love story

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Se Dede mi chiede di incontrarci è perché è successo qualcosa di travolgente, tipo mi sono messo con una cubana che ha un figlio di dieci anni, oppure sto per partire da solo in moto per un tour delle repubbliche caucasiche, oppure ho preso in società con Ricky un bar tavola fredda al porto, laddove questo Ricky è uno appena uscito da Marassi (il carcere di Genova, n.d.r.) perché è stato colto con le mani nel sacco, proprio il sacco contenente la refurtiva di un appartamento dei quartieri alti grazie alla videosorveglianza. Una vittima della tecnologia, insomma. Dede ha questi episodi di forte rottura con la sua vita, o è la vita che vuole rompere con lui perché probabilmente non gli ha mai perdonato di lasciarsi chiamare con un nomignolo così infelice e di aver considerato il suo nome vero un improprio sfoggio di cultura classica dei genitori, volto a creare una allitterazione di troppo nei dati anagrafici su biglietti da visita dispensatori di ilarità. Io invece mi burlo di quel nick da sempre, anche se ora a Dede non interessa più di chiamarsi come il figlio di un re longobardo e ha imparato a convivere con la volontà della sua famiglia d’origine.

E dietro al classico delle modalità di incontro, vediamoci per un aperitivo di quelli che poi anziché stuzzicare l’appetito te lo fanno passare a suon di piattini con gli avanzi del giorno prima dei ristoranti della zona, Dede mi racconta della Tea, altro diminutivo facile da ricordare quanto scarsamente attendibile, che lo ha chiamato al telefono – numero avuto non si sa bene come – dopo venti anni esatti dalla cerimonia di ritiro della laurea di entrambi, che è stata anche l’ultima volta in cui si sono visti. Tea e Dede si sono presi e lasciati almeno quattro volte negli anni dell’università, un amore turbolento in cui lei non aveva per nulla la vocazione per i rapporti monogami ma ogni volta ci si metteva di impegno, almeno questo bisogna riconoscerlo. Lui era alla sua mercé fino ai limiti dell’umiliazione, ma l’indole era quella di darsi anima e corpo alle passioni, e Tea per lui era più di una passione. Era una malattia. Poi qualcuno la vedeva appesa alla labbra di un altro qualche giorno dopo che Dede aveva raccontato della promessa congiunta di dedizione eterna, così c’era il dubbio se fosse meglio metterlo al corrente o no. Come ci si comporta tra amici? Così finiva il primo round, ma dopo qualche mese lei tornava alla carica, ho capito quanto non posso fare a meno di te, e magari era anche vero. Iniziava un nuovo tentativo, si parlava addirittura di andare a vivere insieme, ma quei due avevano il destino segnato. L’ultima volta, che è stata la più tragica, Dede aveva capito che non faceva proprio per lui una storia così, e quando Tea gli disse che era meglio lasciarsi perché si era presa dell’argentino della casa dello studente e non era sicura di quello che sarebbe potuto succedere, finalmente Dede riuscì ad estrarre dalla confezione la sua provvista di amor proprio ancora intonsa, anche se con la garanzia scaduta da un pezzo, e decise che basta.

“Mi ha chiamato Tea, te la ricordi vero?”. E come potrei non ricordarmi le serate passate a parlare di lei e le sue telefonate fiume in cui voleva giustificarsi con me, tuo amico, per trattarti così. Attiravi il suo sadismo, probabilmente. Era molto bella, in effetti, e tu eri convinto che fosse una fuori di testa. Solo una fuori di testa così bella può mettersi con me, dicevi. Sapevi che aveva sofferto di esaurimento nervoso qualche anno prima di incontrarti, e tutto sommato qualche stranezza nel comportamento la manifestava. E ora Tea ti ha chiamato per dirti che sta per morire. La sua vita sentimentale, da quei tempi in poi, è stata sempre più disordinata e difficilmente organizzabile ai fini di una narrazione. Di certo non ha mai avuto relazioni sufficientemente stabili da consentire una progettualità con un partner. Poi la malattia ha preso il sopravvento e l’ha portata verso un decorso ineluttabile. “Io non sapevo nulla”, mi dice Dede. “Mi ha chiamato Tea e me lo ha detto così, non mi rimane molto tempo”. Dede ora è in silenzio, una mano intorno alla bottiglietta di birra e l’altra in tasca. Non dice altro perché non c’è altro da dire, e io ho già capito che cosa farà.