dammi tre parole

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È dai tempi di Dante, ma sono pronto a scommettere che fonti e testimonianze certe alla mano si tratta di un comportamento che si potrebbe dimostrare anche per i suoi predecessori e per tutto il genere umano sin dalla notte dei tempi e perdonatemi se la prendo così alla lontana, dicevo che è dai tempi di Dante che cantori, poeti, madrigalisti antichi e moderni, cantautori, gruppi rock e di tutti gli altri generi artistici, rimatori e rapper. Insomma, che chiunque scriva, declami, canti, pubblichi le proprie parole organizzate in versi e su sottofondo musicale appropriato o meno abbia come principale obiettivo della sua arte quello di portarsi a letto la persona descritta nelle proprie composizioni. Sono partito da Dante perché giusto ieri pensavo alla sua opera in cui l’idealizzazione della donna amata è portata all’estremo. Cose dell’altro mondo, è proprio il caso di dirlo.

O comunque gente che si strugge perché non ci riesce, perché c’è riuscita una volta e poi lei/lui ha cambiato idea, che è così depressa da tutta una serie di cose per cui prima, dopo o durante si impicca o si spara in bocca. Gente che nei testi corteggia velatamente o a rischio stalking, altri che stanno male perché non riescono a dirlo se non dopo aver provato anni in sale prove umide e puzzolenti per poi spendere i quattrini di mamma e papà per autoprodursi una registrazione decente che l’oggetto, anzi, il soggetto dei desideri non ascolterà mai, e questa è una storia vecchia quanto l’uomo in preda a esuberanza di personalità che cerca il successo urlando i suoi fallimenti sentimentali con l’accompagnamento di un’orchestrina qualunque.

Gente che elabora persino teoremi, che si pente in diretta di un tradimento e si accorge della bramosia per il partner ufficiale. Perché poi noi ci limitiamo alle cose che capiamo al volo, ai testi delle canzonette che persino gli autori contemporanei dei Placiti Cassinesi e dell’Indovinello Veronese probabilmente erano costretti a sentire da qualche menestrello sotto le finestre della bonazza dirimpettaia. Con tutte quelle rime in cuore e amore che ci facciamo pure le canzoni su e che – e se ci pensate è surreale – fanno successo pure quelle perché non sono parodie. Così ci rifugiamo nella musica anglosassone, almeno si capisce poco. Ma poi, sotto sotto, traducendo una parolina qui, un avverbio, un genitivo sassone, il gatto è sul tavolo, alla fine c’è sempre qualcuno che rincorre qualcun’altra, Tizio che è stato piantato da Caio, che non si può continuare così, che non volevo ferirti, sono solo un ragazzo geloso. Se ne deduce che poi tutto ruota lì, insomma avete capito dove, fatta qualche eccezione. L’avvelenata, Bartali, ma di canzoni straniere che non raccontino di baci non dati, così sui due piedi non me ne viene in mente neanche mezza.