memorie di un vecchio trombone

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Se pensate che suonare uno strumento non influisca in qualche modo sul fisico date un’occhiata alle guance gonfie di Dizzy Gillespie o provate a osservare di profilo uno che studia pianoforte. I batteristi poi devono stare molto attenti perché addirittura loro con il corpo ci lavorano e se ti svegli con il mal di schiena il giorno di un concerto davanti a centomila persone a San Siro non è bello, per non parlare dei violinisti e la cervicale o, in genere, il mal di testa che non ha preferenze di timbro quindi, se siete in tour e suonate tutte le sere, evitate di stonarvi ogni fine serata perché poi il giorno dopo sono guai. Occorre quindi indirizzare i propri figli con molta attenzione verso la musica e scegliere lo strumento – o assecondare la loro passione – con estrema oculatezza. Il destino cambia a seconda di quello che ti ritrovi tra le mani o in base alla tua attitudine, come per tutto il resto delle cose. Scegli lo scientifico e finisci in missione su Marte, scegli scienze umane e ti deprimi a scrivere testi per delle pubblicità che non si fila nessuno. Allo stesso modo impari a suonare il pianoforte per poi convivere con una spina dorsale ritorta, mentre con la chitarra ti si riempie il camerino di groupie. La voce, invece, è l’unico aspetto democratico di tutta questa storia. È un dono, ma può capitare a chiunque. Per esempio, secondo voi perché certa gente si sfoga sui blog anziché scalare le hit parade? Ecco, se fossi nato intonato (into-nato, bella questa) e con un bel timbro da fighi, magari baritonale come piace a me, probabilmente con le mie idee in fatto di composizione musicale, e magari anche con i miei testi anche se, onestamente, da questo punto di vista non sono mai stato un granché, le cose sarebbero andate diversamente. Mi capita di vedere qualche scorcio di X-Factor e quando succede vorrei essere lì a consigliare a chi si presenta di fare così o fare cosà, perché hai scelto un arrangiamento così inadeguato o perché hai deciso di portare un pezzo così veramente fuori luogo. Io invece se fossi stato intonato e con un bel timbro da fighi, e ai tempi i talent per fortuna mica c’erano, avrei intrapreso una carriera da one man band, con tutta la mia attrezzatura elettronica e un microfono e basta, senza il bisogno di circondarmi di gente che dopo un po’ si stufa e cambia gruppo. Magari in qualche dimensione parallela sono un cantautore affermatissimo, ora cinquantenne quindi in fase riflessiva sull’andropausa che avanza, ma con una carriera di tutto rispetto. Vado subito a controllare.

canzoni stonate

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A quel bellimbusto del cantante gli direi che non accetto paternali, arringhe – al massimo aringhe che da quando le ho mangiate a colazione in Olanda è cambiato il mio approccio al risveglio – accuse e sollecitazioni alla rivolta, da nessuno e tanto meno da uno che non ha mai lavorato in vita sua. Ma chi si credono di essere questi lazzaroni che al massimo devono portarsi appresso un microfono e il libello con le loro poesiole scritte a penna mentre il resto della band si spezza la schiena con strumenti pesantissimi e amplificatori? Poi si mettono lì in posa a pontificare su questo e su quello e sotto i più fanatici che sbavano a raccogliere le emanazioni corporee. Che schifo. E che ingiustizia, soprattutto. Anche solo a sentirli predicare in italiano nelle loro composizioni ascoltate alla radio, sullo stereo o in cuffia, con quelle consonanti pronunciate fintamente come se fossero inglesi madrelingua che in confronto la dizione di Don Lurio o di Shel Shapiro è al livello di Vittorio Gassman. Per non parlare delle storie che cercano di comporre nei testi. Io proprio non le riesco a seguire. C’è davvero un capo e una coda? Un flusso narrativo? O sono parole messe solo per bellezza? In Italia le parole delle canzoni si chiamano anche liriche, una sorta di “falso amico” tradotto a cazzo dall’inglese, che nella nostra lingua capita a fagiolo perché gli autori delle canzoni possono far intendere che hanno scritto una cosa che sta a metà tra una poesia e un componimento di prosa, ognuno può intenderlo come vuole e loro possono al contempo esimersi da qualunque responsabilità. Ah ma mica sono un poeta, io. Ah ma mica sono un narratore. Sono solo canzonette, si diceva una volta. Quindi non chiedetemi un’esegesi delle corbellerie che mettete nelle vostre canzoni italiane perché proprio non ci arrivo, se poi non siete espliciti come Guccini o gente di quel calibro lì potete anche trovare qualcun altro. Io poi mi perdo a separare linee di basso, suoni di synth, zappate sulla chitarra e scomposizioni ritmiche per cui le parole proprio ciao. Non è il mio mestiere. Ecco perché ascolto musica cantata in inglese: la voce è solo un suono in più, non capisco una mazza, mi godo la beata ignoranza delle vibrazioni che percepisco, e al massimo ai concerti accompagno i miei brani preferiti con dei versi sperando di non avere intorno qualcuno che prende le cose sul serio.