oggi inizia l’orario estivo

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Oggi inizia l’orario estivo: quante volte abbiamo letto comunicazioni di questo tipo nelle vetrine piene di luce con tanta gente che lavora e produce un po’ di meno degli standard a cui siamo abituati, anche se certe arie condizionate dovrebbero essere molto più condizionanti sul nostro rendimento anziché limitarsi a distruggere l’ambiente del pianeta. L’orario estivo può essere ridotto per convenzione aziendale o auto-ridotto perché semplicemente non ne abbiamo proprio più voglia e siamo in odore di vacanze. Oppure si allunga se lavorate nel turismo, per esempio se alle undici di sera siete ancora lì a far provare orecchini di artigianato locale alle sciure devastate dall’abbronzatura. Insomma, conveniamo tutti sul fatto che ci sono stagioni di serie A e stagioni di serie B dove non esiterei, se potessi decidere io per tutti, a concentrare tutte le pause che il sistema ci impone di mettere alla nostra vita. Perché avrete capito che ci sono tipi come me che se vanno in stand-by poi non si risvegliano più, come quei sistemi operativi che poi ti sfido a riprendere da dove eri rimasto senza agitare il mouse come un pazzo. Oggi inizia l’orario estivo che non è come quando cambia l’ora e non capisci se è mattina presto e hai già perso il treno perché è stranamente più chiaro, o alle quattro è già buio pesto e vorresti essere con i piedi nelle calze di lana sdraiato sul divano. L’orario estivo è una giustificazione arbitraria al fatto che siamo inadatti all’adattamento, abbiamo un clima continentale dentro di noi che cozza con il clima mediterraneo fuori, o almeno quello che ne rimane. Siamo quelli che con quattordici gradi a ottobre mettiamo guanti e piumone, e con quattordici gradi a marzo facciamo il primo bagno. Dentro di noi invece ci inventiamo queste temperature estreme, sottozero in inverno e quaranta all’ombra a ferragosto anche se è tutto relativo. A Milano è ventilato e si sta da dio proprio quando tutti scappano verso posti dal microclima insopportabile, in riviera ho assistito a giornate con una temperatura percepita siberiana alla faccia dei pensionati che aspettano la bella stagione sul mare. Oggi inizia l’orario estivo e inizia anche per me, anche se non so che farmene e, soprattutto, non ho niente da mettermi.

natale a casa bradford

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Se avete mai visto una di quelle puntate dei vostri telefilm preferiti dedicate al Natale ma le avete viste fuori stagione, sapete che cosa intendo. Telefilm e serie americane sono spesso trasmesse in Italia con una programmazione dettata solo da ragioni di palinsesto, in relazione a quando si rendono disponibili, quando c’è da tirare su audience, o per tappare dei buchi, mentre negli USA o dove vengono prodotte spesso seguono il ciclo della vita degli spettatori per un effetto che noi, che al massimo la sincronizzazione è quella di un posto al sole, non possiamo nemmeno immaginare.

Ricordo episodi di Friends, di ER, addirittura Happy Days, e sapete come gli americani ci danno dentro con certe smancerie da famiglie tv che poi dissacrano nei libri di Roth, Franzen e Moody. Il punto è che vederseli in qualche replica estiva, soprattutto prima quando era facile rimanere naufraghi della tv ancora analogica al caldo di luglio e la pelle delle gambe che si appiccicava al divano in pelle, causa quella specie di jet lag stagionale per cui non sai se aver caldo o freddo, se struggerti per i parenti distanti o alterarti per gli zii impiccioni ancora incollati alla tavola imbandita, se tutto deve ancora iniziare o sta per finire, se fuori è buio e ci sono le illuminazioni che si riflettono sull’asfalto bagnato o se le ragazze passano dirette al mare con le infradito e i pareo.

Ma queste débâcle della percezione si manifestano anche con la semplice fantasia. A me basta una luce rossa riflessa nel vetro di un finestrino per riportare alla memoria un set di casette del presepe in legno molto artigianali che aveva costruito mio nonno. Aveva incollato poi dei minuscoli ritagli di plastica trasparente rossa a copertura di porte e finestre. Le casette, in barba a qualunque legge prospettica, venivano posizionate ai confini di quel villaggio inventato, dove il muschio e la carta con cui si facevano le rocce e la terra lasciavano il posto al tavolino in teak, quasi a riportare alla realtà ogni parvenza di ultraterreno, un triste monito alla illusorietà di quella parentesi di spensieratezza e fasto. Dentro alle casette poi posizionavamo le lucine intermittenti, il cui effetto di calore ti faceva il pieno di scorte di speranza per quegli insulsi mesi a venire.

Tutto questo oggi ha invece  le sembianze di una sensazione di caldo solo a malapena giustificata dal contrasto con l’aria condizionata degli interni e dalle nuvole che si vedono fuori in alto, oltre il vetro dove prima ho visto la luce rossa riflessa, e che trasmettono un barlume di inverno, almeno fino a domattina, dicono che dovrebbe esserci il sole.

vacanze alla pari

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R. ed io ci diamo appuntamento per il giorno dopo, alle 11, in studio di postproduzione. R. è il cliente e la sua presenza, in fase di montaggio delle riprese e assemblaggio contenuti vari, non è indispensabile, ma mi piace coinvolgerlo perché è una delle persone più intelligenti che conosca e, visto che mi è sembrato entusiasta all’idea di partecipare alla produzione, è una buona occasione per fare un po’ di pi-erre. Ma, al telefono, aggiunge che porterà con sé all’appuntamento la sua assistente. R. è un manager, ma non mi risulta che abbia una assistente, il che mi incuriosisce. Può essere un segno che la sua azienda sta andando bene e che, grazie alla ripresa, il suo ottimo lavoro è stato ricompensato con un aiuto in grado di occuparsi delle attività di routine? Vedremo. Io poi mi bevo tutto, sono il perfetto target per scherzi e canzonature, perché penso che la gente parli sempre sul serio, sia onesta, dica la verità. Infatti, il mattino seguente, R. si presenta in studio con sua figlia per mano, una bimba di 8 anni. Già, è luglio, le scuole sono chiuse, e si presenta l’annoso problema comune del periodo estivo che precede le ferie, quelle ufficiali di tutta la famiglia.

E, se vi fermate a pensarci su, c’è davvero qualcosa che non va. Mia figlia ha finito la scuola venerdì 11 giugno e la riprenderà lunedì 12 settembre: i sacrosanti 3 mesi di vacanza, uno dei principali motivi per cui l’infanzia è un momento irripetibile, e ogni volta che mia figlia anela sospirando al suo futuro, o invidia mamma e papà per il fatto che non devono subire angherie dalle maestre mica tanto uniche, la liquido con un “goditela finché sei in tempo”, commento piuttosto grossolano ma efficace. Mamma e papà non possono fare più di 3 settimane di ferie, per via dell’agenzia in cui lavora papà, sostanzialmente, periodo che è bene passare tutti e 3 insieme, visto che per la maggior parte dell’anno ci si vede sì e no 4 ore al giorno svegli. E, più o meno, questa è la media. Restano ben 2 mesi e una settimana in cui occorre trovare un parchegg… ehm, una o più attività per far trascorrere il resto delle vacanze. E un sistema così scombinato è paradossale, ammetto sia ovvio ribadirlo, ma così è.

Molti uffici, anche quelli qui intorno, si riempiono di bambini che accompagnano i genitori al lavoro. Li vedi per mano, con un mini-zainetto Decathlon sulle spalle che contiene, sono pronto a scommetterci, i pennarelli, il pupazzo preferito, i più tecnologici il DS, qualche libro e tutto il necessaire per trascorrere una giornata, direi noiosa, seduti alla scrivania a fianco di mamma o papà, con i colleghi – non tutti – che si alternano a intrattenerli un po’ e rendere la permanenza più sopportabile. L’unica volta in cui ho dovuto far provare tale esperienza a mia figlia, lo stesso giorno sono iniziati alcuni lavori con 2 operai dotati di trapano e lei, era piccolina, si è spaventata. Ciò mi ha fornito un’ottima scusa per rientrare a casa nel giro di due ore. Esperienza finita. Valutazione: negativa.

Ma non esistono solo impiegati. C’è una ragazza addetta alle pulizie, nel palazzo, a furia di incontrarla almeno 3 volte alla settimana abbiamo preso – per mia iniziativa – a salutarci e, da qualche mese, a scambiare qualche parola, il tempo e il più e il meno, niente di che. Ho scritto ragazza perché mi sembrava molto giovane, tuttavia ho scoperto da poco essere già mamma di una bimba di 10 anni. E l’ho scoperto perché, ogni tanto, forse pure lei non ha i nonni sempre disponibili, è costretta a portare la figlia sul posto di lavoro. E così S., la bimba, sta lì in piedi con le braccia conserte ma con il sorriso pronto ad esplodere al mio saluto a osservare la madre che, con grande dignità, come è giusto che sia, lava il cortile interno. Le prime volte, ammetto, mi sono trovato un po’ a disagio. Vorrei dirvi non so perché, ma so di saperlo. Allora, un giorno ho fatto mia la battuta di R., il mio cliente, e da allora quando le incrocio, madre e figlia – e so di essere ripetitivo ma con i bambini esserlo dà molta soddisfazione, perché tutte le volte ridono anche se hanno sentito la stessa battuta o hanno visto lo stesso film centinaia di volte – se l’occasione è propizia, dico “Hey, anche oggi vedo che hai portato la tua assistente”. S. sorride, e la mamma ricambia il saluto, fa un sorriso che dura di meno e riprende il suo lavoro.