla fine simulano la casualità per interrogare sempre gli stessi scansafatiche capelloni, ecco che è venuto l’undici maggio duemila e tredici. Facciamo un gioco. Dove vi immaginate l’undici maggio duemila e tredici? Come sarete e con chi sarete in quello che sarà un giorno qualunque, come oggi e come tutti gli altri undici maggi della storia (lo so che i mesi non si mettono al plurale ma lasciatemi sperimentare un po’ di avanguardie che forse sono anticipi dei trend del duemila) da quando le cose funzionano come sappiamo, con il sole che sorge, la terra che ruota e così via.

Ecco, io mi immagino quel giorno, seduto sugli spalti della palestra di una scuola elementare, c’è mia figlia – che nascerà probabilmente nel 2004 – che gioca un torneo di pallavolo, è ancora piccola e la formula è quella dei più incontri tra formazioni di tre giocatrici. So che devo prepararmi psicologicamente, tra tempi di attesa e gioco l’unica forza al trovare interesse nello spettacolo è l’abnegazione genitoriale, questo non lo dico solo io.

Sono seduto sugli spalti e non so se essere più sbigottito dalle scarpe indossate dalle persone che sono intorno a me o dal fatto che il genere umano abbia trovato un sistema elettronico attraverso il quale incanalare parte della sua rabbia ignorante e dargli voce, tanto che giornalisti e intellettuali vi sfuggono come una volta gli aristocratici si tenevano alla larga dalle bettole e dalle piazze. Questo è ciò che dicono i quotidiani di quel giorno che deve ancora venire.

Ho con me un coso a cui, dal passato, chiaramente non riesco a dare un nome né a descriverne nel dettaglio la composizione ma so che, con quel coso, posso fare delle fotografie e condividerle all’istante con migliaia di persone. Così per evitare di insultare l’allenatore e prendermela con il sistema che ha organizzato in modo pessimo quel mini-torneo a dimostrazione che la cura per tutto ciò che riguarda i bambini è latente in ogni periodo storico – un tempo a sei anni si costringevano i minori a scavare in miniera, oggi chi è preposto all’educazione dei tuoi figli pur pagato si ricorda a malapena il loro nome – ho il presentimento che con quel coso mi metterò a fare foto alle scarpe che le mamme delle compagne e delle avversarie della squadra di mia figlia indossano e le pubblicherò su una specie di bacheca virtuale, alla mercé di una comunità di stronzi come il sottoscritto che vedono la deriva sociale soprattutto negli inutili ghirigori tatuati che le stesse mamme sfoggiano sui piedi. Ma chissà, forse l’undici maggio duemila e tredici non sarà così, noi quattro gatti del PD saremo su Marte a misurare le dinamiche sociali degli extraterrestri – che ci sembreranno tamarri tanto quanto gli italiani – con la nostra presunta superiorità morale ed estetica, che alla lunga però stufa soprattutto in assenza di gravità.

decentrare l’argomento

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C’è tutta la vita di tempo per andare fuori tema, ma a qualcuno capita di rimanere in periferia del nocciolo della questione più o meno sempre. Nell’entusiasmo della risposta, dell’esposizione o dello svolgimento scritto si fa presto a smarrire la strada o a prendere l’autobus o la metro nella direzione sbagliata. Sali su in superficie e ti ritrovi in un altro contesto dove, se proprio hai orgoglio, puoi continuare con la dimostrazione e la ricerca del risultato anche lì, con punti di riferimento nuovi o anche inventati. Rimanendo ai margini c’è comunque tutta una narrazione che ha il tono di quelle circonvallazioni concentriche che ci sono qui a Milano, negozi che passano di mano in mano, mezzi pubblici gremiti e parcheggi selvaggi nel segno della temporaneità. Così c’è chi è preposto a dirti che è tutto bello ma che non c’entra, che non era questo su cui occorreva spendersi, che in un altro contesto saresti potuto anche risultare accettabile ma non in questo. Sei OT, come si dice sul web, sei uscito fuori dal seminato, altrove, altri discorsi, magari altri tempi. Sbagliati, questo è sicuro. E vedete, anche qui, volevo parlare di un’altra cosa ma poi è finita che mi sono perso.