perché la bambina?

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I morti di largo Augusto non erano cinque soltanto; altri ve n’erano sul marciapiede dirimpetto; e quattro erano sul corso di Porta Vittoria; sette erano nella piazza delle Cinque giornate, ai piedi del monumento.

Cartelli dicevano dietro ogni fila di morti: Passati per le armi. Non dicevano altro, e tra i morti c’erano due ragazzi di quindici anni. C’era anche una bambina, c’erano due donne e un vecchio dalla barba bianca. La gente andava per il largo Augusto e il corso di Porta Vittoria fino a piazza delle Cinque Giornate, vedeva i morti al sole su un marciapiede, i morti all’ombra su un altro marciapiede, poi i morti sul corso, i morti sotto il monumento, e non aveva bisogno di saper altro. Guardava le facce morte, i piedi ignudi, i piedi nelle scarpe, guardava le parole dei cartelli, guardava i teschi con le tibie incrociate sui berretti degli uomini di guardia, e sembrava che comprendesse ogni cosa.

Come? Anche quei due ragazzi di quindici anni? Anche la bambina? Ogni cosa? Per questo, appunto, sembrava anzi che comprendesse ogni cosa. Nessuno si stupiva di niente. nessuno domandava spiegazioni. E nessuno si sbagliava.

C’era, tra la gente, il Gracco. C’erano Orazio e Metastasio; Scipione; Mambrino. Ognuno era per suo conto, come ogni uomo che era nella folla. C’era Barca Tartaro. Passò, un momento, anche El paso. C’era Figlio-di-Dio. E c’era Enne 2.
Essi, naturalmente, comprendevano ogni cosa; anche il perché delle donne, della bambina, del vecchio, dei due ragazzi; ma ogni uomo ch’era nella folla sembrava comprendere come ognuno di loro: ogni cosa.
Perché? Il Gracco diceva.

Una delle due donne era avvolta nel tappeto di un tavolo. L’altra, sotto il monumento, sembrava che fosse cresciuta, dopo morta, dentro il suo vestito a pallini: se lo era aperto lungo il ventre e le cosce, dal seno alle ginocchia; e ora lasciava vedere il reggicalze rosa, sporco di vecchio sudore, con una delle giarrettiere che pendeva attraverso la coscia dove avrebbe dovuto avere le mutandine. Perché quella donna nel tappeto? Perché quell’altra?
E perché la bambina? Il vecchio? I due ragazzi?

Il vecchio era ignudo, senz’altro che la lunga barba bianca a coprire qualcosa di lui, il colmo del petto; stava al centro dei sette allineati ai piedi del monumento, non segnato da proiettili, ma livido nel corpo ignudo, e le grandi dita dei piedi nere, le nocche delle mani nere, le ginocchia nere, come se lo avessero colpito, così nudo, con armi avvelenate di freddo.

I due ragazzi, sul marciapiede all’ombra di largo Augusto, erano invece sotto una coperta. Una in due, e stavano insieme, nudi i piedi fuori della coperta, e in faccia serii, non come i morti bambini, con paura, con tristezza, ma serii da grandi, come i morti grandi vicino ai quali si trovavano.
E perché loro?

Il Gracco vide, dov’era lui, Orazio e Metastasio. Con chi aveva parlato, nella vigilia dell’automobile, di loro due?
Con l’uno o con l’altro, egli aveva parlato tutta la sera, sempre conversava con chi si incontrava, e ora lo stesso parlava, conversava, come tra uomo e uomo si fa, o come un uomo fa da solo, di cose che sappiamo e a cui pur cerchiamo una risposta nuova, una risposta strana, una svolta di parole che cambi il corso, in un modo o nell’altro, della nostra consapevolezza.

Li guardò, dal lato suo dell’angolo che passava attraverso i morti, e una piccola ruga venne, rivolta a loro insieme allo sguardo, in mezzo alle labbra di quella sua faccia dalle tempie bianche.
Orazio e Metastasio gli risposero quasi allo stesso modo. Come se lui avesse chiesto: E perché loro? Mossero nello stesso modo la faccia, e gli rimandarono la domanda: E perché loro?
Ma c’era anche la bambina.
Più giù, tra i quattro del corso, dagli undici o dodici anni che aveva mostrava anche lei la faccia adulta, non di morta bambina, come se nel breve tempo che l’avevano presa e messa al muro avesse di colpo fatta la strada che la separava dall’essere adulta. La sua testa era piegata verso l’uomo morto al suo fianco, quasi recisa nel collo dalla scarica dei mitragliatori e i suoi capelli stavano nel sangue raggrumati, la sua faccia guardava seria la seria faccia dell’uomo che pendeva un poco dalla parte di lei.
Perché lei anche?

Gracco vide passare un altro degli uomini che aveva conosciuto la sera prima, il piccolo Figlio-di-Dio, e fu un minuto con lui nella sua conversazione eterna. Rivolse a lui il movimento della sua faccia, quella ruga improvvisa in mezzo alle labbra, quel suo sguardo d’uomo dalle tempie bianche; e Figlio-di-Dio fece per avvicinarglisi.
Ma poi restò dov’era. Perché lei? il Gracco chiedeva. E Figlio-di-Dio rispose nello stesso modo, guardandolo. Gli rimandò pure lui la domanda: perché lei?
Perché?, la bambina esclamò. Come perché? Perché sì! Tu lo sai e tutti lo sapete. Tutti lo sappiamo. E tu lo domandi?
Essa parlò con l’uomo morto che gli era accanto.
Lo domandano, gli disse. Non lo sanno?
Sì, sì, l’uomo rispose. Io lo so. Noi lo sappiamo.
Ed essi no? la bambina disse. Essi pure lo sanno.

Vero, disse il Gracco. Egli lo sapeva, e i morti glielo dicevano. Chi aveva colpito non poteva colpire di più nel segno. In una bambina e in un vecchio, in due ragazzi di quindici anni, in una donna, in un’altra donna: questo era il modo migliore di colpir l’uomo. Colpirlo dove l’uomo era più debole, dove aveva l’infanzia, dove aveva la vecchiaia, dove aveva la sua costola staccata e il cuore scoperto: dov’era più uomo. Chi aveva colpito voleva essere il lupo, far paura all’uomo. Non voleva fargli paura? E questo modo era il migliore che credesse di avere il lupo per fargli paura.

Però nessuno, nella folla, sembrava aver paura.
Aveva paura il Gracco? O Figlio-di-Dio? Scipione? Barca Tartaro? Non potevano averne. O poteva averne Enne 2? Non poteva averne. Allo stesso modo ogni uomo ch’era nella folla non aveva paura. Ognuno, appena veduti i morti, era come loro, e comprendeva ogni cosa come loro, non aveva paura come non ne avevano loro. Avrebbe anche potuto essere stato con loro, la sera prima. Poteva anche conversare col Gracco.

Il Gracco conversava, infatti, con ognuno.
Era dinanzi ai morti, uno incontrava la sua faccia, e a lui veniva, nel mezzo delle labbra, quella piccola ruga. perché, tu dici? Questo il Gracco diceva: Perché, tu dici?
Perché? l’altro diceva. certo che lo dico. Non debbo dirlo?
Puoi dirlo se lo vuoi, diceva il Gracco.
E la donna? l’altro diceva. Lo dico sì. Perché la donna?
Oppure: Perché la bambina?
Oppure: Perché questi due ragazzi?

Diceva allora il Gracco: E quest’uomo no? Perché quest’uomo?
Era un uomo alto, di cui non si vedeva la faccia. Si vedevano le sue gambe, forti, coi lunghi muscoli di uomo nel fiore degli anni, le scarpe ai piedi messe senza le calze, e, per il resto, in mutande e camicia. Aveva scuri i polsi, e le mani chiuse di uno che stia stringendo i denti. Ma sulla faccia gli era stata gettata una giacca.
Perché era come per nascondere un tradimento che gli si fosse fatto, a lui nel fiore degli anni, peggiore che agli altri. perché quest’uomo? diceva il Gracco.
E quello che parlava con lui: già. Perché?

Il Gracco lo diceva di ognuno dei morti. Gli veniva la ruga in mezzo alle labbra, guardava, e quello guardava allo stesso modo. Ogni uomo morto era come la bambina. Una cosa si sapeva per tutti i morti, e se si cercava una risposta nuova, parole che cambiassero il corso della nostra consapevolezza, non si poteva chiedere che perché per tutti insieme.”

Elio Vittorini, “Uomini e no”.

vorrei regnare sulle cose che cambiano

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Il 2016 non sarà ricordato solo per i morti celebri ma anche perché, nel giro di pochi mesi, la musica italiana ha mandato un triplice segnale di rottura con il passato, una tripletta di colpi di coda senza precedenti: Manuel Agnelli a X-Factor, Boosta ad Amici, Samuel solista a Sanremo. Si tratta di tre episodi ascrivibili alla serie dei “vent’anni dopo, ecco come ci siamo evoluti” ma ognuno di essi con una storia e un risvolto a sé stante. Chiariamoci, non c’è nulla di male anche se, a dire la verità, nel 1997, contemplando i booklet di due tra i dischi più importanti degli anni novanta come “Subsonica” e “Hai paura del buio?”, se mi avessero preannunciato un tale decorso mai ci avrei creduto. Comunque il senso di queste scelte è inutile che ve lo stia a spiegare io. Il punto è che il terzo annuncio-rivelazione, quello di Samuel al Festival della Canzone Italiana, è arrivato giusto ieri sera mentre il nuovo Presidente del Consiglio Gentiloni divulgava i nuovi incarichi ministeriali, che come avrete letto si tratta di una mossa così fuori da ogni logica che decreterà la più incredibile delle sconfitte elettorali del PD alle prossime elezioni. Come dobbiamo leggere questa similitudine, mi chiederete voi. Che ne so, vi rispondo io. So solo che in Italia sembra che le cose cambino e che sia il popolo che le cambia ma, in realtà, è tutto un rimpasto. Nella classe dirigente e nella musica c’è qualche spostamento di circostanza, qualche presa di posizione per scopi mediatici o qualche illusoria rottura degli schemi ma poi passa il miscelatore universale e il brodo riprende la sua conformazione naturale che garantisce il nostro equilibrio. Siamo una democrazia fragile, siamo una cultura a rischio, siamo gente irresponsabile che per giunta ha studiato molto poco, e siamo distratti. Tempo qualche mese e non ci si ricorda più di nulla o ci innamoriamo con un tale trasporto per le cose nuove che poi con la smania di rinnovarle le cambiamo con le prime che ci capitano sotto tiro. Manuel Agnelli, Boosta, Samuel e Gentiloni. Secondo me il 2017 potrebbe essere ancora più irrispettoso per la logica dell’anno che ci avviamo ad archiviare con tutti i suoi morti celebri.

le stesse barricate, la nuova borghesia e gli eterni falsi miti di progresso

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Qualche sera fa davano alla tele “La mafia uccide solo d’estate” che ho rivisto per la quarta o quinta volta, è uno di quei film che mia figlia non si vuole perdere a ogni replica e comunque non c’è motivo di cambiare canale, lo spettacolo è godibilissimo. Il problema è che più lo vedi e più la simpatia di Pif e il modo in cui riesce a sdrammatizzare il tema vanno in secondo piano ed emerge, invece, il contesto che fa da fondo alla storia. La mafia, Andreotti, la carneficina, la politica e, non ultimo, la connivenza di una parte dei siciliani e dell’Italia intera con tutto ciò. Così, sui titoli di coda, abbiamo riflettuto sul fatto di quanto in basso possiamo cadere noi italiani. Ora non vorrei buttarvi giù di morale, ma della nostra storia c’è poco da essere contenti e queste cose dovremmo sempre tenerle a mente anche quando sbandieriamo al mondo il Made in Italy e le nostre famose eccellenze che poi, guarda caso, non ci traggono mai d’impiccio. Probabilmente perché il substrato ma anche gran parte delle radici e di tutto quello che c’è sopra sono belli marci e quindi possiamo fare gli spaziali quanto vogliamo ma poi è quel nostro mix di grettezza, ignoranza, voglia di semplificazione unito a tanta tanta presunzione che ci getta costantemente agli ultimi posti di tutte le classifiche, quella della civiltà su tutte. Che poi magari in tutto il mondo sono così e anche peggio. Le stragi nelle scuole per le armi in vendita nei supermercati, l’integralismo religioso, i regimi, i crimini contro l’ambiente oltre a quelli verso le persone, insomma l’erba del vicino probabilmente è piena di concime chimico e cancerogeno tanto quanto la nostra, chissà. Quindi state pronti con il vostro dito alzato a dirmi “ma anche in Xxxxx fanno così se non peggio”, e lo accetto. Però, che un paesino del cazzo si mobiliti per impedire l’ospitalità a 20 profughi, tutti donne e bambini, per l’Italia mi sembra davvero un punto senza ritorno. D’altronde è il bello della democrazia diretta, no? I cittadini fanno quello che vogliono e chi se ne fotte della legge.

il club del terrore

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Ce l’avete con noi occidentali solo perché abbiamo un livello di benessere tale per cui le grandi contraddizioni si riducono a con lo zucchero o senza zucchero e ritorno perché c’è il fattore aspartame, poi fa la palla contro assorbe gli odori, liscia o gassata, mosso o fermo, sedentarietà contro gente che si sfracella le caviglie correndo come dei disperati, un classico dei nostri tempi che è analogico contro digitale (che a me ricorda molto il derby scapoli contro ammogliati), uno di grande attualità che è contiene glutine o mi porto la pizza da casa e, uno che mi riguarda molto da vicino, l’Aperol o il Martini nello spritz.

Ce l’avete con noi occidentali perché da noi la Grande Domanda che l’umanità si pone da quando si è sviluppata l’industria del terrore organizzato e tutto il suo marketing di contorno è perché la gente non sfoghi la sua rabbia e il suo odio verso le persone giuste anziché questa modalità a pioggia. Una grande domanda alla quale, in quanto retorica, non diamo risposta perché poi prenderebbero la parola i complottisti, i semplificatori e tutta la popolazione che ci tiene a renderci partecipi della propria competenza nell’ambito delle relazioni internazionali. L’uso di terze parti come elemento conduttore di vendetta o di attacco tra gli ideatori e il target del terrorismo di qualunque specie resta uno dei principali misteri almeno dai tempi di Piazza Fontana, di appuntati delle forze dell’ordine freddati nei bar e delle bombe nelle stazioni ferroviarie gremite di gente che parte per le vacanze.

Ce l’avete con noi occidentali perché nella nostra vita abbiamo consumato una quantità indescrivibile di gomma senza nemmeno spostarci di un millimetro. Non i pneumatici che non ci hanno riportato a casa prima che facesse l’alba. Non le suole delle sneakers che abbiamo consumato a furia di saltare sui nostri pezzi preferiti. Piuttosto le cinci, o ciungai, o cicche o chewing gum che, indipendentemente dal nome, abbiamo masticato senza sosta per essere pronti a baciarci con la bocca aperta in ogni istante della nostra vita. Il profumo sintetico a ogni ora del giorno e della notte che corrispondeva al gusto sulla lingua e giù nella gola, per questo era facile trovarsi al buio, bastava seguire l’odore.

E la vostra sete di vendetta deriva dal fatto che in quelle foto sembriamo immortali e più forti del fumo nei polmoni, degli intrugli con la vodka nel fegato, delle saette di decibel lanciate da qualche divinità pagana del distorsore per chitarra nei nostri timpani, del folle divincolarci in riti propiziatori della gioia del presente. Non lo avreste mai detto, vero, che un giorno avremmo potuto osservarci da lontano e così giovani? Ma, nel dubbio, il fatto che ce l’abbiate con noi occidentali è un fattore in più tra i segnali sempre più frequenti che ci dicono che è meglio stare a casa. Non so se era il vostro obiettivo, ma con me avete colto nel segno.

liquidazione totale

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Facciamo che se ho bisogno di qualcosa ve lo chiedo ma nella vita in genere sono abituato a girellare per dare solo un’occhiata, grazie, e lo so che sapete come rendervi utili. E dire che oggi ci si rifugia nei negozi perché sono i posti in cui sei sicuro di non spendere, nemmeno in periodo di saldi. Certe città come Milano sono infatti molto aggressive dal punto di vista commerciale. Le proposte di affari in giro sono una vera e propria scocciatura e gli addetti alla vendita sono in agguato in ogni dove. La diffusione della telefonia mobile che non ha eguali come in Italia è dovuta principalmente al fatto che la gente si dota di smartphone e auricolari da imbracciare al momento più opportuno quando si profila l’agguato della richiesta fondi per solidarietà. Non ho mai visto tanta gente far finta di telefonare per strada come da quando ci siamo impoveriti e quindi anche l’euro per le ambulanze o contro la droga fa la differenza. Ma non sono solo i venditori a essere tentacolari. Persino i mezzi di trasporto privato ci bombardano con messaggi pubblicitari impressi sulla carrozzeria che magari fino a qualche anno fa non avrebbe notato nessuno. Ma a parte i brand con maggiori possibilità di investimento che allestiscono vere e proprie campagne di marketing temporanee con auto e taxi, le piccole aziende si limitano a mettere il cognome e nome del proprietario, magari seguito da un contatto e-mail che fa molto moderno ma che spesso è ancora nome.cognome@libero.it, premesso che ho molti amici che hanno ancora la mail con libero. Vogliamo comprarcelo o no questo dominio, anche se con lo stesso nome di ditta individuale si muove mezza italia dello stesso settore ma in città, province e regioni anche agli antipodi? Nel duemila e rotti noi individui occidentali non cerchiamo più di fare affari bensì di sviluppare un sistema di rapporti interpersonali automatico come il salvatempo della Coop – senza dimenticarsi di registrare qualche articolo con la pistola per il codice a barre – o come poi, se tutto fila liscio senza il controllo alle casse, con il pagamento col bancomat. Anzi, di questi tempi sono entusiasta del sistema contactless, funzionalità che ho da poco a disposizione sulla mia carta quindi perdonate il mio innamoramento ancora acerbo. Prendiamo esempio dai POS e sviluppiamo questo modo in parlarci automatico solo facendo combaciare due codici che tra loro si dicono tutto e poi via, a smistare le borse della spesa in macchina.

vi ricordo che manifestare contro le unioni civili ha la stessa utilità di manifestare contro i metallari

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Il fenomeno a cui stiamo assistendo su Facebook in queste ore può davvero costituire la sintesi di quello che siamo, di ciò che rappresentano i social network e, volendo, è in grado di indicare l’unica exit strategy possibile considerando quanto siamo diventati dipendenti dalla creatura di Zuckercoso e quanto la creatura di Zuckercoso sia ormai considerata una piattaforma sociale alternativa non solo alla vita quotidiana ma anche alle istituzioni. Facebook è la culla di grillisti, neo-fascio-complottisti, buongiornisti, nessunomicondivideràmaisullasuabachechisti e i milioni di paginisti per ogni cosa. Chi è contro x, chi è contro la pagina di chi è contro x, chi è contro la pagina di chi è contro la pagina di chi è contro x e così all’infinito.

Ieri o ieri l’altro si è diffusa su Facebook una caccia agli amici che seguono la pagina “Informare per resistere” per mettere (giustamente) alla berlina tale pagina che vanta centinaia di migliaia di iscritti dopo che ha dato il suo endorsement ufficiale al Family Day e che, quindi, sta dalla parte dei cattivi. I miei, almeno oggi perché è possibile che qualcuno abbia ritirato il proprio like, sono 44 in tutto su 610. La statistica non è il mio mestiere ma comunque si tratta di una percentuale alta considerando che da quando la gente si è fatta paladina delle istanze più strampalate e pensando che Facebook abbia le sembianze di una piattaforma da quarto stato, le aggregazioni che vanno da “ora mandiamoli a casa” in giù sono considerate lobby più potenti di qualunque vecchia organizzazione politica o sindacale.

Sappiamo tutti bene che è un errore grossolano e vi faccio un esempio stupido. Provate a contare le ronde anti-zingari con cui certi vostri conoscenti o persone con cui condividete l’iscrizione a pagine o gruppi gonfiano status e commenti e confrontate il risultato con quante sono le ronde in cui siete imbattuti dal vivo, cioè zero. Questo per dire che la rivoluzione, dalla fibra ottica e dall’ADSL, siamo capaci a farla tutti.

Così mi permetto due suggerimenti, anche se so che voi quattro gattini che mi leggete la pensate esattamente come me. “Informare per resistere” e analoghi collettivi di gabanello-grillisti esagitati sarebbero da schifare ab origine. Non lasciatevi prendere dalla boria della democrazia diretta digitale, davvero. Basta un guasto al router e vi ritroverete di nuovo davanti a MTV. Non ci vuole un’intelligenza sopraffina per capire dove vogliono andare a parare. Siate anche più indulgenti con i vostri amici che hanno aderito, sono certo che basta andare sulle loro bacheche per trovare qualche altra défaillance vegan-omeopatico-animal-buonavitista, e il cerchio si chiude. O li tagliate fuori dalle vostre vite, o se vi fanno gola i numeri più che i contenuti teneteveli così come sono.

Seconda cosa: Facebook non cambia di una virgola la vita delle persone intelligenti, quindi perché prendersela tanto. Lo stesso milione di persone compresi quelli di “Informare per resistere” che sono scesi in piazza non possono deviare democraticamente il corso della civiltà. Possono farlo con le armi ma state tranquilli, qui non si sentirà mai nemmeno un coltello a serramanico scattare. Anch’io vorrei tanto che non ascoltaste più musica di merda, ma mica vi posso ammazzare tutti.

col calcio si può diventare biliardari

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Con l’approssimarsi dell’estate diventiamo un po’ tutti meno intransigenti, abbassiamo le barriere, osserviamo con occhi diversi le cose e cerchiamo di entrare nel mood della pausa che ci aspetta. Forse è per questo che, proprio con la bella stagione e il caldo, ammesso che arrivi, quell’oscura entità che sappiamo esser sempre all’erta per colpirci quando abbassiamo la guardia nel gusto e, soprattutto, nel portafoglio, è pronta per scatenarsi e colpirci ogni anno con qualche nuova subdola operazione. Non mi riferisco solo ai tormentoni musicali e alle offerte urlate negli spot televisivi che poi, sappiamo tutti, alla fine c’è il trucco. Pensate a uno degli ennemila spot di Pif che è tanto caro e simpatico ma che, a furia di vederlo ogni due per tre con il telefono in mano, inizia a rompere i maroni. A me vedere gente che getta in acqua uno smartphone da centinaia di euro o lo fa saltare in aria con il tiro a volo o lo fa cadere sotto la pressa dell’asfalto, anche se è uno scherzo da Carosello, un po’ mi fa venire da prudere perché è vero che se sei sgamato alla fine lo smartphone nuovo te lo paga la compagnia telefonica, ma davvero con questo continuo usa e getta di tecnologia di dispositivi elettronici non so dove andremo a finire. Io ce l’ho il mio smartphone da qualche centinaio di euro. L’ho finito di pagare a rate il mese scorso e me ne guardo bene dal cambiarlo almeno per i prossimi cinque anni, figuriamoci a rottamarlo.

Nel filone invece dei mai più senza, che poi uno si chiede davvero quanto manchi alla fine della nostra civiltà, ci sono le copertine colorate per le macchinette del caffè. E se già inorridite a vedere gli animali con i vestitini addosso, figuriamoci un elettrodomestico con il quale, volendo, ogni volta potreste giocare come si giocava a mettere togliere mettere togliere gli abiti della Barbie. Non ho idea del prezzo, sicuramente saranno alla portata di tutti, eppure da quando ho visto la pubblicità la prima volta vi assicuro che le Pixie Clip hanno scalzato al primo posto degli oggetti che contraddistinguono il declino dell’occidente la sigaretta elettronica. Direi anche la Smart, ma da quando ho scoperto che una collega ne possiede una evito di fare altre brutte figure anche perché, una volta, la collega mi ha dato pure un passaggio e il passaggio me lo sono preso (ciao Stefi).

Poi vabbe’, ci sono il top dei top delle esagerazioni per il divertimento di massa che man mano che l’umanità a quanto pare ha sempre più voglia di ridere (e che cacchio avremo poi tutti da ridere) c’è qualcuno che, a ridosso dell’estate, ne pensa una più del diavolo. Ricordate le palle trasparenti in cui ci si va dentro e si può camminare sull’acqua? Non vorrei sbagliarmi ma ne esiste anche una versione con la quale si gioca pure a pallone, ogni giocatore chiuso in una sfera di non so cosa. Bene, quest’anno c’è qualcosa di più esilarante. Signore e signori, ecco a voi in esclusiva per l’Italia il calciobiliardo, “un’assoluta novità destinata a riscontrare un enorme successo anche in italia come in America in cui è stato da poco sperimentato con enormi riscontri.” Ci si vede l’estate prossima.

quinta C

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Ho subito chiamato in Italia perché un ex collega mi ha riferito della mia intervista pubblicata in una di quelle riviste che dovrebbero leggere solo i top manager ma che, esaurita la loro funzione di collettori di pubblicità per brand di seconda scelta, restano in bella mostra nelle aree ricreative delle aziende vecchio stampo fino a quando, macchiate dai cerchiolini dei bicchieri del caffè, finiscono nella raccolta differenziata. Mi avevano chiesto di come si vive qui negli Stati Uniti e di quanto mi sentissi isolata da tutto ciò che mi ero lasciata alle spalle. Probabilmente hanno anche riportato l’aneddoto che gli ho raccontato sul livello del mio inglese e del professore afro-qualcosa delle superiori in Italia che mi aveva accusata di razzismo perché trovavo il suo metodo, basato sul farci cantare “Redemption Song”, superato e noioso.

Il giornalista invece ha usato un format originale, quando ha voluto incontrarmi. Siamo stati a chiacchierare proprio nel liceo in cui poi il corpo insegnante aveva fatto quadrato intorno a quell’emulo di Bob Marley fuori tempo utile tanto da farmi diplomare con un voto vergognosamente al di sotto delle mie potenzialità. Entrare in una scuola dopo che è tanto che ne sei uscito fa lo stesso effetto di scoprire che dietro a un pupazzo c’è un animatore vestito tutto di nero per confondersi con il fondale buio. Quello che mi sembrava un sistema votato all’annullamento individuale ho scoperto finalmente essere in realtà un acceleratore di particelle umane allo stato brado, una sorta di incubatore di libertà intellettive.

Abbiamo anche notato insieme che il fatto che la scuola fosse dedicata a Levi non dovesse necessariamente legittimare gli studenti ad anagrammare il nome per fini creativi: evil e live, per una persona che ha conosciuto il peggio del male e poi è morta suicida per le conseguenze, sono fuori luogo. Mi ha fatto anche ridere, e spero che questo passaggio compaia nell’articolo, l’ufficio con il cartello “Sala stampa” che non è proprio quello che pensiamo noi ma si intende, in questo caso, la stampa con la stampante. Ho aggiunto che l’odore dei ragazzi mi fa sempre venir voglia di dare indietro il mio posto di Responsabile Marketing corporate per un incarico di insegnante qui, ad aprire la testa degli adolescenti e indicare modelli e opportunità. Ma anche essere una madre che partecipa alle riunioni di classe è altrettanto bello, sedersi nelle aule vuote cercando lo stesso banco della propria figlia per lasciarle un biglietto tenero per il mattino dopo, immaginandosi come è possibile che molta della vita dei ragazzi di cui non siamo testimoni si svolga lì da seduti, nel regno del nozional-socialismo, e se i figli ogni tanto mentre sono lì pensano un po’ a noi ma, come ho detto al giornalista, ne dubito fortemente.

prima che il partito dei giovani prenda stabilmente il potere

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La crescita demografica ha subito un tracollo da quando si è consolidata nell’opinione pubblica la certezza che il livello di scontro tra adulti e giovani ormai ha superato ampiamente il punto di non ritorno. Complici i media, gli influencer e le stesse autorità che hanno soffiato sul fuoco a puro scopo strumentale, apparati comunque in mano agli stakeholder e alle lobby fortemente interessate. Consideriamo poi le numerose linee guida malcelate sotto una certa produzione culturale di qualità dubbia, diffusa e anzi favorita come unico linguaggio artistico popolare con finalità di coesione sociale mai portata a termine. Anzi, se è dilagato lo scontro generazionale è proprio a causa dell’esasperazione dell’uniformità: vecchi che si sentono giovani, e giovani a cui non è mai stata proposta un’educazione a come ci si deve sentire, hanno portato all’estremo il loro diritto all’autodeterminazione e quello a cui stiamo assistendo in questa fine di secolo ne costituisce la testimonianza più affidabile. Secondo le indiscrezioni di un portavoce della coalizione degli anziani per salvezza nazionale, la bozza del discorso di fine anno del Capo dello Stato addirittura contiene più di un invito a non darsi da fare per aumentare le fila dei ribelli e dei facinorosi. Meglio aspettare che la natura faccia il suo corso e che gli under-qualcosa si estinguano diventando over-qualcosa, ammorbidendo le posizioni radicali e quel senso di soffoco da mancanza di spazio nella società che li ha fatti imbestialire. Tra l’altro sono molti i casi di esacerbazione di questa psicosi collettiva, e i continui oltraggi subiti da pensionati e dagli utenti delle sempre più numerose strutture di ricovero specializzate hanno messo anche gli adulti di mezza età tutt’ora attivi nella vita economica sul piede di guerra, con tutti i rischi del caso. Ogni gesto sospetto scambiato tra ragazzi viene inteso come un segnale in codice: la condivisione di immagini di cani di razza sui dispositivi portatili, un modo poco ortodosso di legarsi la coda dei capelli con l’elastico, o ancora uno scambio di battute sulle opportunità di business mai prese in seria considerazione qui da noi, come quella di un servizio di telegrammi cantati.

i lunedì per il verso giusto

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A quelli che invece hanno preso Stairway to heaven come modello di canzone ideale ricordo che i pezzi come quello dei Led Zeppelin che durano abbondantemente più dei tre o quattro minuti standard sono delle vere e proprie esperienze, utili solo se un plotone di esecuzione vi chiede di esprimere l’ultimo desiderio e a qualcuno viene in mente di guadagnare tempo così. Allora io rilancio con Supper’s Ready che è lungo quanto quasi una facciata di LP, e che con i suoi 23 minuti circa un po’ la vita te la allunga come diceva quella pubblicità anni boh sulla telefonata, quando ancora c’era solo Telecom e c’era poco da scegliere. Quindi evitiamo il progressive nelle suonerie e lasciamolo per i condannati a morte e anzi, a proposito, sabato ho presenziato alla visione di un documentario su Sandro Pertini in un auditorium di un paese qui a due passi e non si è sentita volare una mosca, nemmeno uno smartphone vibrare durante la proiezione. Il pubblico era un bel campionario di educazione ma solo perché di età media elevatissima, io surclassavo in giovinezza il resto degli spettatori di almeno vent’anni e sapete quel tipo di gente lì non è che si porta appresso gli iCosi da due milioni di lire. E poi volete mettere il gap generazionale dei GAP di quegli altri tempi in cui Pertini rischiava davvero di essere passato per le armi e chissà lui che ultimo desiderio avrebbe espresso. Forse di gridare viva l’Italia in faccia a quel branco di traditori in camicia nera. E attenzione: tra una manciata di mesi scatta il settantennale della Liberazione, sarà un 2015 di celebrazioni e speriamo di ricorsi storici sufficientemente vividi da portare alla ribalta il rispetto delle istituzioni e da ricacciare da dove vengono i grillisti oscurantisti e la loro fascio-democrazia diretta. Tutti filo-dittatura con gli uomini forti degli altri. Se avete qualche frequentazione come alcune delle mie, che nascondono negli anfratti delle loro schede micro-SD il mascellone che sbraita da Palazzo Venezia già con il sacco del nostro paese ben pianificato nella sua strategia politica, tenete pronta in risposta quella bella foto della pensilina del riscatto, e mandate pure a cagare il buonismo che manifesta il vilipendio di cadavere, dopo che il vilipendio del cadavere della nostra nazione puzza di carogna, in alcuni punti, ancora oggi. Quindi ancora commosso dalle gesta antifasciste del miglior presidente della storia repubblicana, alla fine mi sono imbattuto pure in un gazebo di fascisti di stocazzo-millennio, con quel logo a forma di tartaruga che mette tristezza tanto è obsoleto. A loro e alle loro suonerie dell’Abissinia, che non durano certo come Stairway to heaven perché alle prime note già qualche schioppettata parte a interrompere qualunque dialogo, telefonico e non, dedichiamo un luogo dove costruire il monumento che ora e sempre si chiama come ci piace chiamarlo. A tutti loro invito a partecipare alle feste che ci saranno il prossimo anno e, come al solito, a mettersi comodi per vedere le cose dal verso giusto.

loreto