anche voi quando un amico di gioventù vi tagga in una foto iniziate a sudare freddo?

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Oggi il mio smartcoso ha ronzato proprio mentre mi mancava una facciata al termine di Incendi di Richard Ford, titolo originale Wildlife, che non so se sapete che sta per essere adattato in una storia per il grande schermo. Il punto è che riesco a capire dall’intensità del rumore prodotto dal mio smartcoso di cosa si tratta. Se sono belle o brutte notizie, se è spam che mi arriva in posta, se ricevo una mail importante (come quella che mi è arrivata il 10 agosto scorso e che per ora rimane un segreto tra me e me) o se mia figlia è stata convocata in squadra per la partita del successivo weekend. E anche se il suono o il ronzio se ho impostato la vibrazione è sempre quello, oggi ho capito subito che qualcuno mi aveva taggato in una foto su Facebook.

Ora, non so voi, ma quando un amico di gioventù mi tagga in una foto inizio a sudare freddo. Già mi immagino ripreso mentre preparo uno spinello con gli amici, o mentre vomito nel vicoletto dietro al Mokambo, o mentre vado al sodo con Lisa sul taxi alle quattro del mattino e il taxista fa finta di niente. E già vedo tutti i miei colleghi, i clienti dell’agenzia in cui lavoro, i genitori degli amici di mia figlia, i parenti di mia moglie, tutti gli amici del social network che decide il bello o il cattivo tempo che mettono la faccina del ribrezzo sotto a quell’effigie di un tempo dissoluto di cui ora non restano nemmeno i capelli.

E anche oggi ho avuto ragione, e la foto era solo apparentemente abbastanza innocua. Una gita in quarta superiore con dietro un notissimo monumento capitolino, io come al solito il più alto rispetto al resto della mia classe tutta femminile – facevo le magistrali -, con il mio trench grigio e la cresta dark punk, immortalato mentre sembra stia cercando di avvisare il fotografo (di cui non ricordo assolutamente l’identità) di attendere qualcuno che vuole presenziare nella foto di gruppo insieme a noi. A noi, appunto, perché il braccio alzato verso l’obiettivo ha tutta l’aria di sembrare un saluto fascista. Ecco, per uno sbilanciatissimo a sinistra come ero io ai tempi, una foto più umiliante di così non poteva capitare. Non esistevano le digitali e non si poteva avere una preview del risultato, e così l’autore l’ha stampata senza pensare a quel significato che, forse, vedo solo io. Avrei preferito, davvero, dovermi vergognare per una canna accesa in mano.

quella che fa una sintesi meno approssimativa dell’anima

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La scelta si è ridotta alle uniche due recenti accettabili, risultato di una cernita laboriosa eseguita non senza la suspense che alla fine non ne riuscissimo a trovare nemmeno una buona. Tolte quelle in cui era troppo giovane, quelle in cui non faceva smorfie, quelle ritratto con abbigliamento da lavoro in campagna o da casa come lo intendeva lui, pigiama con pullover messo rigorosamente al contrario, le fototessere, ne sono rimaste un paio. Un primo piano con il viso appoggiato al dorso della mano che rivelava il sonno imminente della domenica pomeriggio e una in cui papà finalmente guarda in camera, con i capelli tutti per aria ma tanto quella era una costante, però con un bel colorito. Tutte le altre avevano il loro perché ma fuori contesto, come quella con il cappello di paglia che lo ritrae seduto sulla sedia in legno a innaffiare i fagiolini o quell’altra al mio matrimonio, ripresa mentre rovescia una confezione di riso intera in testa di mia moglie. La foto grazie alla quale verrai ricordato per l’eternità mica è facile da scegliere a priori, perché finché si è in quella parte della vita in cui diamo per certo che la cosa non ci riguarda le foto le facciamo per l’immediato. Figuriamoci oggi che si fanno persino con i telefoni e le grandi case produttrici stanno dismettendo le compatte perché piano piano non le compra più nessuno. Volete dire che presto troveremo i selfie stampati e usati sulle lapidi? Perché no. Ma sui mobili del soggiorno degli altri, vi invito a farci caso, può capitare di trovare foto di parenti molto anziani tirati a lucido con il vestito della festa che guardano felici come bambini l’obiettivo, senza immaginare che quella sarà una delle ultime immagini con cui rimarranno nella memoria altrui. Che poi sia la stessa scelta per l’eterno riposo non so, di certo ci danno l’idea di voler arrivare all’appuntamento con la a maiuscola con la migliore presenza possibile. Anche se la morte a volte fa scempio della cura con cui ci siamo sforzati di avere un aspetto dignitoso, alla fine grazie alle mani di esperti ce la caviamo sempre. Per il momento li vedi lì pronti e frementi per farsi prendere in prestito un istante di vita dietro lenti spesse, le mani in grembo, pantofole da casa, ancora fiduciosi come non mai nel domani e nell’oggi, persino con quel mezzo sorriso di chi ne sa più di te su come, da un certo momento in poi, vanno le cose.