animali e padroni

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La questione degli uffici che per fare i moderni hanno uno o più animali domestici è controversa e ogni volta occorre fare attenzione a non urtare la sensibilità di nessuno. Ci sono aziende con gatti e cani che si aggirano tra scrivanie e computer in cui i clienti, quando sono in visita, pensano che avanti che sono questi che hanno il cane o il gatto in ufficio, molto di più delle aziende in cui si pratica il calcio balilla o che hanno la PSP in sala riunioni oppure la palestra, così se vuoi passare del tempo extra nei pressi della produzione e in odore di straordinario non riconosciuto puoi sempre farlo. Ma con i tempi che corrono gli animali aziendali costituiscono un rischio perché finisce che cani e gatti sono tenuti più in considerazione dei dipendenti e acquistano maggiore dignità, questo perché là fuori, nella vita di tutti i giorni ma anche sui socialcosi, quante volte avrete sentito dire che tizio o caio preferiscono gli animali al genere umano perché si meritano più affetto, amore e cure del prossimo tuo come te stesso. C’è un sacco di gente che sceglie di circondarsi di cani e di gatti perché è sociopatica o non è in grado di mantenere una relazione di semplice conoscenza, amicizia per non dire amore con qualcuno. Si tratta di dinamiche che poi si riflettono in certe stramberie che oggi sono all’ordine del giorno, comportamenti o attenzioni verso gli animali che se un viaggiatore del tempo dal secolo scorso si trovasse nella società odierna ci chiederebbe se siamo scemi o cosa. Per non parlare degli animalisti estremi, che oggi li ritrovi a fare il regalo di Natale al cane e domani a prendere a sprangate l’automobilista che glielo ha messo sotto con la macchina. E notare che se ci sono sempre più animalisti è perché sono sempre meno gli umanisti, ecco perché non ci fa né caldo né freddo se i barconi con i profughi si riversano in mare, se i greci andranno anch’essi a bagno o se le stazioni ferroviarie pullulano di morti di fame. Fatte le dovute proporzioni, questi fenomeni si avvertono anche negli ambienti professionali. Agli impiegati viene chiesto l’impossibile mentre a cani e gatti aziendali è riservato il trattamento delle grandi occasioni. Possono abbaiare mentre sei al telefono con qualcuno, se ti cagano nella stanza che importa, se c’è puzza di crocchini e di pelo bagnato che nemmeno al centro sociale dei punkabbestia va bene così perché amare gli animali è l’anello più evoluto della nostra civiltà mentre l’uomo da rispettare ormai è fuori moda. Io amo gli animali, soprattutto quando sono in casa d’altri, negli uffici delle agenzie più trendy della mia o, in certi casi, quando sono nel piatto cotti a puntino e non mi riferisco certo a cani e gatti. Mi è successo pure di fare colloqui in altre aziende e di essere accolto, come prima cosa, dal cane o dal gatto aziendale che mi sente addosso l’odore del cane o del gatto dell’agenzia concorrente (qui da me ci sono due cani simpaticissimi), con il boss che ti viene incontro per assestare l’entusiasmo della bestia domestica alle giuste proporzioni, non sono un cliente e non merito scodinzolamenti o fusa o strusciate sui pantaloni, e arriverà il momento in cui negli uffici diretti da imprenditori tatuati dai gusti esotici si aggireranno animali feroci, tigri o varani o serpenti velenosissimi per rendere l’ambiente ancora più stimolante.

più forte dell’Ikea, incredibilmente vicino come un centro commerciale

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Non sono assolutamente d’accordo sul fatto che avere a cuore piante e fiori sia un indice di sensibilità o anzi, probabilmente è così ma almeno sono certo che non sia vero il contrario. Io rispetto il verde ma non chiedetemi di tenerlo sul balcone o in casa, faccio seccare il basilico nel vasetto e persino le piante grasse che hanno bisogno di meno cure di uno strato di cemento. Anzi la sensibilità la dovreste pretendere nei vostri confronti se qualcuno vi costringe o vi chiede con subdole finalità di accompagnarlo in uno di quei megastore di piante e tutto per il giardinaggio che ora non so se siano una caratteristica dell’area metropolitana di Milano. Sarà che dove sono nato e cresciuto non ho mai sentito l’esigenza di acquistare nemmeno l’erba gatta, mentre non appena trapiantato – è proprio il caso di dirlo – in padania la visita in una di queste aree grandi come centri commerciali ma monosettoriali o al massimo con prodotti variamente correlati è stata una delle prime esperienze di quel tipo di turismo domenicale, quando malgrado il mix tra clima e suburbia ci si impone di mettere il naso fuori.

Ce n’è uno in particolare, a dieci minuti da casa mia, che oltre a tutto per il pollice verde, arredamento da outdoor e – sotto le feste – il più ampio assortimento mai visto di addobbi natalizi e componenti per il presepe, comprende un ampio reparto dedicato agli animali e alla cura degli stessi. Che poi è una vera e propria contraddizione: in questi tempi di scetticismo nei confronti dei consumi, esercizi come quello sono strapieni malgrado i prezzi, soprattutto quando inizia a percepirsi la primavera nell’aria e cresce la voglia di rimestare con guanti e palette nella terra di giardini e vasi ricca di vermi. E in quello che ha anche articoli per cani, gatti e molto altro c’è spesso la fila perché riunisce due tipologie di utenti: quelli che rispettano gli animali e quelli che rispettano le piante, entrambe caratterizzate dalla mancanza di rispetto verso gli esseri umani, soprattutto in fase di ricerca di un posto nell’ampio parcheggio ubicato all’esterno del megastore.

Un altro aspetto di interesse è il costo di certi articoli, che per uno che non è del settore si tratta di un vero e proprio enigma. Piante e bestie da centinaia di euro. Pochi giorni fa per esempio ho fatto caso a un turaco cresta rossa, un uccello mai sentito nominare prima malgrado mia figlia conosca ogni tipo di animale sconosciuto come la genetta tigrina e il fennec, in offerta a 1.200 euro, tanto che non ho potuto non sottolineare a mia moglie l’assonanza con la ferrari testa rossa.
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Ditemi voi chi cazzo si comprerebbe un turaco cresta rossa a quella cifra, ma un qualsiasi animale che se ti si apre la voliera e fugge per tornarsene da dove è venuto con quel costo ti manda in fumo il capitale investito. Per non parlare di geki a più di ottanta euro, camaleonti che poi che senso ha tenersene uno in casa che si mimetizza e non lo vedi e magari lo schiacci per errore, considerando quello che lo paghi, e roditori che se non li vedessi lì in bella mostra non ci penseresti due volte ad avvertire gli addetti alla derattizzazione. Ho notato poi il frutto di un’operazione di marketing infelice: un calendario dell’avvento per gatti, ogni sportellino associato a una lattina di gusti differenti, talmente lontano dal buon senso da rimanere ampiamente invenduto sino a a fine marzo. Che poi uno non osa pensare a come sarà l’analoga iniziativa per la Pasqua imminente.
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In Italia non si può mica essere così blasfemi, nemmeno quando si tratta di mici che in quanto a sacralità, almeno da come si evince da Facebook, non si scherza.

Alla fine, qui nella regione in cui tutto è oversize quasi come gli Stati Uniti, muoversi con un carrello tra latte di pelati, maggiociondoli dalle radici costrette in giare finto-antiche o cuccioli di non-so-che-razza-canina che giocano e cagano nello stesso cestone protetto dalle mani dei bimbi avide di contatto con la straordinarietà non c’è tutta sta differenza. Così se avete in programma di trasferirvi da queste parti sappiate che, se qualcuno vi invita ad accompagnarlo a comprare la sabbia per la lettiera che fa la palla o due rametti di rosmarino, è sempre meglio chiedergli prima dove.

bestialità di agosto

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Ancora a proposito di aggiornamenti, il gattino che avevo eroicamente strappato a un destino crudele lungo un’autostrada toscana ora è un gigantesco felino che vive a casa di mia cognata, io non avrei potuto tenerlo visto che ne ho già due. Probabilmente porta i segni dell’esperienza di aver viaggiato incastrato in una feritoia di un’automobile, nel senso che non ha proprio un carattere addomesticabile. Comunque a suo modo è affettuoso. Ha persino subito una confusione di genere, nel senso che si pensava fosse una gattina e per qualche mese è stato chiamato con un nome femminile, fino a quando l’appartenenza è risultata inequivocabile così gli è stato affibbiato un nome maschile ma sempre terminante con la lettera a, forse per mitigare un passaggio transgender che lo avrebbe frustrato ulteriormente.

Invece non so più nulla del caro vecchio cane che aveva infilato l’ascensore per errore trovandosi poi in un appartamento simile a casa sua ma sistemato diversamente. Ho cambiato ufficio da un anno circa e non ci siamo più incontrati. Spero che lui (o lei) e relativo padrone che, come si dice, si assomigliano in tutto e per tutto continuino il loro menage quotidiano fatto di attese, per uscire e tornare a casa, perché in fondo la vita è così e ce ne accorgiamo se sbagliamo piano.

Avere cani d’altronde è una grossa responsabilità, e se vi ricordate bene il mio rapporto con il più fedele amico dell’uomo è piuttosto variabile soprattutto quando vado di corsa e devo per forza attraversare luoghi frequentati da chi li porta a spasso. A volte invece ho proprio paura perché fanno paura i loro proprietari, e quando te ne ritrovi uno che si è perduto – nolente o volente – è sicuramente da maneggiare con cura. C’è poi il dolore di quando cani e animali in genere si separano da noi, e lì ci accorgiamo del valore dell’esperienza di averli adottati. Se siamo quel che siamo, in fondo, è anche grazie a loro.

Quanto ai miei, di animali, anzi, di felini, ogni tanto spargo notizie e foto qui e là. Tutto sommato fa piacere averli per casa, un po’ meno notare che non perdono le cattive abitudini di svegliarmi a ore assurde, fino a quando combinano disastri o svomitazzano il cibo sul pavimento e allora devo rileggermi storie come queste per ricordarmi il motivo per cui ho deciso di condividere i miei spazi con loro.

se fosse stato un compagno basco avrei pianto di meno

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Condividere spazi pubblici con il dolore privato mette a dura prova la propria sensibilità, anche per noi maschi che tutti dicono che non siamo certo i campioni della razza umana nel manifestare stati d’animo. Io poi che vengo giù tagliato grosso come il salame nostrano, quello a pasta spessa, mi sorprendo nello scoprire da qualche parte qui dentro matasse di sentimenti che, una volta che qualcuno o qualcosa mi permette di scoprirne il bandolo, poi si succedono veloci a catena e il filo, anzi lo spago, quello che si usa per legare i pacchi per poi spedirli, si dipana che è un piacere fino alla fine che non si sa mai dov’è. Qualche giorno fa, sedute accanto a me in treno, due donne condividevano l’esperienza di una collega comune che quel giorno si sarebbe assentata dal lavoro. Aveva appena inviato un sms giustificando la sua assenza, un messaggio di cui prontamente l’una ha messo al corrente l’altra. La collega nel messaggio raccontava la notte di veglia appena trascorsa a fianco del proprio cane, le ultime ore di una malattia o precedenti comunque a una morte di vecchiaia. Non ho colto la causa del decesso, c’era di certo una storia pregressa di cui sono rimasto all’oscuro. Qualcuno così ha assistito il proprio cane fino alla fine standogli accanto tutta la notte, questo era il succo della vicenda. Nel messaggio alla collega, la proprietaria diceva trattarsi di un gesto dovuto, l’amore per un membro della famiglia che ha sempre dato molto senza mai chiedere nulla. Ha usato proprio queste parole. Ho pensato così a quello che provo per i miei due gatti, un sentimento altalenante che tocca punti vicini allo zero quando pulisco la lettiera. Certo i gatti sono ben altra cosa, credo, ma non lo so perché non ho mai posseduto cani e non credo mi succederà mai. Comunque a fatica ho chiamato a raccolta il mio autocontrollo, sapete meglio di me che la mattina quando ci si sveglia con il piede sbagliato si passano le prime due o tre ore con quel groppo nella gola che basta un niente che torna su. Ho chiesto permesso alle due donne e mi sono alzato, allontanandomi e facendo finta di dover scendere, anche se mancavano ancora diverse fermate alla mia. Ma credo che abbiano comunque capito dalla faccia che ho fatto che era meglio così.