in bocca al lupo

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Ok e adesso voi mi dite che cazzo avete da sorridere stamattina. A partire da te che ti sei messa in casa un compromesso ingombrante come un armadio in legno massello, che almeno potevi prima dare un’occhiata al catalogo Ikea e cercare una soluzione più moderna, a basso costo, su misura e soprattutto da assemblare in autonomia con le solite brugole che, non so voi, ma in casa mia ormai ne ho un cassetto pieno. Invece hai abbandonato i tuoi avi per una cittadinanza acquisita con tanto di anello nuziale e tessera sanitaria con chip integrato, che oggi ci puoi caricare sopra pure l’abbonamento ferroviario da mostrare al controllore che non riesce a togliere gli occhi di dosso dalla fantasia post-comunista del tuo abito da ufficio, dopo averti interrotto dalla piacevole conversazione in cirillico filtrata attraverso un dispositivo che costa quanto una mia mensilità o giù di lì. E tu, attempato impiegato che sonnecchi con gli auricolari sproporzionati rispetto alla canizie tipiche della tua età che mi ha fatto riflettere, mentre ti beavi lungo un ritmo e una melodia a me invisibile, su quale musica potrò mai ascoltare tra quindici o vent’anni, sempre che ronzii e acufene a corollario non prendano il sopravvento trasformando il mio apparato uditivo in un inutile e obsoleto impianto hifi di quelli che non butti via perché gli sei affezionato, ma finiscono in cantina a ospitare ragni e altri piccoli insetti amanti delle esperienze umide nei seminterrati. Io non ho dubbi se non che cosa utilizzerò come dispositivo. Ma mi sembrate tutti così soddisfatti da farmi rimpiangere quei giorni in cui ci sembra che ci guardino tutti e allora rimandiamo le nostre ansie allo specchio delle brame da passeggio, ubicato nei finestrini fumé delle auto da camorrista quanto nelle vetrine dei parrucchieri cinesi, che sono loro i primi a rivolgersi a parrucchieri cinesi considerando le zazzere da j-rock. Con una formula di cui a malapena ricordiamo il codice PIN, evochiamo un interlocutore soprannaturale che ci dica perché invece noi non ridiamo più, non ci alziamo con il piede giusto per collocarci nel modo più conforme possibile all’interno dello spazio che la società ci paga per occupare e dal quale pagheremmo per allontanarci di gran carriera, ventiquattr’ore alla mano e fiduciosi il meno possibile nel domani, proprio come diceva quel tizio che in un’antica quanto celebre ode sosteneva di vivere alla giornata.