come una calamita

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Allora è andata diritta da lui e glielo ha detto in faccia. Senti mi dà fastidio, gli ha detto proprio così, mi dà molto fastidio che tu mi guardi in quel modo quando mi incontri per strada, quindi sei pregato di smetterla. Addirittura gli aveva mandato a dire tramite conoscenze di conoscenze comuni che si sentiva persino spiata in casa solo per il fatto che lui le abitava di fronte. E so per certo che questo non era possibile perché i condomini erano sì uno davanti all’altro e gli stessi piani coincidevano, ma dalle finestre dell’appartamento di lui si vedeva solo di sbieco l’appartamento di lei e solo una stanza, che in casa di lui era della nonna e di lei non so perché non sono mai entrato in casa sua e anzi lei non l’ho proprio mai conosciuta, si trovava proprio dirimpetto, quindi nemmeno impegnandosi con un sistema di specchi sarebbe stato possibile spiare oltre tapparelle e tende. Questo era escluso.

Invece che lui la guardava in quel modo era vero. Che poi in che modo volete che la guardasse. Ci sono quelli che hanno il vizio di scrutare negli occhi le persone che si incrociano a spasso, anche a me capita di tanto in tanto senza velleità alcuna, non so voi. Probabilmente lei era bella e desiderata, lui la vedeva bella e la desiderava, così non si era nemmeno posto il problema che catturare il ricordo di lei per poi farne quello che voleva a casa sua potesse essere considerato un furto di qualcosa di personale. Voglio dire, se ti senti a disagio con il prossimo perché fa uso dei propri sensi nel modo che ritiene opportuno – modi leciti, naturalmente – è meglio che ti rintani nella tua stanza, e il fatto che anche lì ti senti vittima di un occhio curioso che ti spia (cit.) forse è indice che c’è qualcosa che non va.

Così alla prima occasione che si è manifestata, tutti sulla fortezza per la Festa dell’Unità divisi in gruppi e compagnie, lei si era staccata dalle sue amiche e aveva pensato di farla finita con quello che riteneva un molestatore. Ed è stato utile, anche se dirgli una cosa di quel genere di fronte a tutti non gli ha fatto certo guadagnare in stima e popolarità pubblica, che già lui era uno di quelli che preferiva stare per i fatti suoi e non certo a spiare ragazze alla finestra. Semplicemente non riusciva a staccare gli occhi da quel modo che aveva di farsi la coda con i capelli lunghissimi legati indietro così forte che sembravano tirarle la pelle della faccia aumentandone la superficie e – questo lo ricordo anche io – bilanciando l’armonia dei lineamenti. Poi d’estate, con l’abbronzatura e le efelidi, non era davvero male. Quando lui mi ha raccontato quello che era successo gli ho detto di non darle retta, non aveva nessun diritto e poi poteva anche essere che era lei un po’ mitomane. No, mi aveva risposto lui, è vero, è che la guardo negli occhi e non riesco a non farlo, aveva aggiunto. Da quel momento per evitare equivoci aveva persino cercato di non farsi vedere più alla finestra, e la vista dal suo appartamento così in alto non era male, o almeno per un po’ di tempo per lasciare correre le acque.

Anni dopo, ma nemmeno tanti, forse giusto il tempo per arrivare alla maggiore età, un sabato mattina aveva sentito qualche colpo di clacson sotto e così si era affacciato. Lei era uscita di casa tutta vestita di bianco e con una acconciatura molto simile a come se la ricordava lui, c’era una cabriolet d’epoca che la aspettava per condurla all’altare, suo padre e sua madre e qualche decina di parenti e amici, le mani di tutti traboccanti di fiori e di felicità. E prima di accomodarsi dietro l’autista, mentre il nonno le teneva la portiera aperta, lei aveva alzato lo sguardo su per vedere se c’era qualcuno che la osservava e forse lo aveva anche visto.