mio papà era un baritono e aveva gli occhi grigi

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Mio papà era un baritono e aveva gli occhi grigi, ma se avessi potuto scegliere tra le due eredità genetiche non ho dubbi che le cose sarebbero andate diversamente, anche se gli occhi nocciola poi li ho passati a mia figlia e devo dire che su di lei sono uno spettacolo. Invece è finita che mi sono ritrovato con il suo stesso tono e, a essere sincero, avrei variato leggermente la mia estensione vocale se non altro per non sentire, ogni volta in cui apro bocca, la voce di mio padre uscire da me. Non credo di avere testimonianze di lui che parla per fare un raffronto oggettivo ed è un peccato, avrei dovuto pensarci prima. Sicuramente era presente in qualche registrazione casalinga su musicassetta, sperimentare con queste tecniche era uno dei miei passatempi preferiti da bambino, ma ho fatto piazza pulita dei nastri almeno vent’anni fa. Devo accontentarmi della memoria e, mio malgrado, dei miei interventi nelle conversazioni domestiche. C’è qualche spiegazione scientifica per cui ci troviamo così simili ai nostri genitori tra le mura di casa. Intanto la somiglianza fisica, se è anche il vostro caso. Nei doppi vetri degli infissi, per non parlare degli specchi in bagno e nell’ascensore, osserviamo nostro padre o nostra madre prendere lentamente il sopravvento più si diventa vecchi. E se, come me, siete così riconducibili geneticamente a uno dei due, la voce non è da meno.

A me, poi, viene fatto spesso notare che la forte somiglianza riguarda anche le cose che dico e un certo modo di interpretare la realtà, di vedere le cose. Lo stesso contro cui per anni ho portato avanti la mia campagna di rivolta e distacco, che poi è una cosa che facciamo tutti e serve appunto per trovare un posto per noi nel mondo e un ruolo tra i nostri simili più prossimi. Però poi alla fine per un motivo o per l’altro si torna lì, su quegli esempi che abbiamo avuto sotto gli occhi lungo i primi anni della nostra vita. Il nostro stesso ruolo di genitori attinge a mani basse da quel mondo di esperienze che abbiamo registrato inconsciamente nella nostra memoria e che riguardano le procedure che papà e mamma hanno adottato nei nostri confronti e che, a seconda dell’urgenza delle cose, siamo pronti a ripetere. Il mix dei due fattori, il timbro di voce e le cose che dico, ogni volta mi sorprende tanto che mi viene da voltarmi dietro per vedere se c’è mio padre seduto in poltrona e il bello è che, alla sua assenza, mica mi sono ancora rassegnato.

patrimonio

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Quello che posso dire dell’essere papà è che vuoi l’età, vuoi i freni inibitori che, in conseguenza dell’età, sono un po’ più laschi, vuoi che diresti sempre di sì anche sapendo che bisogna dire di no, sta di fatto che, giusto per farvi un esempio, pur avendo educato mia figlia al meglio dell’offerta musicale disponibile, da Miles Davis ai Clash ai The National passando per la musica italiana più off, alla fine ci troviamo a fermarci in auto sulle stazioni radio con pezzi tipo quello qui sotto che piacciono a lei e così piacciono anche a me, e quando finiscono mi chiede ancora di rimetterlo e ogni volta devo spiegarle che è la radio, che c’è qualcuno che ha scelto per noi, che poi lo riascoltiamo a casa per commuoverci insieme di nuovo. Dai, poteva andarmi peggio.

san giuseppe

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Mio papà quest’anno passerà una festa del papà un po’ diversa, nel senso che temo si renderà parzialmente conto della festa, di chi lo vuole festeggiare, del posto in cui gli verranno fatti gli auguri. Questo a seconda delle condizioni in cui si troverà il 19 marzo prossimo, cosa girerà nella sua testa, se sarà in un momento di lucidità o se sarà attraversato da un banco di nebbia, quello che gli impedisce di raggiungere la sala di controllo e attivare la memoria. Che poi non si renda conto della festa che lo riguarda non è una cosa grave, non è che badiamo molto a celebrare l’ordinarietà e la straordinarietà, è la solita questione che un popolo dovrebbe essere donna, mamma, papà, innamorato o credente o partigiano ogni giorno dell’anno. Ma, tornando a mio padre, è chiaramente un dramma per chi gli vive vicino assistere ai suoi modi di assentarsi. Voler tornare a casa quando in casa ci si trova già, la moglie che diventa la zia materna, la vita domestica che si tramuta d’improvviso in una scena di ordinaria contabilità da seguire in ufficio. Che poi avendo negli ultimi anni circoscritto la sua modalità relazionale allo scherzo e alla battuta, per compensare un malessere che non sto qui a raccontarvi, è ancora più sconcertante perché in quei momenti sembra che ti stia prendendo per il naso. Poi capisci che è un forte segnale di senilità e che il fatto che gli scappi da ridere quando cerchi di riportarlo indietro è doppiamente amaro. Così niente, scrivo questa piccola raccomandazione con qualche giorno di anticipo, una raccomandazione a me stesso di attendere con pazienza il prossimo 19 marzo e trovare l’istante esatto, quello con la luce giusta negli occhi, i suoi occhi, per fargli gli auguri.