ti ho riconosciuto, sei quello con tutta quella roba sopra alla testa

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Quando siamo assorti o sovrappensiero abbiamo tutti la stessa faccia, poi dentro le cose cambiano, è facile anche scambiare la trance da preoccupazione in cui si cade con un banale pseudo-svenimento da sonno o il classico non sto pensando a niente di cui i maschi sono spesso accusati dalle partner nei momenti in cui, invece, ci si dovrebbe figurare il futuro di vita insieme. Ma sappiamo tutti che è impossibile non pensare a nulla, e negli spazi pubblici, un treno, per esempio, se si potessero amplificare le elucubrazioni con qualche sistema che sono certo prima o poi sarà inventato, ci sarebbe un chiasso che sancirebbe l’estinzione di chi vuole semplicemente leggersi qualche pagina di un buon libro. Ma magari quando ci sarà quel domani i libri li avranno bruciati tutti, secondo come andranno le cose. Ci sarebbe comunque di tutto. Qualcuno che ripercorre l’esito della serata precedente o che pianifica la successiva, ovvero pensieri che sanno di freschezza e gioventù, di amori in formazione o di rapporti logorati ma facilmente intercambiabili, e come biasimarli. La scansione mentale dell’agenda della settimana, se è una mattina come questa di lunedì, gli impegni che scendono come blocchi colorati di videogiochi in cui gli incastri ti fanno guadagnare punti e di conseguenza le speranze di accelerare l’arrivo del fine settimana il più vicino disponibile. “Che cosa gli preparo stasera?”, ci sembra di sentir domandare a interlocutori invisibili da riflessioni mica tanto scomposte. Ma ecco che su tutti si vede una specie di astronave come quelle che ingombrano gli schermi cinematografici, con quell’effetto che sembra che ti passi sopra e il rumore che poi non ha senso, è un errore, nel vuoto dello spazio astrale i suoni non si trasmettono. Lì dentro, in una specie successione di gradi di separazione tra l’individuo e la catastrofe, ci sono un padre molto anziano con un principio di Alzheimer, una causa legale che si trascina da anni, le paure per il futuro di una figlia, la precarietà di un sistema globale che si avvia al collasso, i Maya e le cavallette e puf. Un soffio di vento spazza via quella coltre di proiezioni, uno dei tanti assorti si riprende, qualcuno gli ha chiesto un’informazione, ed è meglio così. Siamo già in tanti e alla fine, a pensare troppo, manca l’aria.

clausola di rimborso

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Anche se è meglio non prestarmi nulla perché non è che non pongo adeguata attenzione alle cose degli altri, è che sono sfortunato, mi impegno ma poi c’è quel momento in cui mi giro e zac, il danno è fatto. Non mi credi? Metti il vaporetto, per esempio. Non so come si chiami esattamente, perché la vaporella è il ferro da stiro. Il vaporetto per me è quello strumento che serve a pulire e a profondere igiene grazie alla potenza del vapore a millemila gradi, sembra un cucciolo di elefante con quella proboscide che si può infilare dappertutto. Me lo hanno prestato ma era un modello farlocco, forse è per quello che me lo hanno prestato, fatto sta che l’ho provato e poi l’ho rimesso nel suo contenitore di tela e poi è sparito. Volevo restituirlo perché non funzionava granché, e sono sicuro di averlo portato in macchina, ma forse nell’atto di caricarlo l’ho lasciato inavvertitamente sul marciapiede ed è sparito, non so che fine possa aver fatto.

La scorsa estate invece mi hanno prestato il fornelletto da campeggio, un modello nuovissimo e tutto cromato che mi spiaceva persino sporcarlo cucinando. Giuro che si sono stato attentissimissimissimo, poi un giorno ho buttato la pasta e non me ne sono accorto ma una penna rigata è caduta fuori dalla pentola e si è infilata sotto, vicino al fuoco, e mica me ne sono accorto. Poi sentivo puzza di bruciato, e infatti la penna rigata si era incendiata, così diamine che sfiga, ho pensato, l’ho tirata via da sotto la pentola con fatica, perché la pentola era anche piuttosto grande rispetto al fuoco su cui era posta, dovevamo mangiare la pasta al pesto in sei persone. Ho tolto la penna rigata con una forchetta e ho constatato il danno: la cromatura del fornello si era bruciata, c’era una macchia bella grossa e nera. Rientrato dalle vacanze ho provato a smacchiare per limitare il danno, mi sono fatto pure consigliare da un ferramenta, ma niente, non c’è stato verso.

La proprietaria del vaporetto non è stata ancora informata, ma probabilmente non è nemmeno più interessata a riaverlo perché secondo me è consapevole del fatto che il suo attrezzo domestico non funziona più. La persona che mi ha prestato il fornello invece non ha fatto una piega, io volevo ricomprarglielo ma ha detto che non se ne parlava nemmeno, anzi credo che lui sia riuscito a occultare il danno non so in che modo. Quindi anche se è meglio che non mi presti nulla perché è facile che te lo restituisca rotto o menomato o addirittura che non te lo restituisca nemmeno più, fammi allora un dono, regalami solo un po’ della tua grande maestria nel sedare l’ansia, chiuderla come fai tu non so dove tanto che non ne porti con te nemmeno un velo, niente di niente. Perché so che se un giorno rivorrai indietro la tua flemma, scommetto quanto vuoi che te la ridarò bucata.

il giusto peso

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Mentre siamo lì chini sulle prime azioni quotidiane che ripetiamo indomiti ogni mattina e smaltiamo gli ultimi strati di sonno dopoché la sveglia ci ha strappato di dosso quelli più superficiali. Attraverso lo sforzo di aprire la caffettiera, le dita sono più gonfie delle stesse che l’hanno chiusa la sera prima, o con la scatoletta di cibo per gatti che funziona come i sali per far riprendere le persone svenute, facciamo una specie di log-in alla nostra esistenza che, di rimando, ci riporta in primo piano le applicazioni che avevamo lasciato in background prima di addormentarci. Così salutiamo le nostre care preoccupazioni tutte lì in evidenza come la modalità preview di un qualsiasi esplora risorse. Io le chiamo proprio così, preoccupazioni, appunto, a causa di una forma mentis in dotazione nel mio DNA, e invidio chi riesce a definirle attività della giornata, o cose da fare. Ora la sfida, come sappiamo, è trovare sempre chi è messo peggio per consolarci e poi pensare che cosa sarà mai un dissidio famigliare rispetto a un parente ammalato, o un po’ di ipertensione paragonata a gravi disturbi, il lavoro che va così così rispetto a chi il lavoro proprio non ce l’ha. Ogni tanto poi ti alzi da letto, fai tutte quelle cose che ho scritto su fino a quando ti fermi perché incredibilmente non c’è nulla per cui stare in ansia. Provi a pensare a tutti i settori della tua vita e, nella cartella preoccupazioni, non c’è nulla salvato. In quei momenti ci si accorge che l’ansia è una sorta di droga del duemila, la sostanza che ci fa rimanere all’erta e pronti all’azione. Altrimenti il rischio è sedersi, aprire un libro, immergersi in una qualunque storia altrui e provare con un surrogato di angosce di fantasia. O, alla peggio, scriverne in qualche modo, da qualche parte.