viva verdi, abbasso strauss, ovvero la classica del campanilismo

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Se funzionassimo come gli animali che vanno in letargo, di sicuro per il prossimo mese potremmo tranquillamente smettere di mangiare e lasciare che tutte le provviste che abbiamo ingurgitato in questi giorni di baldoria si consumino da sé. Macché natività o re magi o anno nuovo. La vera festa è quella che abbiamo fatto al nostro stomaco buttando giù qualunque cosa ci sia capitata a tiro con la scusa che dal sette gennaio cambia tutto, si torna in ufficio, ci si rimette a dieta. Che magari poi uno ci sta attento, ma a furia di spiluccare antipasti che altrimenti non prepareremmo mai, il dolce a fine pasto che in periodi ordinari dell’anno riserviamo solo come eccezione, l’accompagnare ogni cosa con un vino appropriato – dall’aperitivo al pandoro con la cremina al mascarpone – anche il 2014 inizia con qualcosa in più di noi ma nei punti del nostro corpo in cui vorremmo farne a meno.

Considerando che l’Epifania è la solennità che tra tutte è quella a cui è meglio rinunciarvi in partenza, il fanalino di coda per di più troppo a ridosso della ripresa di tutto, il mio consiglio è quello di abituarsi prima all’ennesima fine di qualcosa di piacevole – quasi tutta la nostra vita è così, facciamocene una ragione – con una colonna sonora degna di uno scempio. Avete capito dove voglio arrivare, vero?

Prima del nostro risorgimento personale, quello che ci condurrà alla rinascita della nostra forma fisica più o meno verso Pasqua, diamoci dentro a combattere gli invasori calorici a partire da oggi, due gennaio. Ieri è passato sui nostri corpi fiaccati da zamponi e lenticchie uno dei nostri più acerrimi nemici in persona, Josef Radetzky. Mentre scartavamo uno dei tanti panettoni aziendali scoprendone nostro malgrado la sua natura contraffatta, ovvero palline di cioccolato al posto di uvetta e canditi, ripieno di una roba al cacao che in confronto la nutella è l’acqua della mozzarella, strato di glassa cioccolatosa solidificata a ricoprire e compattare il tutto, il feldmaresciallo nemico dell’unità italiana marciava tronfio sul nostro colesterolo a colpi di rullante e piatti, con tanto di pubblico austriaco plaudente e telespettatori commossi fuori luogo.

Già, perché anche se Strauss ci fa due maroni con la sua ampollosità e la sua retorica, ogni anno siamo lì in prima fila e con il cuore tra gli archi della filarmonica di Vienna. Anche se in differita. Perché non ditemi che siete di quelli che vedete il concerto dalla Fenice, vero? Quell’inutile rassegna di brani classici messi insieme solo per dimostrare ai mitteleuropei che non siamo meno di loro, che la culla della musica è a sud delle Alpi eccetera eccetera? Un’iniziativa tipica del nostro spirito di rivalsa di cui ci armiamo a sproposito e per le cose che, nel mondo, contano di meno, solo per negare a quelli come me che sono cresciuti con le schermaglie tra direttore d’orchestra e pubblico il piacere dei bei danubi blu ad accompagnare in diretta il pasto del primo dell’anno.

Be’, non so voi, ma a me non importa. Attendo la trasmissione registrata del Concerto di Capodanno da Vienna che va in onda con un’ora di differenza, facendo finta che al di là del Brennero ci sia un fuso orario diverso, e lascio che Radetzky e i suoi soldati calpestino la mia indipendenza dai trigliceridi e soggioghino me e la mia cultura – che è la stessa che lascia allo sfacelo posti unici al mondo come Pompei o consente i parcheggiatori abusivi fuori dalla Valle dei Templi di Agrigento – e almeno mettano definitivamente fine alle festività natalizie, visto che l’annessione alla monarchia asburgica purtroppo è fuori tempo massimo. Prosit.