quando Londra chiama ma trova occupato

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A Londra ci siamo stati tutti. I più fighi sono partiti nei primi anni ottanta e poi non sono nemmeno più rientrati. C’era persino Andrea che fabbricava e vendeva a ventimila lire biglietti ferroviari contraffatti, comunque i voli low cost non erano ancora stati inventati e se non ti beccavano (nessuno, a quanto mi risulta) l’accesso alla nuova vita all’estero era a buon prezzo. Quelli che tornavano a casa poi vivevano di rendita, perché due anni in UK equivalgono a vent’anni nella provincia italiana, una stima ottimista se non conti il fatto che dopo qualche mese con la vita di prima al paesello si passava metodicamente alle droghe pesanti e allora ciao. Arrivavano cartoline e foto ad accompagnare le lettere nelle buste, i capelli verdi e le spillette sulle giacche di pelle ma non erano quei dettagli a preoccupare di più i genitori.

Emi e Marco ci hanno passato invece una vacanza per un’estate intera e quando sono andato a prenderli all’aeroporto a settembre puzzavano a un livello mai sentito qui, complice il tipo di odori londinesi che qui da noi, non usando le spezie e la cipolla come loro, sono difficili da riprodurre. I racconti però erano la parte più bella di quelle amicizie interrotte dall’esterofilia. Le popstar viste per strada, gli squat e i mercatini, i lavori cambiati a una velocità inaudita, le feste e la birra, le testate e i nasi rotti durante le risse con i nazionalisti ubriachi. Francesca è quasi svenuta al cospetto del cantante degli Human League, proprio quando stava per iniziare il suo turno come cassiera al peep show all’angolo e non aveva nemmeno 17 anni. Che roba rispetto ai ragazzini di oggi, vero? E poi Chiara, che a dispetto del nome vestiva solo di nero, è sbucata in città all’improvviso quando ormai tutti la davano per dispersa anche se c’era con il corpo ma la testa ormai era compromessa per sempre. Una volta i cervelli erano in fuga ma per tutti gli intrugli con cui ci si divertiva, altro che eccellenze italiane.

Molti invece sono davvero restati su, anima e corpo. I più cattivi sono diventati buoni e a cinquant’anni li vedi oggi su LinkedIn che, tutto sommato, ce l’hanno fatta a diventare cittadini inglesi modello, hanno conquistato un loro status nella norma. Quelli che sono partiti già bravi sono diventati invece dei mostri di professionismo. Avvocati, chirurghi, broker a fare i soldi nella City con la borsa, a portare il design italiano tra tanta grettezza, a contribuire alla gentrificazione di quartieri che oggi sono il massimo della Londra che conta. O che contava, qui in Europa, prima che i londinesi decidessero che di noi non sanno che farsene.

uscitalia

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La mia esterofilia raggiunge vette elevatissime con l’Inghilterra. Fosse per me in tutto il mondo si parlerebbe inglese così eviteremmo pastrocchi di italianglismi o gente che briffa uploada downloada targetizza forwarda partecipa alle call o ai meeting backuppa endorsa committa schedula splitta switcha segue la mission o sposa la vision. Anzi se la devo dire tutta matcherei la lingua e la cultura inglese con il gusto (e il vino) francese in un’organizzazione socialdemocratica tedesca anche se ho i dubbi che questa triplice alleanza oggi possa funzionare. Un nuovo ordine mondiale guidato da David Bowie anche se è morto in cui noi italiani potremmo servire il caffè e cantare stornelli all’ora di pranzo. Questo è il motivo per cui se vincessero quelli che vogliono uscire dall’Europa mi dispiacerebbe molto. Che ne sarà del mito di Londra come fine ultimo di noi giovani di una volta, della loro guida a sinistra, dei sussidi di disoccupazione e delle unità di misura che ci capiscono solo loro? Per questo chiedo alle migliaia di amici inglesi che leggono questo blog di rimanere e di farlo soprattutto per me. Non solo. A dimostrazione del mio attaccamento alla vostra terra, cari europei d’oltremanica, metto qui questo tributo dei Portishead a Jo Cox, la parlamentare laburista britannica uccisa il 16 giugno da un estremista nazionalista. Una cover bristoliana tripoppetara di SOS degli ABBA, un messaggio disperato per un’idea di unità che va disintegrandosi e contro una trovata che ha tutti i presupposti per dare il colpo di grazia all’occidente come lo conosciamo noi e di farci cadere nel baratro. Restate. Non abbandonateci, vi prego.