la camera 237 è comunque al secondo piano

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Ho letto che persino i più fanatici estremisti dell’ecologia che differenziano con una precisione da neurochirurgo ogni molecola estranea al materiale proprio del singolo contenitore della spazzatura, questi presuntuosi green-nazi quando entrano in una stanza d’albergo gettano la maschera, questa volta nell’indifferenziato, e si sparano docce roventi da mezz’ora buona, come se l’acqua delle strutture ricettive fosse creata dal nulla e, comunque, gli sprechi delle città che non sono la nostra contassero di meno, tanto son cazzi di chi abita lì se un giorno ci sarà la siccità, mica di dove viviamo noi, e non si trattasse invece di un problema globale. E l’acqua stessa delle docce negli alberghi può raggiungere una temperatura che in natura non esiste, oltre quel limite che noi conosciamo osservando le pentole durante le lunghe attese prima di buttare la pasta. Nelle nostre case, sopra ai nostri fornelli, dal fondo dell’acciaio inox vediamo formarsi bolle che allegre gorgogliano in superficie ed ecco che l’acqua può liberamente evaporare nell’iperuranio dei liquidi che diventano sostanza gassosa mentre dai rubinetti degli alberghi no, non esiste temperatura di ebollizione e anche noi, soli in quel simulacro di ambiente domestico, sublimiamo in creature prive di qualunque tipo di escoriazione cutanea dovuta a scottatura. Un esperimento assolutamente da non riprodurre a casa: gli esseri umani, nelle trasferte di lavoro, assumono le sembianze degli stuntman da film di zero zero sette o addirittura fanno un passo indietro nel proprio processo evolutivo verso il materiale con cui costruiamo quei pupazzi che fanno le nostre veci negli esperimenti sulle auto e le cui effigie mettiamo alla berlina (non nel senso di vettura, ça va sans dire) in quella serie di manuali per insegnare cose banali agli stupidi, oggi soppiantati dalla saga di Aranzulla.

In carne ed ossa, nei bagni degli alberghi, dopo ore di doccia lo specchio del bagno risulta talmente appannato che, a causa del vapore denso come la nebbia che c’era a Milano prima che il clima si dimenticasse della nostra tradizione, siamo costretti a farci la barba a memoria. E poi quanti asciugamani consumate a testa, in genere? Io li uso tutti, tanto sicuramente li mandano in blocco in lavanderia, perché sono uno di quelli che non solo fanno docce come ho descritto prima, ma ne fanno almeno tre a cavallo di una notte. Una al check-in per togliermi le scorie del viaggio, una prima di coricarmi perché è bello mettersi a letto con il calduccio catturato durante il lavaggio, e una la mattina per affrontare la giornata con la massima igiene corporea. Nella classifica per stilare un indice di gradimento delle strutture ricettive, le docce vengono subito dopo la connessione wireless sia in download che in upload e la colazione, che per affrontare la successiva mattinata di lavoro deve essere un insieme di piatti della tradizione anglosassone e tedesca con il cibo tipico italiano da prima mattina, un opulento spettacolo che certi turisti fotografano nemmeno fosse il tramonto sul Canal Grande e non immagino il resto del loro rullino digitale da cosa sia composto. Infine, prima di un anonimo commiato dall’hotel di cui siamo stati ospiti, gli operatori del settore si prestano alla pantomima degli extra prima di rilasciarti la fattura. Non so voi, ma io non ho mai aperto un frigo in una stanza d’albergo perché, credetemi, ho paura di quello che ci potrei trovare dentro. Non è che perché ho un appuntamento di lavoro dall’altra parte dell’Italia o del mondo mi porto in camera le escort e sboccio bottiglie di champagne da addebitare alla carta aziendale. Io no. Viaggio solo, con una bottiglietta di plastica nello zaino, in casi estremi mi servo dell’acqua del bagno (questa volta fredda) e se mi pagano la cena, e quindi esagero con piatti che di tasca mia non pagherei mai come il filetto di manzo con il gorgonzola sopra che altro che incubi in cui io ero un partigiano e i nazisti con i loro sidecar mi stanavano dentro un fienile, mi procuro prima di ritirarmi una lattina di coca cola, qualora mi si riproponesse qualcosa nel corso della notte, a tenermi sveglio e facilitare la digestione mentre scrivo delle cose così.