padroni a casa nostra

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Oggi faccio sciopero di sponda: le maestre di mia figlia aderiscono a pieno diritto, e questa volta tocca a me – con enorme piacere, anche se a casa mia vige la regola non scritta che chi ha il reddito più basso della coppia deve sacrificarsi agli imprevisti – il turno di baby sitter. In realtà sto lavorando, non proprio in questo momento in cui aggiorno il blog, diciamo che sono in pausa. Uno dei vantaggi del mio lavoro è proprio il poter lavorare da casa: mi basta il pc e il telefono. E c’è un gran dibattito su questo tema, alimentato soprattutto dai produttori ICT che spingono le imprese a adottare sistemi di comunicazione e collaborazione da remoto, in modo tale che un dipendente, da casa, possa usare strumenti e risorse come se fosse in ufficio. E la questione è quanto sia necessario recarsi in ufficio per essere produttivi.

Un tempo avevo colleghi dai quali si imparava sempre qualcosa, che incontravo più o meno ogni giorno in un open space che si chiamava autarchicamente stanzone. Uno spazio in cui a turno ciascuno faceva il dee-jay, poi c’era il popcorn in busta nel forno a microonde, good vibes a profusione e pause come se piovesse, ma il resto del tempo rendeva al cubo. Voglio dire, un’agenzia di creativi deve avere la testa bella libera, no? Poi c’è stato il ricambio generazionale e il principale interlocutore dei nuovi collaboratori è diventato Mark Zuckerberg. Le casse dei pc sono state soppiantante dagli auricolari, nemmeno più collegati all’ipod ma direttamente al telefono mobile (che è una cosa che concettualmente non sposerò mai. Io voglio continuare ad avere un dispositivo per una sua funzione specifica, perché se ne ho uno solo per tutto e mi si guasta, di colpo devo rinunciare alle chiamate, al lettore mp3, alla macchina fotografica e al palmare. Per questo mi porto sempre dietro un pacco di roba, ma ne vale la pena, ve lo assicuro). Intanto è cambiato anche il colore: il rapporto tra elettori centrodestra vs centrosinistra si è ribaltato (seguendo perfettamente il trend nazionale), a discapito peraltro della qualità stessa del lavoro svolto, ed è un dato di fatto che se volete vi dimostro. Per banalizzare, posso dire che è difficile utilizzare uno strumento che necessita di due mani se una è impegnata a fare il saluto romano.

Tutto questo per dire: la produttività è un prodotto esponenziale che scaturisce dalle vibrazioni reciproche, onde che rimbalzano di corpo in corpo e, pur mediate da chi ci ha messo a disposizione il budget per creare, vanno libere a inventare una frase, un nome, una foto, un logo, un jingle, un video. I corpi quindi devono essere lì, cuori che palpitano nella stessa stanza. Perché l’odore non traspira in videoconferenza, e anche l’odore altrui forgia quello che stai facendo e ne ibrida positivamente il risultato finale. L’odore.

Mi direte: sì, roba da Mad Man, era così nel secolo scorso. Già. Talvolta ho l’impressione che tutti usino lo stesso profumo e lo stesso dentifricio. E quando anche l’odore è un franchising, si può lavorare da casa che tanto è lo stesso. Vedersi su skype, il muro incolore dietro, l’effetto lente sui lineamenti, io con la gatta in braccio, l’altro felino al calduccio del tower, e un buon vinile che suona a 33 giri. Se stacco gli occhi dal monitor, però, appena le pupille si adattano allo sbalzo di luminosità, mi guardo intorno ma non vedo nessuno.