i nostri programmi sono terminati, signore e signori buonanotte

Standard

Non tutti hanno la fortuna di vivere in luoghi di villeggiatura senza la villeggiatura che poi sono luoghi a metà e film in bianco e nero visti alla tv ma nell’era della tv satellitare con una ricezione come la mia, che ogni due per tre si blocca in screenshot con pixeloni enormi e nemmeno il classico pugno sull’apparecchio serve più a qualcosa, mi devo mettere lì a smanettare dietro con il cavo dell’antenna finché il sistema non si riavvia. Quest’estate, come tante altre estati, me lo sono chiesto mentre mi asciugavo dopo il bagno, mentre osservavo un tramonto sul mare, mentre pagavo le pesche due euro e cinquanta al chilo. Cosa succede in posti come questo quando mancano le comparse, che sono i turisti, e restano solo i protagonisti. Quelli che vivono in quelle città fantasma dove sembra tutto finto e a pagamento e invece sono certo che c’è tutta una dimensione parallela e gratis anche laggiù. Le bancarelle che d’inverno sono prese d’assalto dai residenti per acquistare monili e prodotti artigianali, il cinema all’aperto che funziona anche se piove, che poi lì non piove mai. I ristoranti che si contendono quelle poche centinaia di abitanti dei paesini limitrofi, quei pochi che non sono andati a studiare fuori, a cercare lavoro sulla terraferma del continente, terremoti a parte. Le strade costeggiate da camperisti autoctoni che pensano che è bello comunque nei giorni festivi dormire in posti con una vista mozzafiato e si avviano ogni weekend intabarrati per il vento freddo che d’inverno sostituisce quello caldo dell’estate che mi sta portando via la fine.

I luoghi di villeggiatura senza la villeggiatura me li immagino come un dietro le quinte che dura mesi e mesi in cui si ridipingono i fondali e le scenografie, si ripassano le parti e le battute per la stagione successiva, si effettuano le prove senza gli abiti da scena e quindi più liberi e comodi senza la divisa da persona ospitale a tutti i costi che magari a lungo andare ti ci senti stretto dentro. Puoi finalmente parlare la tua lingua senza doverti esprimere in italiano o in tedesco o in inglese, se ti scappa qualche espressione in dialetto la capiscono tutti. Il dubbio resta capire chi paga tutto questo “making of”, se i proventi dalla vendita di pesche a due euro e cinquanta al chilo sono sufficienti a sostenere le stagioni di fiacca o se invece, una volta spento il sole e chi l’ha spento sei tu, tutti vanno a fare i lavori che farebbero se vivessero in posti in cui per trecentosessantacinque giorni si vive allo stesso modo, le città come la mia in cui non c’è nemmeno un scorcio per passare una serata romantica a godersi un panorama o un sentiero dove respirare un po’ di aria buona. E i posti di villeggiatura, più li imbelletti in estate e più risultano osceni in inverno se la qualità dell’offerta che proponi è finta e a misura di allocco. Ma se è vero che esiste il lavoro stagionale, è impossibile condurre una vita su questo modello. Sei mesi di fasti e sei mesi di rovina, come faceva quel mio conoscente che era un bagnino e che raccontava quanto era bello la mattina con il freddo e con la pioggia sentire i rumori della gente normale che si prepara per uscire e andare a lavorare mentre lui rimaneva al calduccio sotto le coperte.  Nei luoghi di villeggiatura senza la villeggiatura non credo che sia così, almeno quello a cui mi riferisco io e in cui sono appena stato. Mi piace pensare che laggiù esista un sistema che, alla fine delle trasmissioni, si sposta altrove per riprendere a funzionare. L’isola che, mentre noi non ci siamo, si muove in blocco in un’altra parte del mondo e ricomincia tutto da capo, ogni volta, senza smettere mai.

cioccolato e orologi a cucù

Standard

Quelli che, per motivi anagrafici, hanno provato l’esperienza di cominciare l’anno scolastico solo il primo di ottobre, gli stessi che hanno fatto l’esame di seconda elementare nel 1975 come, tra gli altri, Max Collini e il sottoscritto, si ricorderanno di settembre come di un mese estivo e di vacanza a tutti gli effetti. Magari uno di quelli meno prevedibili degli altri dal punto di vista meteorologico, almeno qui al nord e prima del cambiamento climatico protagonista degli ultimi vent’anni o giù di lì, ma che comunque rientrava nel periodo del dolce far niente, in montagna, al mare o giù in città.

E a vederla da qui, dove ogni due per tre si attenta ai ponti con sabotaggi istituzionalizzati per ridurre l’otium e incentivare il negotium, sembra un’epoca davvero di un secolo lontano, quando si poteva emulare l’epopea dei “cento giorni di Jula” perché tra baby pensionamenti o ammortizzatori sociali ad oggi impensabili, i bimbi più fortunati potevano sempre contare su qualcuno che in famiglia poteva far trascorrere loro quel lunghissimo oblio dai propri doveri da studente. Ma poi la cuccagna è finita, e da allora l’anticipo scolastico a metà settembre ha spinto i nostalgici come me a scorgere avvisaglie autunnali ovunque e a vedere la colonnina di mercurio mezza vuota, un pessimismo volto a minimizzare i privilegi sottratti nel nome di uno sviluppo economico che poi, detto fra noi, non è che si sia mai raggiunto. Per non parlare poi dell’ingresso della mia generazione nel mondo del lavoro, laddove è stato possibile, che ci ha ridotto a una manciata di giorni il meritato riposo.

A me incuriosisce come invece succede per gli altri Paesi, perché chiacchierando con i gestori del campeggio in cui ho appena terminato le mie ferie sono venuto a sapere che ora che noi italiani riportiamo i nostri pargoli nella porzione del sistema produttivo che loro compete, arrivano gli svizzeri. Già in questi ultimi scampoli di agosto l’invasione dalla Germania è stata massiccia e di italiani eravamo rimasti ben pochi. Ma settembre, non chiedetemi il motivo perché nemmeno io l’ho chiesto ai gestori del campeggio e quindi non lo so, è il mese degli svizzeri. Non ci sarebbe nulla di strano, se non che a settembre il tempo comunque peggiora, l’acqua è più fredda, le giornate sono molto più corte e la bella stagione è quasi del tutto archiviata. Così ho provato a darmi una spiegazione che vada oltre il calendario scolastico vigente in Svizzera.

Probabilmente ci sono popoli che hanno un’idea molto diversa del mare in estate dalla nostra, che comprende il tendere il più possibile a una carnagione africana in barba agli eritema e a malattie della pelle ben peggiori. Ai racchettoni e ai tuffi a bomba che spruzzano i vicini. A sfoggiare polo con il colletto all’insù e cavigliere e infradito nei borghi turistici la sera, cercando il posto dove vanno a mangiare i calciatori. Ci sono persone per le quali il mare è una parte della natura, natura che è bella con il sole e con la pioggia, con la luce e con il buio, con il solleone e con quindici gradi la mattina e l’acqua ghiacciata ma che importa, il mare della Sardegna ha colori sempre invitanti e ci si tuffa dentro anche la mattina presto.

Ed è per questo se, come in questo momento in cui sto scrivendo e piove a singhiozzo, ci sono ragazzini non italiani che giocano a volley sulla sabbia umida, adulti che passeggiano sul bagnasciuga, altri che fanno lo stesso foto o stanno al coperto perché non hanno voglia di bagnarsi ma sembrano consapevoli che anche questa sia una parte di ciò che hanno acquistato. E che probabilmente venendo qui in agosto ci sarebbero solo emozioni di un unico tipo, poco varie e forse di qualità più standard. Ieri sono comparsi i primi due camper targati croce bianca in campo rosso a godersi la loro stagione fuori stagione. Noi si torna a casa.

le stelle sono tante, milioni di milioni

Standard

Poco più avanti c’è un villaggio turistico a numerose stelle di cui ho sentito parlare da persone del posto e da gente qui in campeggio. Ho saputo, per esempio, che un preventivo ricevuto da una famiglia di quattro persone – due adulti e due bambini – per il periodo centrale di agosto, quindi altissima stagione, ammontava a quattromila euro a settimana e questa famiglia, che di settimane ne voleva fare almeno un paio, ha ovviamente rifiutato l’offerta. Ottomila euro per due settimane. Ma anche che la suddetta struttura, che ha milleduecento posti, proprio nel periodo da quattromila euro a settimana aveva solo cinquecento ospiti, il che mi sembra più che plausibile perché, e sono testuali parole della parrucchiera del borgo vicino al campeggio in cui mi trovo, oramai in Sardegna viene solo chi se lo può permettere, è sparito il ceto medio.

Un’affermazione che mi ha fatto piacere per due motivi. Da una parte perché mi ha involontariamente categorizzato in una non ben definita aristocrazia del turismo che comprende chi ha il grano e chi, come me, non lo ha ma a furia di cercare e provare combinazioni alla fine riesce a trascorrere sulla costa più bella d’Italia le proprie ferie estive dignitosamente, senza sbracare ma comunque in condizioni assolutamente più che accettabili e a costi contenuti. Dall’altra mi ha fatto altresì piacere venire a conoscenza del fatto che la parrucchiera in questione avesse ben chiaro nella sua testa dall’acconciatura discutibile il concetto di ceto medio sfoggiando competenze non comuni su tematiche sociologiche.

Ma sono venuto anche a sapere che quel villaggio vacanze è gestito da uno o più affermati ex giocatori di calcio, tanto che qualcuno qui ha avvistato persino Martina Colombari sotto uno di quei ennemila ombrelloni di classe ma così fitti che non si capisce dove finisce una famiglia e dove inizia quella successiva, e per quattromila euro la settimana questo tipo di promiscuità non mi sembra all’altezza di tutte quelle stelle che il villaggio vanta. Voglio dire, suppongo che i clienti di quel club per Vip non gradiscano avere i figli degli altri tra le scatole mentre si godono la ressa di loro simili. Perché un conto è avere a distanza ridottissima un preadolescente con il taglio con la cresta che oggi va così di moda che gioca con il telefonino, un conto è avere Martina Colombari in costume che prende il sole. Ma non è tutto.

Chi passa lungo il bagnasciuga lì davanti durante le ore mattutine può imbattersi, oltre a qualche starlette nostrana, nella gente comune arricchita intenta in alcune attività studiate ad hoc per il divertimento strutturato degli ospiti, e non sta noi giudicare le persone che provano spensieratezza a comando e solo in determinati orari prestabiliti. Si va dall’immancabile acquagym per carampane alla celebrazione collettiva di una ricorrenza importante come il milionesimo clic su youtube del video del pulcino pio con un ballo di massa in acqua diretto dal capo villaggio in tre varianti: normale, in lingua portoghese (o sardo, non ho capito bene) e a velocità aumentata, che poi è il massimo e tutti si scompisciano dalle risate.

La morale è che strutture turistiche grandi e di un certo livello hanno momenti ludici all’altezza. Il che vale anche per il volume della musica diffusa, che alla sera, quando qui nel campeggio dei poveri vige il silenzio e i tedeschi sorseggiano la loro birra accompagnati dalle loro mogli, che a differenza del villaggio dei ricchi italiani non hanno unghie pittate e plasticate e non sfoggiano tatuaggi, qui arrivano le note del piano bar del villaggio dei ricchi a sovrastare gli spettacoli serali improvvisati e rappresentati senza nemmeno un microfono e un impianto di amplificazione.

Che poi uno si aspetta chissà che musica ascoltino, Martina Colombari, gli ex calciatori e i Vip del villaggio da quattromila euro la settimana con i loro figli dai nomi impresentabili altrove come Ludovica e Ottavia. Ieri sera si percepivano distintamente le strofe e il ritornello de “L’ora dell’amore”, il che la dice lunga sull’età di chi lo stava eseguendo e di chi stava ascoltando e magari ne ha fatto pure la gentile richiesta. Mentre di là qualcuno ballava il celebre lento dei Camaleonti poggiando le proprie guance liftate sul petto depilato di un partner occasionale, di qua io e un compagno di vacanza ricordavamo gli Zuco 103. No, così per dire.

alcuni aneddoti dalla settimana prossima

Standard

Fate attenzione, però. C’è molta gente che poi arriva a un punto che non ne può più e passa gli ultimi giorni di vacanza anticipando quello a cui si troverà a far fronte di lì a poco, come se avesse applicato una sorta di dissolvenza stile transizione di Power Point tra due blocchi della propria vità, sporcando un po’ di qua e di là sperando che questo tipo di contaminazione – c’è un po’ di lavoro nelle ferie e e c’è un po’ delle ferie nel lavoro – porti giovamento e abbatta lo shock della fine di un qualcosa. Fate attenzione perché hanno un che di contagioso e il morbo che questi infiltrati del futuro sono in grado di trasmettere è un male contagioso e ti mette l’ansia. Cominciano a dare un’occhiata alla posta del lavoro, pensano a come risistemare tutta la roba in auto, credono sia meglio dare una riassestata ai capelli prima di ripresentarsi in ufficio e si chiedono se il barbiere di fiducia sarà già rientrato. Ma anche tutta la sfera domestica è fonte di questa deviazione nostalgica, anzi nostalgia deviante, perché puoi anche non essere uno che ha sempre la valigia in mano e/o la seconda casa in cui trascorrere i finesettimana ma alla fine durante l’inverno negli ambienti in cui abiti ci stai poco, quasi sempre con la luce accesa, molto spesso in fasi transitorie prima di buttarti a letto o di uscire per il lavoro. E questi li capisco di più, dopo due o tre settimane di assenza sentono la mancanza delle loro cose, magari hanno lasciato i gatti alla cura di amici e parenti, poi le routine a cui non pensano proprio perché sono routine e si eseguono meccanicamente ma quando non si eseguono per un po’ poi uno ci pensa, ai gesti e alle attività per allontanarsi dalle quali si paga e profumatamente. Poi metti che l’acqua è più fredda e la vita all’umido nel continuo susseguirsi di mare e docce e piedi da sciacquare inizia a stargli stretta e così questa gente che ha già attivato la procedura di reinserimento pensa che forse avrebbe fatto meglio a prevederla questa cosa che poi l’estate stufa e l’anno prossimo giurano che prenoteranno almeno tre-quattro-cinque giorni in meno perché più di così loro lontani da casa non ci sanno stare. Io di gente così ne ho anche un paio in famiglia. Una grande che rimpiange più che altro il suo materasso matrimoniale e le comodità da appartamento, l’ebbrezza di camminare senza sentire la sabbia tra le dita dei piedi e altre amenità minimali. Una piccola a cui mancano le amiche del cuore, le compagne di classe e addirittura non vede l’ora di ricominciare la scuola. Roba da pazzi, dico loro. Perché ci sarà tutto il tempo che vorranno per i piaceri dei doppi vetri, della lavastoviglie e dell’adsl. Del tempo pieno in aula e delle merende in cameretta, Diciamo così basta a questi anticipatori del dopodomani, che mesi prima di partire iniziano il conto alla rovescia e scelgono con cura le creme solari e poi, quando il soggiorno è agli sgoccioli, cominciano con i buoni propositi per la stagione a venire. Fermiamoci qui in questo istante che sa di iodio e di maestrale e impegnamoci una buona volta a scandire solo il presente momento per momento, onda dopo onda, venditore ambulante dopo venditore ambulante.

suvvia

Standard

Io poi questa cosa delle automobili proprio non l’ho mai capita. Cioè, capisco che l’uomo abbia un enorme attaccamento innato al proprio mezzo di trasporto, e penso all’uomo e al suo cavallo, al suo asino, l’animale che gli allevia la fatica del lavoro ma soprattutto dello spostamento fisico, l’animale che gli permette di macinare chilometri senza sforzo. Perché la velocità in fondo è potere, l’idea dromocratica che controllare fisicamente posti distanti sia in qualche modo affermazione e presenza sul territorio, la condizione più prossima all’ubiquità, il sogno dell’umanità intera vecchio quanto il genere umano stesso. E chiaramente maggiore è la velocità, più elevato è il potere di sorveglianza. La visione del chi tardi arriva male alloggia, appropriarsi per primi sugli altri, chi lo sa. O comunque, se il tempo è denaro, meno ne perdi per gli spostamenti meglio è. Continua a leggere. (da Alcuni aneddoti dal mio futuro del 25/08/2011)

Disclaimer: in estate chiunque si barrica dietro un autoreply di chiuso per ferie e mette in sua vece un ologramma giusto per tenergli caldo il suo centimetro quadrato di spazio on line per il ritorno. Sapete, di questi tempi meglio non lesinare in sicurezza, i posti si fanno presto a perdere e mettere un surrogato di sé stessi può essere una strategia vincente. Così noi che apparteniamo a una sottospecie di categoria di esodati ma solo perché abbiamo preso parte come milioni di altri alle partenze molto poco intelligenti, ma allo stesso tempo non vogliamo che vi dimentichiate di noi, abbiamo pensato di pubblicare in questo periodo di vacanza qualcosa di già edito, nostro o altrui, o qualche pezzo a cui siamo particolarmente affezionati. Ciò non toglie che l’ispirazione, dai mari della Sardegna, faccia capolino di tanto in tanto.

no, niente

Standard

Io lo so che tra di voi c’è pieno di gente un po’ snob che giudica gli altri solo in base al tipo di vacanze che fanno. Sì, dico proprio a te, è inutile che fai la gnorri. Brutte persone piene di pregiudizi su Sharm, Maldive, Rimini, San Teodoro e sul motivo che spinge moltissimi italiani fuori o in stagione verso quei lidi. O i villaggi all inclusive con gli antipasti al carrello per non parlare delle crociere. Perché è vero: la vacanza ci deve somigliare altrimenti non è vacanza, ma è un secondo lavoro a progetto con tanto di deadline rigida da portare a termine nel corso delle agognate ferie di agosto o giù di lì per poi ritrovarsi il primo giorno di lavoro più stanchi di prima ma con la faccia che ti brucia ancora dal salino del giorno prima e quelle decine di lavatrici da fare e poi stendere e stirare tutta la roba da mare per la stagione successiva. Non è vita. Quindi alla faccia di quelli che partono per un tour delle ex repubbliche sovietiche o alla volta della Patagonia, spezzo una lancia per chi ha il coraggio di scegliere una vacanza in cui non fare un beato cazzo. Niente. Tutto il tempo speso tra leggere da sdraiati, godersi l’ombra da sdraiati, anche prendere il sole ma da sdraiati, farsi un bagno rinfrescante da sdraiati e, al limite, tentare anche un’escursione ma rigorosamente da sdraiati. Per non parlare del riposino di metà mattina, quello dopo pranzo e quello pre-aperitivo, tutte attività da svolgere a bordo di una branda. Da sdraiati. E, ogni tanto, pensare a tutte le cose che nel frattempo non si fanno. Tutti i tornei a cui non iscriversi. Le attività ludiche a cui non partecipare. Le gite da evitare. Gli spettacoli organizzati per nostro divertimento a cui non presenziare. Cene e merende conviviali a cui rinunciare. E, a corollario di tutto questo, la vita sociale da non svolgere e le persone che magari condividono lo stesso spazio dedicato al relax da non conoscere né frequentare. Ecco il vero riposo. L’unica confutazione al concetto molto aleatorio di vacanze intelligenti. Io quest’anno sono altrove ma passo il tempo così. A non fare un cazzo. Da sdraiato.

libera la spiaggia

Standard

In tre bambine hanno in tutto una quindicina di Barbie corredate di vestiti e accessori, e a loro modo incrementano la densità abitativa di questo fazzoletto   di spiaggia libera ligure che, proprio stamattina, in una classifica redatta da un quotidiano locale, svettava nelle posizioni più alte in fatto di qualità. Una media   tra pulizia dell’acqua, attrezzatura e non saprei cos’altro perché proprio qui dietro c’è un parcheggio abusivo. Ora, se fossimo una nazione civile, questo   dettaglio sarebbe sufficiente a squalificare l’intero comune e non solo quella spiaggia libera. Si tratta proprio di un parcheggio abusivo, nel 2012 e in una   cittadina turistica del nord Italia. Un tizio che ha una sottospecie di cascina con un ampio sterrato racchiuso in un recinto davanti, c’è pure una sottospecie di cassiera dalle fattezze abusive quanto la sua mansione che fa finta di niente, ma non si spiegano altrimenti le decine e decine di auto allineate dentro e il via vai malgrado l’assenza di una qualunque indicazione.

E proprio da lì esce un omaccione in costume sul cui torace depilato sono impressi i segni  inequivocabili del malaffare: un tatuaggio di Gesù Cristo, che non è che in sé Gesù sia un emblema del’Italia in nero, però chi se lo tatua è come se ne  incarnasse in automatico – almeno da un punto di vista lombrosiano – le sembianze. A fianco si riconosce un tatuaggio di Cochise, proprio il capo indiano.  Quindi un tribale che sembra scarabocchiato lì per caso quasi a incorniciare il nome di una donna in inchiostro blu, Assunta, chissà, forse la moglie, o l’amante, o la madre. Spero  non la figlia. L’uomo ha appena sganciato una banconota da dieci alla signora oversize alla cassa, si accende una sigaretta e ritorna sul fazzoletto di spiaggia ad incrementare la concentrazione di bagnanti, come le tre bambine e le loro Barbie.

Il gioco però ora sembra essere decontestualizzato rispetto al  giocattolo. Le bimbe si divertono a lanciarsi una delle bambole completamente nuda tirandola come fosse una freccetta, e il vigore dei lanci si fa via via  sempre più forte fino a quando la più rude del gruppetto effettua il suo tiro come a voler marcare la supremazia sulle altre. La Barbie nel frattempo ha  assunto una postura da tuffatrice, con le braccia e le mani giunte in avanti, il che ne aumenta l’aerodinamicità tanto che, sulla spinta di tanta veemenza,  la Barbie va a conficcarsi nel polpaccio di una signora che, in piedi sul bagnasciuga e all’ombra del suo cappellino verde, cade in acqua dolorante. Il padre della lanciatrice accorre a estrarre le mani di plastica di marca dalla carne viva e si prodiga in scuse a profusione, un gesto non sufficiente a placare l’ira vendicativa del marito della donna ferita che estrae il suo fucile da pesca subacquea e con una flemma da killer di professione  sazia con il sangue la sua sete di giustizia sommaria.

Nulla però sembra distrarre la ragazza dai punti neri del naso del suo partner, sdraiati a terra poco distanti dall’accaduto e immolati più che al dio sole alla dea estetista. Aiutandosi con un fazzoletto di carta rimuove attentamente tutte le impurità della pelle ripetendogli, come un mantra, che quel tipo di operazioni con i pori dilatati dal sole sono più efficaci. Un’altra coppia, ben più rodata, una volta assicuratasi la relativa gravità dell’accaduto, riprende l’eterna sfida a carte, una partita dopo l’altra nella totale assenza di dialogo se non a stabilire il vincitore di ogni mano.

Molto più chiassosi invece sono un gruppetto di ragazzotti tedeschi, che già fanno  tenerezza per essere in vacanza in Italia e in vacanza proprio lì, insomma avrebbero potuto essere più fortunati o per lo meno informarsi prima. Stanno   cercando di farsi capire dal gestore del chioschetto – quello che probabilmente ha permesso a quella spiaggia libera di ottenere un punteggio così alto sul   quotidiano locale – su quello che vorrebbero bere. “Bàrbara”, dicono in un italiano stentato, “noi voliamo bàrbara”. Finché si avvicina una signora che di   certo è la più anziana di tutta quella densità abitativa e ha un colore che tende al marrone scuro. “Guarda che i signori vogliono bere del barbèra”. I   tedeschi esultano perché era lì che volevano arrivare, ma l’accento e l’assonanza con il nome femminile aveva mandato in crisi il barista.

Troppa caciara, pensa così l’unico che è nei pressi di tutta quella gente spensierata a ridosso del ferragosto con un libro in mano. Dopo aver registrato a mente il vivace quadro vacanziero, in cui solo uno tra tutte le situazioni accadute risulterà poi essere frutto della sua fantasia, si sposta più in là e continua della lettura di “Fidanzata in coma”, un classico della letteratura da ombrellone.

no vabbè dai andiamo in montagna, sicuramente farà più fresco e poi ci sarà meno casino che al mare

Standard

l’omonima insalata

Standard

Il Belgio è uno di quei posti che pochi associano a una vacanza, o a un paese in cui trasferirsi. O quelle nazioni che quando pensi all’estero ti vengono in mente. Non so, magari succede solo a me, ma prima di arrivare al Belgio la mia classifica di luoghi del mondo passa in elenco una sfilza di altri stati e città. Complice anche qualche episodio di cronaca che ha alimentato il generatore di luoghi comuni e relative battute sui comportamenti di chi vive lì. Però pensavo proprio questa mattina a una serie di prodotti culturali del Belgio che si posizionano molto bene nelle mie personali categorie di appartenenza, trovo giusto quindi rendere omaggio a una piccola grande civiltà.




questa zozza società

Standard

D’altronde con qualcuno bisognerà pur prendersela, se è il primo giorno di lavoro dopo le ferie e piove e il treno viaggia con diciotto minuti di ritardo circa. Questa zozza società che ho visto ampiamente rappresentata sulla tratta Olbia-Civitavecchia, clientela tutta italiana perché dal nord Europa ha più senso imbarcarsi da Genova. Ce l’hai accanto e ti riporta alla realtà, l’Italia, anzi, l’Italia 1 che è fatta di treccine afro (probabilmente impazzavano gli intrecciatori sulle spiagge sarde e si tratta di una pettinatura alla moda), di labbra a canotto, di pelle tirata artificialmente e ammennicoli vari di cui ci beeeeeiamo (cit.) di fronte ai nostri simili, una spettacolarizzazione in cui manca solo un Teo Mammuccari che ci presenta uno a uno con il suo verso da agitatore di folle che tanto ci piace e chiede un applauso per ogni tratto osceno che nota in noi. Ma anche una zozza società in cui si vive per le ferie che poi finiscono, tutto riparte tranne l’economia perché manca la manovra, anzi c’è ma ogni giorno cambia e i mercati si burlano delle nostre zozzerie. Mi unisco allora al coro degli stornellatori, perché qualsiasi cosa sembra meglio, figuriamoci poi il vinello bianco fresco fresco che ti taglia le gambe, quindi mi alzo in piedi e dedico l’ultima strofa a questa società a responsabilità limitata in cui oggi sono rientrato al lavoro, che un po’ zozza lo è ma non dico perché, magari qualcuno che mi conosce passa di qui e lo legge.