prese per i fondelli

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Se io fossi uno degli stellari teleguidati da Grillo con tanto di microchip impiantato da qualche parte, che gli è successo anche a mio cugino che poi la mattina si è trovato scritto con il rossetto sullo specchio del bagno “benvenuto nel parlamento”, punterei a obiettivi più alla mia portata. Mia nel senso di mia, di me stesso medesimo a.k.a. plus1gmt, non mia nel senso di sua, lui con quella verve da quarto reich può ottenere quel che vuole, visto che tiene in scacco oltre al suo autista capellone che dev’essere Casaleggio clonatosi in versione taxi driver anche milioni di elettori italiani (che comunque rispetto, va be’ non proprio tutti). Cioè tra i programmi dei primi – boh – due mesi? Sei settimane? metterei all’ordine del giorno la definizione di alcuni standard che sono convinto avrebbero un successo sulla gente ancora superiore rispetto a togliere tutta quella cartaccia politicizzata dalle edicole. Altro che un solo canale televisivo monocolore. Io istituirei un unico ingresso usb unico universale per ogni tipo di dispositivo. Una sola presa unica per pc, macchine fotografiche, Nintendo DS, lettori mp3 di ogni marca, smartphone, cose cinesi e Apple, imponendo anche alle case produttrici di non dotare di cavo alcuno le confezioni in vendita. Credo di avere un cassetto pieno e lo so che dovrei buttarli via ma sapete come siamo noi liguri, con un “maniman” fughiamo ogni dubbio e rimettiamo il giudizio al senno di noi stessi del futuro. Maniman non a caso è una bellissima espressione genovese che significa “non si sa mai” e che trasferisce quell’idea neutra che una cosa può accadere e che non sai se è un bene oppure no. Così mi dico maniman che mi si rompono tutti i cavetti e poi me ne pento di averli gettati via. Un secondo importante provvedimento che prenderei è l’uniformare gli alimentatori. Tutti. Hard disk, monitor, scatolotti da collegare alla tv per vedere i film piratati. E chi se ne frega se ogni marchingegno ha una diversa esigenza di approvvigionamento elettrico. Siamo nel 2013, stiamo per risolvere enigmi come i cerchi di grano e il complotto dell’11 settembre, vuoi che non si trovi un modo per sparare dentro a un robo elettrico la corrente a seconda di quanto gli serve? E poi, dall’altra parte, vige la regola del one thing one spinott, una battuta palesemente inventata ma che vuole trasferire l’esasperazione legata all’esistenza di buchetti nei dispositivi domestici tutti diversi. Quindi ti si brasa l’alimentatore del portatile della marca ics, non è che puoi scendere in cantina e riportare in auge quello del vecchio portatile della marca ipsilon. Figuriamoci. L’attacco è diverso. E che due maroni, non nel senso del presidente, eh. Che bello, però, un mondo dove in ogni casa c’è solo un cavo usb e un alimentatore che vanno bene su tutto. Ecco un nuovo orizzonte della domotica, altro che le palle biologiche che ci racconta quello lì.

dalle stelle alle stalle

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Vegani, luddisti, complottisti, fanatici di ogni genere. Gente comune, insomma, come quella che si incontra all’alba per le strade di paese con le borse zeppe di opuscoli sulla fine del mondo che ti ferma, anzi, che ti fermano anche mentre corri per proporti una pubblicazione sulla loro eurovisione escatologica a fascicoli settimanali. In un servizio andato in onda nella puntata di ieri sera di Ballarò, c’era uno di questi stellari che, oltre a non mangiare animali morti (ma nemmeno vivi) e fare karate, ci metteva al corrente sulla sua formazione politica e istituzionale basata su Zeitgeist che, per chi non lo conoscesse, è un documentario che illustra una serie di teorie cospirazioniste di cui l’umanità è vittima, roba che in confronto l’impatto della previsione dei Maya sulla stabilità emotiva delle persone impressionabili è una gita a Gardaland (cit.). Che poi magari tutta quella roba lì è vera e dimostrabile, e uno può farsi paladino della dietrologia sull’11 settembre e cose così. Ma non sulla nostra pelle, sulla nostra economia in questo momento di instabilità dei mercati – per usare un eufemismo – e soprattutto in questa fase di vuoto cosmico che aleggia fuori e dentro di noi italiani. C’è un’intervista a Evgeny Morozov su Repubblica.it  che dovreste leggere. L’approccio di Morozov a Internet, per dirla alla Umberto Eco, se non è apocalittico ci si avvicina abbastanza perché è uno dei pochi opinionisti perplessi sulla costruttività di un canale così democratizzante come il web. Morozov sostiene che l’Internet si stia riempiendo di contenuti di gente come me che ha una teoria o più di una. Per una sorta di vasi comunicanti, questi contenuti di cui ora non sappiamo più che farcene perché se a miliardi di persone corrispondono miliardi di punti di vista, questi contenuti stanno andando tutti a colmare il vuoto politico e sociale. Quindi, ma questo lo sostengo io e non Morozov quindi da qui inizia la parte meno interessante di questo post, figuriamoci qui in Italia dove tutti tendiamo a portare all’estremo tante cose. Lo stellare che ieri sera affermava di mettere le grandi cospirazioni del presente come base su cui formare un’identità politica è un po’ l’avverarsi dei miei peggiori incubi, voglio dire che la fantasia al potere ci può anche stare ma le traveggole no. Spiegatemi che differenza c’è tra un apparato intriso di P2 e massoneria e uno che si regge su baggianate di questo tipo come quella sugli esseri umani negli USA vittima di esperimenti di impianto di un microchip. Per non parlare di un dato oggettivo di cui tener conto. Quando l’altro giorno c’è stata la diretta in streaming della presentazione dei neoeletti del partito stellare, il sistema non ha retto. Troppi tentativi di accesso e la democrazia diretta è andata in crash. Ora, siamo d’accordo che tra i punti del programma c’è più banda larga per tutti, ma se qualcosa non va nella rete in un momento fondamentale come una votazione on line, che si fa? C’è così un problema di divario digitale che è solo la metafora di un divario totale e che mi spaventa un po’.

tutti bene, grazie

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Gente che si riempie la bocca di tutela della famiglia e nessuno che faccia davvero qualcosa per aiutarci, ovvero dare alle famiglie, qualunque composizione abbiano, l’opportunità di passare più tempo assieme anziché vedersi solo a colazione nella fretta di uscire, a cena cotti dopo il lavoro, la scuola, l’allenamento e tutto il resto, negli scampoli di fine settimana al netto delle cose che gli altri giorni non si riescono a portare a termine, in vacanza in coda in autostrada o a ballare il pulcino pio dinanzi ad animatori professionalmente precari e di dubbia sanità mentale.

maggiore, minore e uguale

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Sono gemelli anche nella rapidità in cui consumano il pranzo. Ordinano la stessa cosa, in genere un primo poco elaborato o qualche piatto veloce chiedendo al cameriere, se possibile, di fare presto. Sono gemelli e sono anche colleghi nello stesso studio legale di proprietà dello zio paterno, che non ha figli e si accontenta dei nipoti. Il tutto viziato dal fatto che da quando ci sono loro è anche una sorta di attrattiva per i clienti. Avere due praticanti che sono due gocce d’acqua a tutti gli effetti suona un po’ come sfoggiare un fenomeno da baraccone, nemmeno lo studio offrisse consulenza con l’avvocato cannone, o il divorzista più alto del mondo, o l’esperto in tributi che salta da un trapezio a un altro senza rete, roba che se in ambito legale si potesse fare pubblicità potrebbe essere sfruttato a mo’ di metafora. Oppure il notaio freak che firma atti tenendo la stilografica tra le dita dei piedi. Cose così. Non credo però sia possibile fornire una difesa con due legali che parlano all’unisono e fanno quell’effetto speculare che potrebbe divertire la corte e l’accusa. Dura lex sed lex. Infatti non è il nostro caso.

I due gemelli sono due professionisti presentabilissimi e molto distinti. Due bei ragazzi, davvero. Hanno lo stesso taglio di capelli, la barba di qualche giorno della stessa lunghezza. Ultimato il pranzo e il caffè, li vedi nel cortile interno della tavola calda a fumare una sigaretta da soli, posizionati in perfetta simmetria rispetto a un ipotetico piano cartesiano, l’uno di fronte all’altro. Hanno lo stesso timbro di voce e si esprimono allo stesso modo, un parlato un po’ strascicato ma essenziale. Pochi termini. Frasi concise. Una struttura di conversazione che facilita l’inserimento altrui, almeno tra di loro. Ma non si guardano negli occhi. Lievemente di tre quarti, dialogano come se l’uno vedesse l’altro alla tv mentre risponde, intervistato, alle domande di un giornalista invisibile. Entrambi un po’ curvi, alti uguali, le scapole lievemente sporgenti sotto il cappottino elegante. Capi dello stesso modello, manco a dirlo, ma di sfumature di grigio tribunale lievemente diverse. Stesso discorso per l’abito e le Clarks. D’altronde avere la stessa taglia e abitare sotto lo stesso tetto reca molti vantaggi a due gemelli, per esempio avere a disposizione un guardaroba grande il doppio e scambiarsi i vestiti a proprio piacimento. Un quadretto allarmante, vero? Li osservo e immagino un film horror, avete capito a cosa mi riferisco. Poi rifletto sul vantaggio di essere in due e identici. Avevo sentito di una coppia di sorelle che, iscritte allo stesso corso di laurea, sfruttavano la loro forte somiglianza presentandosi ciascuna due volte allo stesso esame. Una a nome vero, la seconda in vece della sorella, per una divisione perfettamente alla romana del piano di studi. Le foto sul libretto praticamente uguali. Mi ricordo anche di tutte quelle dicerie sui gemelli che soffrono degli stessi dolori e disagi a distanza, c’è anche tutta una letteratura a supporto. Mi chiedo poi quanta percentuale di unità si esaurisca quando uno dei due viene a mancare. Forse la metà diventa l’intero. Nel frattempo i due gemelli rientrano dopo la sigaretta. Uno solo va a recuperare le borse al tavolo, il fratello va a pagare per entrambi.

la virtù dei forse

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La sua pazienza attirava solo donne piene di problemi. La similitudine capacità di sopportazione uguale sicurezza è in realtà un grande equivoco di fondo, una cosa di quelle che si dicono ma che non corrispondono al vero perché si tratta di un modo di temporeggiare camuffato da finto comportamento responsabile. Come alcune definizioni che suonano più come luoghi comuni sulla remissività tipo “quello dove lo metti sta”. A tutti gli effetti era solamente consapevole di avere risorse per sopravvivere fino a quando la situazione non si risolveva da sé. Nel mentre si dedicava con passione ad alcune arti marziali, e nemmeno le più comuni e rese popolari da una corposa letteratura di b movie, ed era così stufo del suo lavoro che pensava addirittura di aprire una scuola tutta sua forte di una cintura e di una metodicità ai massimi livelli.

Ma anche lì pensava che il saper sopportare con tenacia la situazione potesse far volgere tutto al meglio. Una sorta di sacrificio, come se esistesse realmente un sistema di monitoraggio delle intenzioni che consente di accumulare punti fino al raggiungimento di premi finali. Tipo la tessera dell’Esselunga, per intenderci. Solo che se hai una fidelity card puoi tenere sotto controllo il tuo punteggio. Se ti nascondi tutto dentro gli altri non lo capiscono fino a quando dai di matto, e allora niente rasoio elettrico o macchina fotografica. Addio punti fragola. Per farmi capire, lui una volta ha fermato la sua Punto blu petrolio su un viale a tre corsie – era in quella di destra – ed è sceso perché non ne poteva più di ascoltare i rimbrotti della persona piena di problemi al suo fianco e ha proseguito a piedi. Allontanandosi aveva sentito il motore rimasto acceso, nessuno aveva chiuso la portiera, fino a quando aveva svoltato in una strada laterale con i suoi rumori e i locali aperti, che avevano coperto tutto il resto.

Poi non so come è finita, ora ha un Mercedes Classe A quindi di certo ha cambiato la macchina. So anche che allora, ai tempi della Punto, si era convinto di essere davvero un campione di condiscendenza ed era arrivato al punto di dare un’ultima possibilità persino al suo gatto che aveva dimostrato seri problemi comportamentali nell’ambiente domestico da quando lui aveva acquistato un frigo nuovo. Un madonnone tutto cromato classe di consumo energetico A+++ e apparentemente silenzioso ma che probabilmente emetteva di nascosto una frequenza impercettibile all’orecchio umano. Non a quello felino. Ma questa è solo una congettura poco benevola nei suoi confronti e mai verificata. Perché, per farla breve, piuttosto che rovinare il rapporto con il micio e con il suo elettrodomestico, aveva scoperto una specie di casa di riabilitazione per animali vittime di turbe. La degenza del gatto gli è costata anche un occhio della testa, ma pare che tutto sia tornato come prima, ai bei tempi del frigo vecchio che consumava un botto, doveva sbrinarlo anche tre volte l’anno ed emetteva i ronzii che conosciamo tutti e gli altri rumori improvvisi e standard che a volte, di notte, tra quello e i led accesi arriviamo a temere persino un attacco degli ufo. E un paio di volte è andato pure a trovarlo, il gatto, alla casa di cura per animali, fino a quando la convalescenza è finita.

Ma lui comunque sostiene tutt’ora che con le donne invece è tutto diverso. Che poi, a me quelli che dicono “le donne” così mi mettono un nervoso. Siete d’accordo con me che si rischia di generalizzare? Però voglio essere comprensivo con lui, giacché stiamo parlando di due episodi ben circoscritti. Persone che si incontrano e si scelgono, all’inizio per caso ma poi dopo se insistono lo fanno più o meno consapevolmente. E per darvi un quadro completo, dopo aveva recuperato la Punto blu petrolio sotto casa di lei. Gli aveva lasciato le chiavi nello sportellino del serbatoio, come sempre. Quindi aveva condotto successivamente un paio di relazioni con altre ragazze che davvero confidavano in lui per rimettersi in sesto. Mitomani, logorroiche, nevrasteniche, ed entrambe (mi riferisco proprio a quel paio) che dicevano che lui sapeva ascoltarle, comprenderle e dare consigli, dato che difficilmente riusciva a interromperle durante una conversazione tipo. Credo che lui trovasse l’aver pazienza una specie di atto dovuto a queste attestazioni di fiducia, tutto qui. O forse, come viene più naturale pensare, era davvero un modo per starsene al sicuro, misurare le cose e favorire una parvenza di benessere altrui a prescindere dal suo equilibrio. Io, per prenderlo in giro, sostengo che si trattasse di sordità. Lui ride, ma solo perché fa finta di non aver sentito la battuta.

dead man

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Quando uno muore si trova sempre nei giorni a ridosso del funerale qualcuno che sostiene che l’interessato, o meglio il defunto, non è che sia poi morto veramente. Non sto parlando di Elvis Preslely, Bob Marley, Adolf Hitler, Moana Pozzi e tutti gli altri intorno ai quali aleggia il mito della morte auto inflitta per tornare all’anonimato, il cosiddetto suicidio della celebrità, non mi riferisco a questo tipo di sugna per giacobbiti. Solo che c’è spesso qualcuno che è sicuro di vedere la persona che non c’è più che invece c’è, ed è lì a fare qualcosa. Qualcuna delle attività che amici e parenti erano abituati a vederlo svolgere per occupare le sue giornate, raramente invece al lavoro, dietro a una scrivania, al telefono a convincere un giornalista a partecipare a una conferenza stampa. Qualcosa per la quale la persona mancata sarà ricordata dagli altri. Ecco, lo vedo ancora che si aggira lento per la casa in ciabatte con le cuffie wireless calate sulle orecchie che usava per seguire il telegiornale, era un po’ sordo e altrimenti avrebbe disturbato i vicini ma doveva alzarsi per la prostata ogni due per tre, dice uno. Rientro a casa e lo vedo ancora lì seduto in poltrona con i suoi raccoglitori di francobolli in mano, tira fuori i pezzi più rari e controlla se i dentelli ci sono ancora tutti. Li controllava uno ad uno, ed erano operazioni che lo inchiodavano nelle mura domestiche senza limite di continuità, dice l’altro che però si è tratto in inganno usando il tempo imperfetto che fa male alla memoria e fa male ai sentimenti, di conseguenza. Entro al bar e lo sento ancora che litiga con il suo compagno di carte perché è distratto ma è l’unico che gioca con lui e ora, davanti al compagno, il capo squadra non c’è più ma a me sembra che non si sia mosso di lì, dice un terzo. Insomma, il tanto vituperato quarantasette a.k.a. il morto che parla è in fondo qualcuno che ha lasciato se stesso dentro di noi per far sì qualcosa rimanesse anche in sua assenza. Quindi, dichiararlo passato a miglior vita a tutti gli effetti, ci penserei due volte e, almeno, più di tre giorni. Sapete, la politica fa miracoli.

sarò la prima persona a darti il benvenuto

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Qualcuno riaccende le luci, forse l’assistente che è rimasta in piedi all’ingresso, dove c’è l’interruttore. Quella non è né una sala riunioni né un’aula didattica, ma una stanza come tutte le altre, un po’ più grande e adatta a contenere venticinque barra trenta persone sedute, una tv di vecchia generazione con il videoregistratore collegato in scart e una specie di cattedra per chi deve tenere un discorso a un uditorio. Il neon fa i suoi bagliori introduttivi e lascia un po’ tutti delusi, dopo il buio con cui si è seguito il filmato che è appena terminato ci si aspettava un maggiore contrasto, colori più vivi, un surrogato della luce del sole più consono al mood, che dovrebbe essere pieno di speranze e ottimismo. Non a caso quello è uno dei pochi reparti di un ospedale in cui non si cura una malattia, non si guarisce da nulla. Nella maggior parte dei casi si entra e si esce comunque tutti in buona salute.

Ci si riappropria di quel chiarore approssimativo malgrado nessuno cerchi di condividere con il resto del pubblico un po’ di dissenso, stupore, paura e l’ignoto anche solo tramite un’alzata di sopracciglia o altre espressioni mute del volto. Nessuno è nemmeno in grado di capire se, a caldo, le riprese a cui quel gruppo di persone è stato spettatore possano essere categorizzate come film horror, commedia romantica, docufiction o che altro. Gli occhi si abituano alla luce e subentra la consapevolezza degli equilibri delicati da ripristinare. La sensibilità individuale e quella del partner al proprio fianco, la messa in discussione di quell’incontro collettivo programmato come elemento chiave del percorso, la violazione di una intimità alla quale nessuno in altre circostanze avrebbe rinunciato, la difficoltà di comprendere quale supporto morale la presa d’atto di una testimonianza concreta così realizzata possa recare.

L’audio poi, più che le immagini, è stato particolarmente forte, e non nel senso del livello del volume. Sentire le urla di dolore fisico della madre e i versi dovuti allo sforzo con cui esercitava le spinte. Le direttive dell’ostetrica e dell’infermiera che, intorno alla vasca, cercavano di tenere sotto controllo tempi e modalità di quel parto naturale in acqua. Il padre che alternava il ruolo di cameraman a quello di fornitore di supporto alla moglie, ora tenendola per mano e ora incitandola a portare a termine quel prodigio naturale che è la nascita di un essere vivente. Il gran finale, con lo zoom sulla creatura proiettata fuori, presa in consegna dall’equipe medica e indotta a salutare il mondo con un pianto esplosivo, coperto a tratti dai commenti disinibiti del papà con la bocca così vicina al microfono della telecamera. Il tutto senza titoli di coda, una colonna sonora, una fotografia adeguata. Ma lo scopo di aver mostrato quel video sul parto non è entertainment puro, come è facile immaginare. Il corso pre-parto comprende anche quell’esperienza necessaria quanto discutibile, un monito su quanto coinvolgerà quel gruppo di ascolto temporaneo inevitabilmente, di lì a poche settimane. Le primipare sembrano consapevoli di ciò che svilupperanno da sé per sopravvivere, i compagni si fanno domande. E il fatto che il filmato sia finito non risolve il problema. Proprio no.

facce da culto

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A me più che il culto della personalità disturba il culto della faccia. Se poi è un faccione un po’ paciarotto, che è un termine che si usa da queste parti per essere personalmente corretti con le persone diversamente magre, il fastidio è doppio. Ma non perché ce l’ho con gli obesi. È che spesso non rispettano alcune linee guida a cui è importante attenersi quando si fa un ritratto. Lo spazio intorno tra il viso e i bordi della foto è ridotto ai minimi termini quando è ritratto uno con il faccione. Poi mettici la barba e i capelli arruffati che azzerano l’aria sopra e sotto, il volume aumenta e l’impatto sulla capacità di sopportazione è ancora più forte. A questo, nel caso del culto della faccia, si aggiunge il vedere la faccia da tutte le parti. L’onnipresenza del faccione sui simboli di partito, sui profili Facebook degli adepti al culto del faccione, nei servizi ai tiggì perché il faccione non vuole partecipare dal vivo ma finisce che ogni due per tre si manifesta come un fotogramma subliminale che qualcuno mette in mezzo ai film e ai programmi per i più deboli di opinione. Tutto questo genera sovraesposizione ma di quel tipo che non te ne accorgi subito. Perché all’inizio è un fenomeno folcloristico e ne abbiamo avuti a bizzeffe in tutti questi anni, pensateci un po’. All’inizio ridevamo del Bossi e dei suo sproloqui, ridevamo di Berlusconi e delle sue bausciate, ce ne stavamo divertiti al sicuro della nostra democrazia finché le loro facce emiparetiche e rifatte a botte di migliaia di euro hanno iniziato a essere parte integrante della nostra vita perché delegate a rappresentarci a noi stessi, all’Europa e al mondo. Oggi è tempo di nuovi faccioni i cui lineamenti si sono sedimentati su milioni di persone pronte a vibrare agli ordini dell’ennesimo uomo forte e miliardario di cui il faccione è l’apoteosi, nella prossemica dell’atto del proferire la cosa intelligente, che poi sotto sotto nasconde una comanda. Fate così e fate cosà. Nel frattempo il faccione è entrato nelle nostre case, lo vediamo in tutte le salse ma sempre in differita, si è installato come un virus nei nostri dispositivi che adoperiamo per informarci e chissà, ci vorranno altri vent’anni per eliminarne le tracce. Voglio dire, almeno la scorsa volta tra il mascellone e Berlusconi ci hanno lasciato mezzo secolo di respiro e tutto il tempo per riavviare il sistema. Oggi leggevo che un paese che rischia che uno come Grillo prenda il sopravvento in un modo fintamente democratico è un paese che si merita che uno come Grillo prenda il sopravvento in un modo fintamente democratico. Così ho pensato a una classe della scuola primaria o come si chiamerà tra dieci anni, la maestra in piedi che spiega agli alunni, sulla parete dietro la cattedra il ritratto di Casaleggio. Un’altra bella faccia da culto.

l’anonima parlamentari

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Porterei come esempio i personaggi senza volto che hanno infestato le notti di incubi dei bimbi della mia generazione come Belfagor o Fantomas, se non fosse un paragone che potrebbe fare uno del calibro di Veltroni che – tocchiamoci tutti – sappiamo come è andata a finire. Perché poi dietro a quelle maschere senza lineamenti una faccia c’era. Voglio dire, la politica è fatta di persone con un viso e un corpo. Magari senza attributi, ma questo è un altro paio di maniche. No perché sta per succedere qualcosa di inaudito. Quelli che vedete ogni giorno accompagnare i figli con il fuoristrada a scuola, quelli che passano dall’iphone 3 al 4 al 5 nel giro di pochi mesi, quelli che mettono le bottiglie di plastica davanti al portone perché così il cane non piscia, quelli che non partecipano nemmeno alle riunioni della scuola dei loro figli, figuriamoci alla politica locale e figuriamoci a quella nazionale. Ecco, tutte queste persone non hanno un volto ben definito, a meno che non le conosciate direttamente o non siate voi stessi, questi qui. A un certo punto uno di quelli che nei film americani tengono i seminari per acquisire sicurezza di sé, che ha un nome – Beppe – e un cognome – Grillo – li ha convinti a usare un software dall’ambizioso nome di Democrazia Diretta, ora arrivato alla release 2.0 manco a dirlo, che consente loro di pilotare comodamente seduti sul divano di casa addirittura la famigerata stanza dei bottoni. Alcuni di questi, come potrei essere io che faccio con cura il mio lavoro ma ben me ne guardo dal voler amministrare un condominio, figurati te un paese con la P maiuscola, hanno partecipato a una votazione online e hanno ricevuto l’avallo di qualche migliaia di persone per rappresentarne milioni. Ora, lo sapete, altrove ci sono persino le scuole per preparare chi ha i numeri per dirigere una nazione.

Qui da noi, che fondamentalmente siamo un popolo di presuntuosi e che, a dirla tutta, questa cosa del genio italiano ha rotto il cazzo perché in giro, a mio parere, è rimasta solo la sregolatezza che si manifesta ogni giorno in tutti i contesti con cui abbiamo a che fare. Dicevo noi che siamo tutt’altro che umili, e che ricordiamoci che essere umili non vuol dire essere cagasotto o remissivi ma vuol dire saper fare un passo indietro quando è il caso, ora ci siamo buttati in questo turbillon che è la presunzione di saper fare meglio le cose di D’Alema, tanto per fare un esempio, e solo perché D’Alema è la casta, mangia alla buvette spendendo due lire, guida anzi fa guidare un’auto blu, vive a rimborsi gonfiati eccetera eccetera. Caro D’Alema, sia chiaro che ti ho citato come esempio ma solo perché ti sono molto affezionato e malgrado la bicamerale e tutto quello che si dice a tuo proposito quando ti sento parlare mi tocca sempre darti ragione.

Cioè, io ho montato in giardino un sistema per il quale pedalando quattro ore al giorno genero energia elettrica fino a domani senza inquinare e decido che sono pronto per fare il ministro dello sviluppo economico o semplicemente occupare un posto in parlamento per votare una legge che agevolerà chi si monterà in giardino il suo triciclo propulsore. Il tizio in questione che è un’iperbole, chiaro, è uno senza volto e questo non perché non va da Vespa o da Fazio come del resto nemmeno fa il suo magnate ispiratore. O meglio, il volto ce l’ha, ed è proprio quello del suo magnate ispiratore che, a sua volta, si presenta con una maschera quindi siamo daccapo. Perché ci siamo probabilmente montati la testa. Io che ho uso uno spazio gratis per scrivere cazzate pensando di dire la mia ed essere letto e condiviso ho smarrito il senso della realtà. Tu che fai le foto con lo smartcoso e sei convinto di essere un fotografo e di poter dire la tua a immagini pure. La gente che ora non è una massa perché non persegue più una proposta unica come succedeva con i grandi partiti che riempivano le piazze nel secolo scorso ma persegue ciascuno la sua, di proposta, nell’abbaglio che con il software Democrazia Diretta 2.0 lo si possa uploadare sul potente server della condivisione ed essere vagliato da tutti. Ecco. Il fatto che tutti abbiano voce – compresi quelli di cui sopra, con il suv e l’iphone e che delegano ogni cosa – e nessuna importanza la dice lunga sulla considerazione in cui i grandi magnati ispiratori tengono la gente. Ma è la gente che non ne vuole sapere, se poi li vota. Ah, a proposito, pare che il prossimo Presidente della Repubblica sarà lui.

v3

(La foto l’ho presa qui)

un po’ di ossigeno

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Ero tutto gasato perché pensavo di avere una teoria, per oggi. Volevo invitarvi a fare come me e a gettare dalla finestra tutta l’opera di Bauman perché basta guardarsi in giro e vedere che della società liquida non resta quasi più nulla. Anzi, inutile guardare perché non si scorge niente perché siamo in piena società gassosa, il gas non si vede ma si sente, eccome, ed è per questo che ero tutto gasato come recita l’incipit di questo contributo. Volevo dirvi che i legami già deboli che uniscono le molecole della materia allo stato fluido sono andati a farsi fottere e siamo belli che evaporati. Proprio così. E V A P O R A T I. Provate a toccarvi, ma non da soli, toccatevi l’un l’altro tanto nessuno sente più nulla. Siamo dispersi e prendiamo la forma dei nostri contenitori. Per esercitare una forza ci vuole un volume al di fuori dalla nostra portata. Non riusciamo nemmeno a premere i tasti di un portatile, meglio così perché non ci saranno più impiegati costretti a feroci operazioni di data entry per normalizzare informazioni destrutturate secondo format imposti dall’azienda che li ha indotti in schiavitù e permessi non retribuiti. Basta maschere con nomi e numeri, basta e-mail protocollate da uffici tecnici per esercitare il controllo che qualunque bit esca fuori da lì sia di lavoro e di nient’altro non consentito. Siamo così eterei che ci incontriamo contemporaneamente in più punti e facciamo condense con questo e quello, ci mescoliamo pure con brandelli di grillini sublimati chissà come. Tutti verso l’alto perché siamo caldi, almeno noi italiani, ché solo noi possiamo operare scelte così e sapete a cosa mi riferisco. Ma per farla breve ero tutto gasato perché pensavo di avere una teoria, per oggi, la teoria della società gassosa e invece no. Non perché non ce l’ho, ma se la cercate con Google c’è già tutta una letteratura che ignoravo e poco male, non voglio essere originale a tutti i costi ma volevo solo sparpagliarmi per l’immensità per poi ricompormi a proiezioni finite, dopo martedì, per capire quale in quale stato della materia rifugiarmi. Anzi, in quale Stato e basta. Così brevetto per primo la società gazzosa, siete testimoni, che suona più come una start up e, tutto sommato, dà un po’ di ristoro se, come me, siete nel panico pre-elettorale.