in the sky with diamonds

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Papà, stanotte ho fatto un incubo. La maglietta dell’oratorio estivo era stregata, appena l’ho indossata mi ha fatto volare nell’universo. Poi sono atterrata in via Cascina del Sole, da lì sono andata in via Grandi, quindi ho svoltato alla rotonda e ho citofonato a voi, che mi avete aperto il cancello.

game over

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E con questa ho completato l’album.

it’s not time to make a change

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A scuola finita, la mattina inizia in modo meno concitato. C’è addirittura il tempo di sedersi sul letto, a fianco di mia figlia, e osservarla qualche minuto prima di svegliarla, ancora vulnerabile nei suoi sette anni, ancora bambina mentre il resto del mondo là fuori fa di tutto per farla crescere più fretta. Sporadicamente ancora con il dito in bocca, oggi poi con il pigiama del suo eroe, Charlie Brown, cerco di isolare quei pochi momenti prima che la sveglia faccia ripartire il tempo, il tempo la faccia crescere, la crescita la faccia diventare grande. E io e mia moglie, di conseguenza, più vecchi. Non c’è il manuale operatore per il programma “Cresci la tua prole”, ma posso confermare che, tra alti e bassi, finora ce la siamo cavata in modo dignitoso. Almeno, noi siamo soddisfatti.

Attenzione però a non utilizzare le competenze acquisite all’esterno, applicare cioè metri di giudizio ad altri contesti famigliari, perché fare il genitore è una qualifica professionale del tutto soggettiva. Se tentiamo di implementare le procedure che a casa propria funzionano alla grande altrove, sarà facile riempirsi di boria. Se poi le compariamo con chi ha compilato il codice della nostra vita, chi ha messo in produzione noi stessi nella release 1.0, la boria lascia il posto a un sentimento che la buona creanza ci impedirebbe di provare per i propri genitori. Soprattutto perché è difficile prevedere per quanti anni lo saranno ancora, e non ci va di sprecare il tempo con il risentimento. Ma, a volte, e parlo per me, vengo messo a dura, durissima prova.

Ieri sera mia mamma (74) al telefono mi racconta che lei e mio papà (82) sono in procinto di cambiare la cucina. E non essendo del tutto autosufficienti, hanno contattato il negozio presso cui avevano comprato 35 anni fa la cucina che hanno avuto finora e che, secondo lei, non è più in condizioni accettabili. Hai voglia a dirle che nel frattempo il mercato, la tecnologia e prezzi sono cambiati, che esiste l’Ikea, che posso occuparmi io della pre-selezione, farle avere un po’ di preventivi. Nella loro testardaggine di liguri (anomali, perché scialacquano senza ritegno) anziani mediamente poveri e molto semplici non se ne parla, si fidano del rivenditore (che nel frattempo è il figlio di quello a cui si erano rivolti) a cui probabilmente è comparso un bel simbolo del dollaro sopra le pupille appena compreso la portata dell’affare. Perché ci sono  rubinetti e Rubinetti, maniglie e Maniglie, marche e Marche. Insomma, e prometto che appena questo blog supererà una certa soglia di contatti non racconterò più urbi et orbi i cazzi miei, quello che potrebbe costituire una base economica di supporto per l’università di mia figlia, per esempio, finirà nelle tasche di un mobiliere del basso Piemonte, in cambio di una cucina da enne (a due cifre) mila euro. Ora, sappiate che l’obiettivo principale mio e di mia moglie è quello di fare di tutto per agevolare il futuro della nostra creatura, come secondo noi è giusto che sia, mettendo da parte quanto possibile. Questione di punti di vista?

Mentre penso a tutto questo, mia figlia apre gli occhi e si stiracchia nel suo pigiama di Charlie Brown. E con una punta di presunzione, ma solo una punta eh, penso che sia una bimba molto fortunata.

fuga dalla scuola sotto la media

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Se avrete voglia di leggerlo, quando uscirà, ci troverete i post di tanti, illustri autori di blog che insegnano in una qualsiasi scuola (più un imprevedibile “Pierino” che fa l’alunno e la cui identità resta segreta, per ora). Il libro elettronico si intitola «Voci di corridoio»: non vi dico chi partecipa perché sarebbe un lungo elenco e forse mi dimenticherei anche qualcuno e quindi sarebbe pure inelegante. Vi dico solo che merita quel po’ di attenzione, secondo me; e che sarà pronto, così dice Peppe, per la fine del mese, o al più tardi per la metà di giugno, quando la scuola sarà finita e potremo quindi portarcelo serenamente in vacanza.

La scuola pubblica, come non l’avete mai letta. La scuola come materia prima. Prossimamente sui vostri reader.

nel mondo dei media il personale è molto sotto la media

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C’è una nota catena di megastore di hi fi, informatica consumer e elettrodomestici che è giunto il momento di iniziare a boicottare. Non perché i prodotti che vendono sono progettati e costruiti da bambini costretti a lavorare diciotto ore al giorno, non perché la casa madre sta operando una preoccupante devastazione della foresta amazzonica. Il motivo del mio risentimento va nella cura con cui scelgono gli addetti alla vendita, la cui incompetenza, mista al QI che si evince dalle risposte che restituiscono alla clientela a domande anche solo di un livello di complessità superiore alla richiesta del prezzo di un articolo, è a dir poco disarmante.

Non posso tollerare che un acquirente digiuno di tecnologia possa correre il rischio di spendere centinaia di euro in prodotti dopo aver valutato il parere di un abitante del mondo dei media, specie se quell’acquirente sono io. Non si tratta della scelta di un tipo di prosciutto, articolo per il quale al massimo butto via tre o quattro euro, comunque lo mangio o se fa schifo al massimo lo declasso a cibo per gatti. Perché magari non ho voglia di passarmi in rassegna su Internet le schede prodotto di dieci modelli di telefono, mi piacerebbe avere un parere, un preventivo con qualche combinazione di piano tariffario di un nuovo operatore che in quel momento tu, abitante del mondo dei media, rappresenti.

Avere un’interfaccia che riesce a malapena a mettere insieme una frase sgrammaticata, per di più di contenuti inutili tendenti al dannoso, non serve a nulla e, benché sicuramente sottopagata e sfruttata, se nemmeno la componente umana fa la differenza, a quel punto è meglio studiare un sistema di distributori automatici di articoli tecnologici. Il contenimento dei costi è assicurato.

un esempio calzante

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Le iniziative organizzate per genitori e figli sono momenti di un valore impagabile. Se non riesci a passare un’ora continua con i tuoi bimbi durante la settimana, perché già c’è poco tempo e poi devi preparare la cena e poi lui/lei guarda un cartone e poi è già il momento di andare a nanna, e se nel weekend poi concentri tutto il resto delle incombenze che la specie umana solitamente è usa affrontare, avere uno slot (come si dice tra noi che lavoriamo per le multinazionali dell’ICT) da dedicare a un gioco strutturato che non sia girare in bici per piste tutt’altro che ciclabili è una manna dal cielo. Si sta insieme, si fanno nuove esperienze, laboratori, attività, arteterapia e lavori in creta.

Si tratta di incontri pensati per gruppi di una dozzina di coppie: si entra nella sala, di norma è uno spazio pubblico, una biblioteca per esempio. I due presentatori hanno già disposto sul pavimento un telo in nylon ampio: oggi si colora e si dipinge, che bello. Mia figlia non ama disegnare, io men che lei, questa può essere la migliore occasione per metterci in gioco, scoprire una passione nascosta. Chi può dirlo.

Ma c’è una drammatica lacuna. Siamo invitati a metterci in cerchio, ci prendiamo per mano, oggi è una giornata particolarente calda, siamo a metà maggio, lo si percepisce dai palmi sudaticci della bimba della coppia al mio fianco.  E mentre stiamo per sederci, ci viene chiesto di togliere le scarpe.

Mi sono giocato il buon umore, la fiducia negli altri, il valore delle attività di gruppo, la forza delle vibrazioni e del body language, le scariche di emozioni che attraversano una catena umana che si tiene per mano, lo spirito della fantasia e dell’immaginazione, la volontà di fare esperienze con il prossimo. E solo perché purtroppo il prossimo, talvolta, non si lava i piedi.

mancare due i su tre

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Maestra rimandata in informatica e inglese. Su 17 parole, la correzione bozze prima di andare in stampa non doveva essere così difficile. Recuperare sarà un’impresa.

il linguaggio della strada

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Mi chiedo e vi chiedo se non ci sia mezzo più tamarro, mucciniano (sia nel senso del regista che dell’attore) e moccioso (sia nel senso dell’autore di best-seller per eterni adolescenti che di eterno adolescente) che dichiarare o confermare il proprio sentimento scrivendolo con lo spray sull’asfalto o sul muro di fronte all’abitazione del destinatario/a. L’escalation è preoccupante: il personal marketing e l’adv a mano libera, nati per fare breccia sulle pagine dei diari scolastici, si sono con il tempo dilatati indelebilmente sugli zainetti Invicta, diventando successivamente di dominio pubblico a colpi di costosissimi pennarelli ad argentee o dorate melange con cuori e acrostici vari sui muri della scuola. E oggi, in piena linea con il protagonismo da always on line e pollici verticali a forma di italia uno, i mini-autori di sms in luogo pubblico sono l’esacerbazione della volontà di dirlo a tutti costi. Scripta manent. Così lo sapranno pure i genitori e, molto più preoccupantemente, i vicini di casa. I passanti. Cani e porci. E io.

D’altronde ogni atto deve manifestarsi in modo eclatante, no? Così è nato e si è diffuso questo stranamore da quartierino, perché ormai se l’atto non è pubblico non è mai esistito, ma se si utilizza un mezzo pubblico, e la strada o il muro sono sufficientemente luoghi pubblici, anche la comunicazione deve interessare la collettività. Quindi se volete sfogare le vostre smancerie con annessi e connessi, abbiate l’accortezza di portare i vostri messaggi brufolosi almeno a tre metri sopra il cielo.

no bambini, no party

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Un altro tema centrale della società contemporanea è che un sacco di bambini in età scolare, specie i compagni e le compagne di scuola di mia figlia, compiono gli anni con eccessiva frequenza. In una classe di 25 alunni non è infrequente che nel corso di un anno ci siano 25 compleanni e questo determina una occupazione militare di 25 pomeriggi, in genere baglioniani sabati pomeriggi, per mezzo di rumorose feste di compleanno.

Mantellini alle prese con le feste di compleanno. E si lamenta di dover presenziare a un barbecue in una casa in campagna. Tsk. Dalle nostre parti, Milano e dintorni ma soprattutto dintorni, un invito a una festa con barbecue in una casa di campagna è una ghiotta occasione ed è in grado di intercettare partecipazione con punte del 100%. Bambini con genitori, ma soprattutto genitori.

Prima di sviscerare la questione, un preambolo: la tendenza a festeggiare ogni minima occasione oramai è fuori controllo. Perché festeggiare significa invitare, partecipare vuol dire rinunciare alla libertà di passare il proprio tempo libero con chi si vuole e, soprattutto, non arrivare a mani vuote. La scala dei valori dell’evento parte dall’onomastico alle inizializzazioni sacre battesimo-comunione-cresima, in cui i parenti vestono abiti acquistati per l’occasione, pettinature improbabili e ci danno dentro con l’alcol. Il compleanno, tutto sommato, è il male minore: solo uno dei genitori ne viene coinvolto. Ma a botte di 20 euro per il regalo a volta.

Dalle nostre parti, Milano e dintorni ma soprattutto dintorni, le feste di compleanno si organizzano all’oratorio, nelle sale che altre associazioni laiche mettono a disposizione, più raramente, soprattutto quando i bimbi iniziano ad essere grandicelli, nelle abitazioni private. Perché alla fine tutti invitano tutti, e solo in pochi hanno dimore in grado di accogliere venti bambini/e. C’è poi chi ha la fortuna di aver partorito nei mesi primaverili, con conseguente organizzazione del party al parchetto. Il massimo è avere i figli nati in agosto, quando si è in vacanza da scuola e l’obbligo di ricambiare gli altri inviti decade per diritto naturale. Perché, è un dato di fatto, organizzare una festa per bambini è una discreta rottura di coglioni.

Non fraintendetemi. Adoro passare il tempo con i bambini, mia figlia e le sue amiche. Quando il numero è maggiore o uguale a 6, iniziano le difficoltà. Quando l’età è maggiore o uguale a 7 anni, le difficoltà si manifestano in toto. Perché finché erano in età prescolare mi divertivo a farle giocare, scatolina chiusa scatolina aperta, è arrivato un bastimento, un due tre stella. Da 7 anni in su bisogna pensare ad altro, ci sono quelle che civettano un po’, quelle altre che ne sanno più di te, e se mentre prima il gioco destrutturato poteva anche essere tenuto a bada, ora bisogna essere altamente pronti a contenere la noia che si materializza in anarchia. Così molti genitori scelgono la strada delle strutture organizzate. Paghi un tot a persona e il gioco è fatto, è proprio il caso di dirlo. Questo fino a quando i bambini non saranno grandi abbastanza da giocare alla bottiglia o, ancora meglio, farsi le canne in autonomia.

Il guaio è che, tra le strutture organizzate di cui sopra, la più organizzata, economica e in auge dalle nostre parti, Milano e dintorni ma soprattutto dintorni, è il McDonald, che non è un McDonald come gli altri, ma è un McDonald sito in una stazione di servizio in uno svincolo dell’A4. Un non-luogo che più non-luogo di così non potrebbe essere, troppo in autostrada per essere raggiunto a piedi e troppo a ridosso delle abitazioni per essere considerato un autogrill.

Così, oltre alle overdose di hamburger, coca e principesse Disney, dobbiamo, anzi si deve, visto che io mia figlia lì non ce la porto e spero non entri mai, fare i conti con il pubblico da non-luogo, gente di passaggio, avventori che non hanno mezzi di trasporto per recarsi altrove, avventori che sono venuti lì apposta con i loro mezzi di trasporto, avventori le cui mamme hanno scelto di delegare il divertimento del proprio pargolo, nel giorno del suo compleanno, a pedagogisti del calibro di Ronald McDonald. E poi non domandatevi perché c’è chi, da grande, sceglie di spaccargli le vetrine.

quei ragazzini che salivano

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Quando mia moglie ed io siamo rientrati a casa dopo aver ritirato l’esito dell’amniocentesi e abbiamo scoperto che la creatura che si stava sviluppando nella di lei pancia era di sesso femminile, abbiamo tirato un sospiro di sollievo. Il mio è stato lungimirante, e sette anni dopo non posso che confermare l’esattezza di quel pronostico. Ovvero che crescere una bimba è molto più edificante, e per certi versi meno problematico. Non me ne vogliano i genitori dei maschietti, i quali posso rassicurare dicendo che si tratta ovviamente di una generalizzazione pour parler, la mia, sussistendo numerose variabili soprattutto soggette al loro apporto, attraverso il quale è possibile condizionare il livello di positività di un’esperienza genitoriale.

Posso fare qualche esempio, che potrebbe essere di aiuto alle future mamme e papà di vari Kevin, Maicol e Nicholas? Partiamo dal principale e più evidente elemento differenziante: il cosiddetto “pistolino” dei bimbi piccoli non è il massimo, da un punto di vista estetico, né funzionale, vista la traiettoria di espulsione liquidi orizzontale. Insomma, scordatevi asse e dintorni del water all’asciutto, a meno di non educare i vostri pargoli a fare pipì da seduti, postura molto più civile. Non a caso propria delle donne.

Quindi i maschietti iniziano la vita in società e lì iniziano a menarsi, attitudine che si porteranno fin nella tomba, luogo dove capita che vi finiscano proprio dopo uno di questi confronti. Si menano al nido e alla scuola materna, alle elementari e alle medie e via, sempre più virilmente. Accompagnandosi anche con strumenti volti a causare il dolore fisico mirato dei propri avversari, come giochi appuntiti e coltelli, più tardi. Le cause di questo tipo di conflitti con i pari sono ovviamente rapportate all’età. Prima dei 7/8 anni si menano per motivi di possesso, dopo invece per motivi di possesso. Cambia l’oggetto, del possesso: dai giochi inanimati a quelli animati, ovvero in carne ed ossa e di genere femminile. Ora, non è che le bimbe non litighino, a volte si accapigliano. Ma si tratta di casi limite. Più frequenti, comuni a tutte l’età, sono invece i casi di femmine menate da maschi. Ma questa è un’altra storia.

Sei siete genitori di bambine, poi, vi eviterete alla grande le peggio brutture diseducative che il mercato ha in serbo per voi e che, con pubblicità occulte ed esplicite, cerca di imprimere nell’immaginario ludico dei vostri figli per essere poi sottoscritte nelle letterine natalizie e nelle richieste di compleanno. Ogni generazione ha decine di schifezze di questo tipo; quando ero bambino c’erano i vari Slaim e Vermil, oggi ci sono gli Schifidol. Ieri c’erano i Trasformer, oggi ci sono i Gormiti e i Bakugan. Ieri le figurine Panini, oggi le carte dei Pokemon. Roba per la quale i ragazzini impazziscono. Sì, mi direte voi, ci sono le Winx e le Barbie e tutto il sistema di adolescentizzazione precoce delle bambine che tende a farle diventare veline in erba e premature consumatrici di moda. Ma le ragazzine, essendo più avanti e più intelligenti, sono anche più forti e più aperte: è sufficiente fornire alternative valide e il gioco è fatto. Playmobil e Lego, per esempio, sono giochi che vanno bene per tutti, non necessariamente c’è bisogno di riempire le loro camerette di oggetti rosa, cucine e assi da stiro in miniatura, ponendo le basi per una futura vita da casalinga.

Mi permetto di introdurre anche il pianeta calcio. Se avessi un figlio maschio, mi troverei in imbarazzo vista la mia totale ignoranza del settore. Il vantaggio è solo uno: se hai più di due maschietti da intrattenere, gli dai un pallone in uno spazio aperto qualsiasi e non li vedi più per ore. Mentre per le bimbe è già più impegnativo. Il contrappasso vi sorprenderà al momento della scelta dello sport. Vogliamo paragonare un pomeriggio trascorso in un palasport a seguire un incontro di pallavolo indoor rispetto ad assistere a una partita di calcio magari in pieno inverno e con la pioggia, mentre vostro figlio sguazza nel fango falciato da calci e sgambetti?

Il cerchio si chiude con i primi bollori. Una figlia femmina implica maggiori preoccupazioni, ovvio. Ma nulla è peggio degli esperimenti di scoperta e di assestamento dell’autoerotismo maschile, l’odore che emanano quando lasciano la pubertà, le chiazze e i rimasugli di indubbia origine negli indumenti e negli angoli più nascosti del vostro appartamento.

Può capitare, infine, che andiate a prendere a scuola vostra figlia, come ho fatto ieri io, e decidiate di fermarvi al parchetto di strada verso casa. Chi vive nei dintorni di Milano sa che il parchetto è l’isola artificiale di verde imposto, a stento sottratta agli scempi della pianificazione edilizia, pochi ettari condivisi da tutti per avere l’illusione di vivere in un’alta concentrazione di verde, come le città americane che vediamo nei film. Quindi ci sono gli anziani che tirano le bocce, le mamme e i papà che lasciano i bimbi liberi di giocare e andare in bici, gli adulti che fanno sport. E purtroppo anche loro, i ragazzini delle medie. Eccone un gruppetto lì, su quella panchina. Cinque o sei sbarbatelli, cappellino e pantalone sotto il sedere, potenziale (se non già in atto) target per Fabri Fibra, Club Dogo e tamarri vari. Una canzone di questi esce a tutto volume e con una pessima equalizzazione da un telefonino, che il più zarro di tutti tiene in mano. Arrivo nei pressi con mia figlia, fortuna vuole che veda le sue amichette del cuore e corra a saltare sui giochi. Nel frattempo la baby gang schioda dalla panchina e si allontana strascicando scarpe slacciate, in un tripudio di machismo da MTV e brufoli. La panchina è libera, accelero il passo per conquistarla: potrò dedicarmi alle ultime 100 pagine di “Pastorale americana”, mentre le bimbe si distraggono felici. Ma l’occhio mi cade su una pozzanghera proprio ai piedi della panchina, risultato di una probabile gara di sputi degno passatempo dei precedenti occupanti. Ripongo il libro in borsa, e raggiungo mia figlia e le loro amiche, che nel frattempo si sono organizzate per un mini torneo di badminton. E sono liete di avermi loro ospite.