nemmeno il gusto di essere precari

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Nei punti vendita di una rinomata e very very trendy catena italiana (vietato usare il termine franchising, pussa via) di gelaterie, che comunque, i puristi dell’alimentazione slow food mi perdonino –  ops, ma questa catena fa parte dello slow food? allora non ci capisco più niente, ci si può andare o no? –  fa dei gelati che spaccano, è facile riconoscere il personale in fase di tirocinio. Sul loro grembiule, che si distingue dagli altri, si legge a caratteri cubitali, ma con un font scelto appositamente a sdrammatizzare, “conista in training”. Una specie di P di principiante, ma che suona quasi come una lettera scarlatta di condanna. E che trasmette un chiaro e facile messaggio alla clientela: se un addetto non allinea secondo le guideline aziendali i due gusti ammessi nel cono da due e cinquanta, o ti schizza addosso la cannella durante l’operazione di stesura del velo sulla copertura di panna della granita, puoi dare un’occhiata all’avviso sul suo grembiule e controllare il suo status. Dipendente o stageur? Non sia mai, non è bello per nessuno fare una figura da gelataio davanti a tutti.