Quest’anno ce l’abbiamo su un po’ con la maestra di inglese, che non è la stessa dell’anno scorso e se avete figli alle elementari purtroppo il turn over didattico a cui sono sottoposti converrete con me che non costituisce più il motivo principale per cui stare in pena, perché tanto va così e bisogna farsene una ragione. Cambiare gli insegnanti ogni classe è un dato di fatto, da cui la nuova preoccupazione maggiore che è la speranza che venga mantenuta una continuità e un livello omogeneo di qualità dell’insegnamento. Poi ci abitueremo anche a dare per scontato che non è così, quindi avremo di che angosciarci solo sperando che non crolli nulla in testa ai bimbi durante le lezioni, che non si apra la faglia di Sant’Andrea sotto la scuola, che non sbarchino gli extraterrestri nell’intervallo e così via. La maestra di inglese invece non ci sembra un granché perché, a differenza di quella che era di ruolo in terza, non dà compiti a casa e lezioni da studiare. Così ci è venuto il dubbio che i bambini non stiano imparando nulla di più di quel poco che era già stato fatto fino a qui, e qualche conferma l’abbiamo avuta chiedendo a nostra figlia se si ricorda le regole grammaticali, le parole e i verbi imparati. E per certi versi, i feedback sono state discontinui.
Poi è successo che, per la recita di Natale, le quarte – che condividono la stessa maestra – hanno imparato il canto “Happy Day”, eseguito live in occasione della festa-recita fatta prima dell’interruzione per le festività. E quanto intendo “Happy Day” ovviamente non mi riferisco alla sigla dell’omonimo telefilm (che poi è Happy Days) con Ralph Malph e la sua maglietta con su il nome e cognome stampato davanti e dietro, bensì al celebre inno alla gioia nella moderna natività, quel coro gospel un po’ hippy che tutti siamo abituati a sentire negli spot commerciali e in programmi trash come Buona Domenica cantato in playback da figuranti scosciate. Uno di quei brani di cui non conosco le parole e che da sempre canto con un inglese inventato alla Adriano Celentano. Per questo mentre mia figlia lo canticchiava in casa mi chiedevo perché proseguisse la strofa con “when Jesus washed”. E pensando alla maestra poco proattiva di cui sopra, subito mia moglie ed io ci siamo fatti una grossa risata. Cosa lava Gesù, le abbiamo detto, la macchina? No perché io ero convinto dicesse “when Jesus won”, quando Gesù ha vinto contro il male e bla bla bla. Mia figlia invece ci ha subito corretto, dicendo che Gesù lava i peccati. Ed è vero, diamine, la canzone dice proprio così. Ma il punto è che più cresce, mia figlia, e più comincia ad aver ragione su tutto, la sua mente fresca ed entusiasta ha già soverchiato più volte quella dei genitori, arrugginita dalle routine e dalla presunzione. Gesù lava i peccati, e forse la nuova maestra non è così male, anche se non dà i compiti a casa.