è solo il quarto giorno e ho già cambiato idea

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Davvero ragazzi non so come ringraziarvi per le numerose attestazioni di stima che ho ricevuto da quando ho aggiunto il mio nome nella lista di quelli che, a partire dal primo gennaio 2015, insieme al nuovo abbonamento annuale per le Ferrovie Nord e il canone RAI hanno messo tra i buoni propositi quello di diventare cattivo. Mi ero stufato di fare la figura sempre di quello che ha pazienza, che perdona, che sottoscrive, che lascia spazio, che elogia ed ascolta. Quello che tiene la porta aperta e poi la richiude passati tutti, che dà la precedenza e si ferma solo dove il codice della strada lo prescrive. Quello che dice buongiorno e buonasera e ride alle battute perché poi chi li racconta se no ci rimane male. Persino mio cognato mi ha annoverato tra i buoni, l’ultimo baluardo di scetticismo è caduto allineandosi all’opinione comune del resto della famiglia. Così avevo trovato un corso online con i video di Youtube di un motivatore che ti spiegava per filo e per segno le gioie della cattiveria ma poi è finita che al terzo giorno, il tre di gennaio, cioè ieri per chi legge oggi, il buon proposito di diventare cattivo già non mi convinceva più e non reggeva nemmeno il confronto con un cattivo presagio di rimanere buono. Volete sapere se ho rinunciato ancora una volta alla cattiveria non solo di persona ma anche sull’Internet? Non so, questo potrete scoprirlo se avete espresso il buon proposito di seguirmi anche per il nuovo anno. Ho scritto solo due righe un po’ cattive, nel mio solito stile, in cui ho ribadito che tra Renzi e Grillo è comunque meglio Renzi e che tra uno statale fannullone e un evasore fiscale comunque io mi tengo il primo. E se abitate a Roma e avete problemi con i vigili, fate come hanno fatto a Genova qualche anno fa.

poi uno si chiede perché ci si affeziona a un computer

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Questa cosa l’avrei dovuta scrivere ieri l’altro perché parlare di rabbia quando la rabbia ti scende non vale. C’è il primato della ragione sul sentimento e così finisci per banalizzare tutto con qualche passata di quell’intonaco che è la maturità, l’essere adulto e grande, il dare il giusto peso a quello che ti succede. Prendere a pugni qualcosa senza cattiveria fa male solo alle nocche. Le tue, naturalmente. E infatti ora che ci ripenso potrei tranquillamente chiudere il post qui, metterlo tra le bozze e aspettare di incavolarmi di nuovo per una ragione così e riciclare questo incipit che può andar bene per altre occasioni e sfoghi più sentiti. Ma no, andiamo fino in fondo e vediamo che cosa ne esce, anche se il passo più difficile è descrivere quella roba che ti senti dentro quando subisci un torto, un affronto personale. Quando qualcuno ti raggira e non te ne rendi conto subito, cioè avverti che ci sono tutti i presupposti di una fregatura ma ti senti ipnotizzato come quegli anziani che leggi sui giornali da parrucchieri o nella cronaca locale sui quotidiani di provincia abbandonati nei bar sul bancone dei gelati. I pensionati che cadono nelle grinfie di illusionisti del crimine, poteri occulti e malvagi che convincono i più deboli a fare cose come intestargli i loro beni o firmare assegni in bianco. Ti senti un misto di trance e orgoglio di non voler ammettere che il genere umano fondamentalmente è una merda perché anche tu ne fai parte e non vuoi darla vinta. Che non è come prendere un schiaffo che ti brucia subito, ma è come bere un calice di veleno e passare il tempo ad assistere al male che in diretta prende possesso di te.

A me per esempio inizia a battere il cuore all’impazzata perché acquisto la consapevolezza che la rabbia che sale non avrà mai sfogo con il diretto interessato, e rivivere nella mente tutte le varianti di come sarebbero andate le cose se fossi stato meno ciula, mai termine fu più appropriato, fa aumentare ancora di più quella febbre di mancata giustizia. Si tratta di un’implosione contenuta che causa crolli di pareti dentro, un tremito che parte dalle fondamenta e ti fa rovinare addosso tutti i piani della tua personalità ma è come se si trattasse di un esperimento controllato, dentro una teca di vetro anti-tutto che non fa percepire all’esterno nulla se non un tonfo sordo come quando ti cade il Castiglioni-Mariotti sulla moquette.

Poi ripensi al conoscente che ti aveva chiesto diecimila lire tanto ci vediamo sempre in giro e poi non lo vedi mai più perché si è trasferito altrove e ha chiesto a tutti i conoscenti diecimila lire tanto ci vediamo in giro. O cose più grosse come quella volta in cui tua sorella e tuo cognato ti hanno chiesto di firmare un mutuo con la comune casa di campagna come garanzia tanto non succederà mai che smetteremo di pagarlo e poi invece succede che non lo pagano più e così capisci che essere fratelli non è che ci si vuole bene per forza. Sessantamila euro perduti come lacrime nella pioggia. Minchia. Oppure, ed è successo proprio ieri l’altro, un tizio di una società concorrente che con un abile stratagemma ti soffia un lavoretto – pagato da morti di fame, eh – e ti fa anche tutta la scenetta preparatoria al telefono. Una società che ha un nome che ricorda i servizi professionali, ma che di professionale ha solo il modo in cui raggira il prossimo. Così ti guardi intorno e ti chiedi tutta questa rabbia, allora, dove è finita. No, ferma tutto, ecco, vedi, lo sapevo, non sta in piedi. Questo post è meglio pubblicarlo un’altra volta.

cattivissimi loro

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Se come me siete fortemente skillati (è inutile che inorridiate, chissà quanti abomini linguistici riuscite a produrre anche voi sul vostro posto di lavoro) in cartoni animati, un’esperienza maturata se non altro perché i vostri piccoli despoti tengono in scacco l’unico apparecchio televisivo in casa e da quando, come me, siete genitori avete subito il bombardamento di film d’animazione e a furia di vederli a ripetizione conoscete le battute a memoria, vi ricorderete certo la scena introduttiva ma anche le successive del malvagio – solo all’inizio, ma questo è uno spoiler – protagonista di “Cattivissimo me” quando sfoga il suo istinto malvagio contro i più deboli, come il bambino con il palloncino. Ecco, nel giro di due giorni leggendo i casi del padre che ha coperto il ragazzino autore del furto dell’iPhone al bimbo vittima di un incidente stradale, e oggi del dirigente pubblico che taglia le gomme al disabile reo di aver parcheggiato la sua vettura al posto cui aveva diritto dove invece il manager usava lasciare la sua Jaguar, due episodi di una cattiveria talmente gratuita da rasentare l’osceno, il grottesco Gru mi è venuto in mente ben due volte. Perché sembrano episodi inventati per far ridere gli appassionati di humour nero se non fossero invece terribilmente veri e grondanti di un cinismo inaudito. Potremmo fare una gara e pensare ad azioni sempre più gravi nel loro paradosso di voler colpire la debolezza, la disabilità, l’inerzia totale se non, come è successo, la morte. Ma ci sono elementi pornografici che secondo me superano la realtà dei fatti. La Jaguar e l’iPhone, il lusso nella tragedia, la tecnologia raffinata come scenario dello squallore. Fateci spazio, sembra essere la morale di tutto questo dalla voce dei costosi prodotti. Annientatevi a vicenda e lasciateci il posto, solo noi sopravviveremo alla vostra estinzione.