la dura legge del pop

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Aiutatemi a sciogliere un dubbio: ma nella vita bisogna fare come i Police o come gli U2? Mi spiego meglio. All’apice della loro maturità artistica i Police hanno cambiato tutto, nel senso che, come sapete, non è che si sono sciolti, è che Sting è fuoriuscito per soddisfare le sue esigenze solistiche e poppettare quindi i Police hanno chiuso. Non sono esperto di calcio, ma è un po’ come una squadra con un ottimo allenatore e giocatori formidabili che, anno dopo anno, mette a segno successi a ripetizione. Scudetti, coppe, trofei vari. Quindi l’allenatore se ne va, o la società vende l’attaccante che con le sue realizzazioni ha portato in vetta la squadra, come se vincere troppo alla fine annoiasse i vincitori. Poi è successo che a Sting non è che sia andata male, anzi, ma il suo bisogno di autonomia e di pop è stato vissuto dai fans come un tradimento. Voglio dire, che bisogno c’è di cambiare quando le cose vanno bene? Ma vediamo come può essere da un punto di vista opposto. Gli U2 sono insieme da più di trent’anni, mi entusiasmavano agli esordi, considero Unforgettable Fire un capolavoro, ma dopo quello hanno iniziato ad annoiarmi. Ora, io non faccio testo, perché è proprio dal disco successivo che è cominiciato il loro successo mondiale. Gli U2 sono rimasti sempre uniti proprio per reiterare a ogni nuova uscita quel consenso di pubblico. La loro forza è in parte dovuta anche dalla loro unione, credo, il pubblico premia con una fedeltà senza precedenti l’idea di coesione che lasciano percepire dall’esterno. Ma è indubbio che siamo in molti a pensare “oh no, ancora loro” ogni volta che, a così tanti anni di distanza, esce un disco nuovo. Sempre uguali, Bono sempre la punta, The Edge sempre il gregario, gli altri due la stessa perfetta retroguardia ritmica. Chissà se le cose belle e intense è bene farle durare poco, e chissà cosa spinge chi raggiunge un massimo a provare a fare qualcosa di più, a rompere volontariamente equilibri perfetti, sapendo che le cose da quel momento in poi non solo non saranno più come prima, ma molto probabilmente peggioreranno.

it’s not time to make a change

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“Sento di dover dare una svolta alla mia vita”, le stava dicendo mentre asciugava la lattuga e lei sistemava le posate in tavola. “Se non lo faccio ora non ci sarà più il tempo necessario, sarò troppo vecchio e fuori mercato”. “Beh anche io”, lo incalza, “cosa credi, che passare il tempo in riunione sia un divertimento?” “Sì ma tu lavori nel pubblico, comunque anche se fai attività di back end poi il beneficio lo avvertono i cittadini, è comunque un servizio utile alla fine”. Sul volto di lei affiora quella espressione che si forma quando si scontrano cinismo e senso della realtà. “Senti, ormai non si tratta più di cittadini, meglio chiamarli la gente”. Come biasimarla. Così cerca di riportare la conversazione a suo favore, anche se sarà difficile avere una parola di conforto come la intende lui. “Leggendo qui e là non sono rare le volte in cui mi chiedo se a nessuno di noi che passiamo il tempo a fare conversazioni in Internet e a trovare il modo di venderle alle aziende, magari comprensive delle piattaforme che le permettono, venga mai la voglia di fare un lavoro serio e manuale. Dove per manuale non intendo fare il programmatore”. Non ha usato proprio questi termini, i discorsi diretti trascritti necessitano comunque un po’ di editing. Ciò non toglie che ha colto nel segno. “Già”, gli dice, “si vive di progetti in attesa che sublimino in transazione finanziaria a nostro vantaggio, si trova la sintesi di sforzi comuni per creare bisogni e poi comunicarne l’essenzialità”. Quanto ha ragione. “Lo so”, aggiunge lui, “parlare di cari vecchi mestieri di una volta è un approccio demagogico e anche di basso profilo, e poi, come sai, io con le mani non è che me la cavi poi così bene, quindi sia lodata la scienza dell’informazione e la capacità di crearvi contenuti sopra. Il problema è superare il fatto di essere frustrato se ti scappa un refuso di testo in un video di un cliente”. Lei annuisce e gli va finalmente incontro. “Ti capisco, non siamo cardiochirurghi che vivono il rischio di commettere un errore in sala operatoria, ma lavoriamo di queste cose così marginali, per non dire una volgarità visto che nostra figlia ci sta ascoltando”. Nel frattempo qualcuno ha acceso la tele e inizia Piazza Pulita, il sommario che è una sfilza di eventi in cui un possibile disastro ambientale su 70 chilometri di costa sembra quello meno preoccupante, e a lui viene da canticchiare un famoso brano di Cat Stevens. Meglio aspettare qualche anno. Meglio.