quel post che si chiama come un pezzo degli U2

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Sono stato in uno di quei locali dove i ragazzi arrivano in gruppetti da quattro o sei, si siedono intorno a un tavolo dopo aver tolto la giacca e averla appoggiata sullo schienale della sedia, normalmente lasciandosi la sciarpa che non fa mai tutto ‘sto caldo. Quindi, come primo gesto tirano fuori lo smartcoso, lo mettono davanti a sé e cominciano a pigiare sul touchscreen. Sotto sotto c’è il log-in su foursquare, c’è da rispondere a qualcuno su whatsapp, leggere gli ultimi commenti su Facebook, controllare tutti gli altri socialini. Lo spartiacque è il cameriere che viene a prendere le ordinazioni, una distoglie gli occhi dall’iPhone e nota le All Star con il pelo che per lavorare e portare bicchieri e tazze tante ore al chiuso sembra una scelta discutibile. Dopo, ognuno dice la sua, questo serve un po’ da diversivo così i ragazzi si scambiano pareri incrociati sulle cose scelte, questo mi piace questo no, perché altrimenti il massimo dell’interazione sarebbe un consiglio su cosa scaricare, come configurare, quando utilizzare, fammi vedere come hai fatto tu, guarda cosa ha scritto tizio. Stanno così qualche minuto, poi passano a raccontarsi qualcosa sul film che hanno appena visto insieme, poco dopo arrivano le tisane e i caffè, fuori continua a vedersi poco perché al buio si è unita la nebbia. Passa una che conosco, la saluto e il suo accompagnatore si presenta dicendo prima il cognome e poi il nome come si faceva a naja, tra l’altro ha l’accento veneto e mi sembra una delle reclute che ho conosciuto al c.a.r. In una manciata di minuti ho assistito a una cosa modernissima e un’altra che poteva accadere ai tempi di mio nonno, e se voi la leggete vuol dire che ieri, in fondo, è andato tutto bene. Nel mio piccolo mi sono sforzato di non citare Wim Wenders da nessuna parte, negli ultimi giorni, perché va bene “Fino alla fine del mondo”, ma su Paris Texas mi ero quasi addormentato. Ottimo, si è concluso un ciclo, speriamo che quei popoli che abbiamo sterminato nella loro terra fossero dei discutibili calcolatori in eccesso.

credenza, arte povera

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Concedetemi un pizzico di suggestione mediatica, ma non capita anche a voi di notare con crescente frequenza piccoli presagi a supporto del fatto che il mondo sia tutt’altro che vicino alla sua fine, e che in realtà noi sette miliardi di individui o quanti saremo ora meritiamo molto di peggio, e che ciò di peggio che meritiamo non è altro che una convivenza reciproca? Le colonnine delle stronzate dei quotidiani on line danno il massimo, in questo periodo, d’altronde non capita così spesso di perdere una fede nuziale e di trovarsi maritati a una carota. Se avete cliccato, o vi è già capitato di osservare da vicino la foto dei due fortunati svedesi, vi sarà stato possibile cogliere nel loro sguardo una sintesi di questo scorcio di millennio e di quello che ci aspetta. La più veritiera didascalia del presente. Da queste parti, invece, dove si continua a sbirciare tra le attitudini del prossimo in quel limbo di attività cerebrale che è il mezzo di trasporto pubblico, si è appurato un aumento di lettori (il che potrebbe costituire un dato positivo) ma di letteratura o informazione di carattere religioso (dato negativo, pari e patta). E dovete comprendere la sorpresa del sottoscritto nell’assistere all’esecuzione del segno della croce di massa nel punto in cui il passante ferroviario costeggia un cimitero. Dopo decenni di secolarizzazione pervasiva, questo mix di devozione e superstizione può lasciare interdetti. Da una parte ci si imbatte in nuovi cittadini intenti nella lettura al contrario di testi sacri redatti nelle loro lingue da conquistatori, altri che, sempre sul fronte del monoteismo, esercitano una sorta di training avanzato di preparazione alla giornata lavorativa attraverso la preghiera quotidiana, magari sotto forma di app. Ed è l’anomalia di tutto ciò che mette la fregola di raccogliere i segnali, interpretarli, studiarli, capire dove stiamo andando, se sia il caso davvero di anelare a un’inversione di rotta, metaforica o meno. A meno che non si tratti di questo, e vale anche per chi non ha altri apparati di difesa personale che trovare se stesso nella celebrazione di un rito collettivo, l’unico grande auspicio che l’umanità dovrà sforzarsi nel sopportare il prossimo ancora per molto tempo, me compreso.

as we know it

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Abbiamo superato indenni un altro appuntamento con la fine del mondo, e per ora la nuova deadline rimane ancora quella più celebre, schedulata tra poco più di un anno. E niente, la scena che mi immaginavo, per il day after dell’ultima previsione, è di me sopravvissuto con il portatile sottobraccio che giro tra le macerie alla ricerca di un hotspot ancora attivo e una presa elettrica perché nel frattempo il pc si è scaricato, per mettermi in contatto online i sopravvissuti sul pianeta, e magari per scriverci su un bel post. Ma ci saranno elettricità e connettività dopo la tragedia? Diamoci appuntamento, organizziamo un flash mob, rifondiamo il duepuntozero.