hashtag famigliari, il lessico quotidiano ai tempi di Twitter

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Oggi anche a casa siamo duepuntozero e i tempi del “Lessico famigliare” hanno lasciato il posto agli hashtag e ai trend topic anche tra le mura domestiche. In un ambiente che vede la diffusione capillare di superfici touch e dispositivi smart anche le dinamiche genitori-figli e tra le coppie stesse si adattano all’influsso che social network, rete e tecnologia stanno avendo sulle relazioni tra le persone. I professoroni non ne avranno male se dico che Natalia Ginzburg fosse della nostra generazione probabilmente riscriverebbe il suo libro allo stesso modo, ma solo perché sarebbe sempre Natalia Ginzburg e non una celebrità qualsiasi che si affaccia su Twitter, ma noi possiamo sempre approfittare del decennale del socialcoso più laconico del web che si celebra in questi giorni per qualche considerazioni sulla diffusione dell’uso del cancelletto tra le conversazioni della quotidianità.

Sono finiti i tempi di #vaiafareicompiti o #spegnistocazzoditelefonino o #vieniatavolachesifredda perché nelle famiglie always connected non ci sono verifiche o interrogazioni e se qualcosa va storto a scuola è perché gli insegnanti non seguono il passo dei tempi e sono rimaste alle loro LIM novecentesche. Lo smartphone giustamente deve rimanere sempre accesso e in rete e ciascuno può consumare la cena come e quando vuole grazie ai fornelli intelligenti, alle app a microonde e a certe multinazionali dell’e-commerce che consegnano anche l’insalata lavata e condita con i droni nel giro di pochi minuti. Nono solo. Chi è ancora interessato circa il modo in cui passano le giornate i figli può tenere d’occhio i loro profili su Instagram e Facebook grazie ai numerosi tool gratuiti che permettono controlli e reportistica su tutto ciò che avviene, mentre ormai sono passati di moda i sistemi di localizzazione tramite GPS, considerando che tanto i figli stanno sempre da soli e nelle loro camerette.

E finalmente non c’è più spazio per i post-nostalgici. I sentimentaloni possono però ripercorrere i momenti della loro vita che hanno ricevuto più like e commenti ricercando facilmente i termini più intimi nati da quell’intesa analogica che usava una volta prima che la digitalizzazione liberasse finalmente storage anche nei nostri cuori, portando sul cloud pubblico e privato certi stati d’animo obsoleti e ingombranti come l’affetto (a proposito, vi ricordate come rallentava il funzionamento dei nostri sistemi operativi anche senza svuotare la cache di tutte le nostre esperienze con il prossimo?). Io stesso ho dato un’occhiata a certi storify di quando mia figlia era piccola e chiedeva lo stesso cartone animato Disney fino allo sfinimento. Ogni giorno, per settimane se non mesi, voleva rivedere il film animato che la prendeva di più in quel momento, ognuno chiamato con il titolo che gli dava lei. Quindi “La carica dei 101” era #tanticani come il successivo in ordine di preferenza “Lilly e il vagabondo” era #caninuovi fino a #meo (abbreviazione di Romeo) che indicava “Gli aristogatti”. Prendete esempio da me. Ognuno di noi ha tanti piccoli hashtag famigliari da rintracciare con una semplice ricerca nella memoria locale, quella che si estende in una manciata di metri quadrati di superficie calpestabile ma con un amore che, almeno fino a quando ci sarà spazio, sarà infinito quanto Google.

scarpe rosse eppur bisogna andar

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Come dev’essere vestito un papà? Lasciamo la parola ai diretti interessati. Per i figli non esiste un vero e proprio dress code ma ci sono alcuni principi base ai quali i genitori devono attenersi. Camicia azzurra e barba fatta tutti i giorni, specie quando i puntini sulla pelle del mento e delle guance sono grigi. Poi è vietato indossare lo zainetto con il portatile dentro quando si entra dalla prof di italiano per la consegna delle pagelle. Lo zainetto, anche se di marca blasonata e di una foggia piuttosto comune, va lasciato in custodia agli altri genitori che aspettano in fila. Un papà deve avere una ventiquattrore, a quanto sembra. Eppure a chi ha usato la tracolla da dj fino a qualche mese non è mai stata fatta notare l’inadeguatezza. Assolutamente da evitare poi le scarpe di colore rosso, non importa né la marca né il tipo, un articolo verso cui ho un debole che risale ai tempi delle Dr. Martens basse bordeaux, quelle per le quali gli amici ti chiedevano per scherzo se avevi le ciliegie ai piedi. Una passione che ho soddisfatto poi con un paio di sneakers estive talmente belle che le ho distrutte mettendole anche d’inverno, quindi più recentemente con delle Camper mostruosamente grandi che viste con il senno di poi sembrano calzature da clown e sono certo che quelle, dal loro punto di vista, si che farebbero vergognare qualunque figlio. Oggi vedo in giro delle Vans molto tentacolari, nel senso che mi hanno riacceso la passione per le scarpe rosse. Costano un botto ma le sto corteggiando nel carrello di Amazon con la speranza che scendano a un prezzo moralmente accettabile. Il problema, come potete immaginare, è vincere i pregiudizi di mia figlia. Le scarpe rosse sono da adolescente, secondo gli opinion leader a scuola, e tentando di soddisfare questo sfizio temo al contempo di perdere in autorevolezza. A nulla sono serviti i tentativi di giungere a un compromesso. C’è pieno in giro di adulti con delle scarpe talmente assurde che le Vans rosse in confronto sono mocassini da completo business. Ma Geox e Todds rientrano nei canoni della mezza età, quindi pur aberranti non c’è molto da discutere. Aiutatemi quindi a convincere le nuove generazioni coinvolte in questo braccio di ferro sullo stile personale che per quanto possa atteggiarmi da ventenne con le Vans rosse, dentro sono vecchio da tempi non sospetti e che quindi il contrasto con la componente esteriore è solo un tentativo inconscio di liberare il fanciullino che vive sopito in me. Comunque dalla prof di italiano ci sono entrato con lo zainetto Eastpak, un modello tutto grigio e in tela impermeabile lucida che ha anche una sua eleganza, quindi la ragazza ha ben poco da recriminare, e poi conteneva il pc dell’ufficio con quindici anni di lavoro dentro da cui non mi separo mai. Per il resto la pagella è perfetta e anzi, di fronte a un paio di critiche su aspetti migliorabili si è difesa pure con i denti, a dimostrazione che non serve avere i genitori a fianco che sembrano persone serie per farsi le proprie ragioni a dodici anni o giù di lì.

firma qui per un nuovo modello di famiglia #familyday

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Oggi anche io manifesterò a modo mio per la famiglia. Manifesterò per il mio modello di famiglia. Il mio modello di famiglia è diverso dal vostro perché si basa su due genitori che possono essere etero o gay o single o come vogliono. Ma nel mio modello di famiglia i genitori gay o etero o single, con figli naturali, adottati, acquisiti o frutto di una fusione come avviene nelle aziende, sono genitori orizzontali, non verticali. I genitori orizzontali si occupano di tirare su bambini a fasce di età, un po’ come gli insegnanti nella scuola. Ci sono le educatrici del nido, le maestre della primaria, i professori della secondaria inferiore e quelli delle superiori. Così vorrei che i genitori tenessero bambini solo in particolari fasce di età e poi ne prendessero altri e quelli cresciuti li promuovessero ad altri contesti famigliari più adatti. Ogni coppia o genitore single ovviamente deve essere ammesso alla classe di concorso per la quale si candida, e sta ai genitori a mirare al contesto domestico più adatto alle proprie attitudini. Come nella scuola, ogni età ha le sue complessità. Dai pannolini e culetti sporchi all’inverosimile e il latte vomitato in macchina la cui puzza non la togli nemmeno bruciando i sedili all’attesa dei sedicenni di ritorno dalla discoteca in macchina con amici maggiorenni, passando per l’apatia della preadolescenza, i problemi con le frazioni, i pidocchi, i morsi e le malattie esantematiche, sarebbe meglio che la famiglia di qualunque tipo, con arcobaleno o senza, si specializzasse in una categoria educativa dei ragazzi. Certo, c’è il problema che non tutti sarebbero disposti a mettere i propri figli in mano ai vicini di casa specializzati nei ragazzini delle medie magari in cambio di un paio di novenni zucconi magari con nomi del calibro di Maicol, Kevin, Nicholas o Sharon da far crescere dopo un giro pre-scolastico in una famiglia di elettori di centrodestra. Però con un po’ di assestamento si potrebbero ottenere risultati sorprendenti. Ecco, in un modello di famiglia così io ci andrei a nozze (anche gay) perché è da un bel pezzo che ho l’abilitazione e con il massimo dei voti a fare il papà di bambine dai tre agli otto anni. Ho già avuto una bellissima esperienza con una ragazzina che ora è cresciuta e non so che fine abbia fatto e insomma, mi piacerebbe rendermi utile e ripeterla. Dai tre gli otto anni. E la famiglia che ha in carico quella che ho cresciuto io prima e che ora faccio fatica a riconoscere, dovrebbe fare dodici anni tra un paio di settimane, be’ salutatemela, e ditele che il suo papà naturale la ricorda con un amore che non vi sto a dire.

il paradiso delle cose che si comprano per i figli e che poi i figli non useranno mai

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Tra le conseguenze dell’amore che si prova per i figli e che è una roba che ti manda fuori (provare per credere) c’è la tendenza a soddisfarli in qualsiasi capriccio, cosa che peraltro dicono essere un errore pedagogico madornale, di quelli addirittura senza ritorno. Si tirano su mocciosi viziati abituati ad avere tutto – nel limite delle possibilità economiche della famiglia – che poi da grandi sono difficili da mantenere e non ci mettono né uno né due ad accoppare i genitori per accaparrarsi l’eredità e continuare a vivere con lo stesso tenore. Ma mentre su questo tema vi invito a riflettere nel silenzio dei vostri letti matrimoniali, c’è un argomento più urgente visti i tempi di letterine, doni e babbi natale, che è la quantità di beni acquistati per i figli e rimasti intatti e immacolati fino al trasporto alla discarica per il viaggio finale. Cose che capitano abbastanza soventemente.

Proprio perché non hanno bisogno di nulla, il bello della sorpresa è la sorpresa in sé, e questo vale per qualsiasi festa ma anche per regali estemporanei. Dopodiché oggetti, giochi, vestiti, libri illustrati, libri non illustrati, pennarelli, costosi kit per pittori in erba, strumenti musicali, mappamondi, diari dei ricordi, clessidre, telescopi, droni, orologi e qualunque altra cosa non riconducibile alla soddisfazione di un bisogno molto spesso difficilmente esprimibile da parte loro e, anche in caso positivo, altrettanto difficilmente comprensibile da parte nostra, restano inutilizzati nel paradiso delle cose che si comprano per i figli e che poi i figli non useranno mai.

Intanto diamo una giustificazione plausibile, ammesso che esista, al perché facciamo acquisti anche non richiesti per i nostri figli. Ci sono tanto per iniziare certe cose che piacciono principalmente a noi genitori. Ci sono libri con disegni pensati da adulti con il gusto degli adulti, perché poi alla fine sono gli adulti che ci mettono i soldi, e che compriamo malgrado sappiamo già che sono disegni troppo da adulti per i figli e così ci illudiamo che possano piacere ai nostri figli ma chi se ne importa tanto piacciono a noi. Ci sono poi le cose che pensiamo possano essere di loro gradimento perché abbiamo sentito che piacciono ad altri bambini, questo è ancora più grave perché vuoi dire che i nostri figli non li conosciamo abbastanza. Poi ci sono le cose non espressamente richieste che crediamo che i nostri figli riescano ad apprezzare, fino alle cose di cui hanno parlato una volta e nelle quali noi subito abbiamo captato un bisogno che poi alla luce dei fatti risulta equivocato.

Noi genitori del web quindi potremmo unirci e allestire una piattaforma di e-commerce in cui vendere tutta questa roba superflua e praticamente nuova o, anzi, fare del bene regalandola a chi ne ha bisogno. Io per esempio ho: un glockenspiel, un tamburello, una coppia di maracas e una tastierina semi-giocattolo risalenti al periodo in cui pensavo che mia figlia mostrasse qualche interesse alla musica suonata (per fortuna invece no). Ho una collana intera di libri relativi a film che ha visto ma che, avendo prima visto il film, poi non credo abbia mai letto. Un poncho, che nel negozio ha indicato con entusiasmo ma che poi ha indossato una volta sola in quanto poco comodo, per esempio, per andare a scuola con lo zaino in spalla. Due file di led luminosi, uno a forma di cuore e uno a forma di fiore, acquistati per soddisfare il suo desiderio di mettere delle lucine da albero di Natale in stanza ma che se avessimo davvero comprato delle lucine da albero standard anziché i led a forma di fiore e cuore probabilmente avrebbe usato. Almeno tre o quattro giochi da tavolo per consentirle di giocare con le amichette invitate in casa per merenda quando era più piccola, sottovalutando il fatto che la soglia attentiva della generazione Internet alle prese con i vari Forza Quattro o il memory degli animali non supera i venti minuti. Vendo anche al migliore offerente un bellissimo planisfero da appendere e a cui attaccare i magneti di tutti gli stati del mondo, esteticamente molto appagante ma difficilmente utilizzabile dopo il terzo o il quarto completamento, quando anche l’ubicazione dei paesi del sud est asiatico o le repubbliche baltiche non hanno più segreti.

Ecco, è possibile che tutte queste cose non abbiano avuto la loro importanza nella crescita di mia figlia. Magari però, a mia insaputa, mentre era sola in cameretta o di nascosto dal mio essere così ingombrante nella sua vita, ha passato ore a comporre il planisfero magnetico. È stato un regalo – non richiesto – per la pagella alla fine della prima elementare che a mia moglie e me è piaciuto appena l’abbiamo visto ma si sa, i bambini crescono e di certe cose di quando erano piccoli poi ad un certo punto iniziano a vergognarsene.

tutti insieme appassionatamente

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Mia mamma non si ricorda l’ultima volta in cui è stata al cinema. Cioè non è che proprio non si ricorda, dice così come quando si vuole sottolineare il fatto che è trascorsa un’infinità di tempo dall’ultima volta in cui si è fatto qualcosa. Ci tengo a rimarcarlo proprio perché quando si parla di anziani e memoria è sempre bene andare a fondo delle cose. Mi racconta del concerto di Peppino Di Capri a cui ha assistito con mio papà all’Astor – che era un cinema-teatro che non esiste più – quando erano ancora fidanzati e delle serate trascorse da giovane a vedere film nelle sale sature del fumo delle sigarette accese e della puzza dei mozziconi spenti, a questo proposito pensate a come è migliorata la qualità della vita degli esseri umani da quando è stato imposto il divieto di fumo nei luoghi pubblici. Non ci si crede: qualche giorno fa in treno un tizio un po’ spostato si è acceso una sigaretta seduto sui gradini e il flashback è stato devastante: come abbiamo potuto convivere per secoli con tali esalazioni rimane un mistero. E anche i miei genitori fumavano al cinema, ma questo appunto talmente tanti anni fa che mia mamma non si ricorda di avere visto un film sul grande schermo.

Non credo volesse farmi sapere che le piacerebbe essere accompagnata al cinema, perché me l’avrebbe chiesto direttamente e poi da quando mio papà non c’è più è ancora più restia di prima nel mettere il naso fuori di casa. Ma il punto è che mi ha fatto riflettere su quante volte mia moglie ed io abbiamo accompagnato al cinema nostra figlia. Magari mi sbaglio, ma credo che per un bambino vedere un film con i genitori sia un’esperienza divertente. Anche in questo caso, oramai del passato. Mia figlia si spara tutti quei film per adolescenti che vanno di moda ora tipo Hunger Games o Maze Runner e di certo non vuole adulti tra le palle durante la proiezione ma solo amiche fanatiche come lei. Ma prima che i feromoni prendessero il sopravvento ricordo bei momenti passati insieme a vedere cartoni o film intelligenti.

E dato che probabilmente ci comportiamo con i nostri figli come avremmo voluto che i nostri genitori si fossero comportati con noi, o magari invece facciamo così perché loro l’hanno fatto con noi e la cosa ha funzionato, il passaggio successivo della mia riflessione è stato che anch’io non ricordavo l’ultima volta in cui ero stato al cinema con mia mamma e mio papà. Anzi, se proprio devo dirla tutta, secondo me tutti insieme non ci siamo mai andati. Ho ancora vivi nella memoria certi film visti solo con mio papà nel vecchio cinema Verdi del paesino in cui soggiornavamo in estate. Titoli del calibro di “Dove osano le aquile” o “Il corsaro nero” con Tony Renis, giuro, in cui c’è una scena in cui ci sono degli uomini su una scialuppa e uno chiede al personaggio interpretato da Tony Renis “Tu chi sei?” e quello risponde con il suo nome che non ricordo, e mio papà ha gridato “Ma va, tu sei Tony Renis”. Al cinema in città invece abbiamo visto insieme “Lo squalo”, roba che poi ho avuto paura per il resto della mia vita.

Ma la questione aperta è perché non siamo mai andati tutti insieme, loro, io e le mie due sorelle. Forse perché in cinque al cinema era un investimento mica da dopo. Lo facevamo anche noi: a meno di occasioni speciali o proiezioni al cinema parrocchiale, il cartone animato nel multisala a dieci-dodici euro a zucca lo si vedeva in due, non in tre. Fino a quando poi è subentrato l’espediente del film con le amichette, in cui entrano solo i bambini – quindi si paga un biglietto – e i genitori stanno fuori ad aspettare o vanno ad assistere a uno spettacolo più interessante. Forse la formula dei miei era la stessa, forse non era così comune fare le cose tutti insieme, forse andare al cinema era un’occasione speciale e lo si faceva una volta l’anno magari il pomeriggio di Natale e basta.

vuoi iscriverti in una scuola dove si impara il greco antico oppure dove oltre al greco si studia anche latino?

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Mia moglie ed io siamo sul pezzo e quindi ci stiamo già dando da fare per capire cosa c’è là fuori quando tra poco nostra figlia si troverà a dover scegliere che cosa fare dopo le medie, e vi faccio notare due cose anzi tre: 1 – intanto che quando ho inaugurato questo blog aveva sei anni e aveva appena finito la prima elementare e porca vacca se il tempo passa in fretta 2 – che siamo a metà della seconda media quindi ci sarebbe ancora tempo ma secondo entrambi è meglio arrivare al fatidico appuntamento il più informati possibile 3 – quello se lasciar scegliere in autonomia o attuare una sottile strategia di persuasione è un’annosa questione vecchia tanto quanto l’istruzione obbligatoria. Ci sono quelli che si fanno condizionare da mamma e papà e si rovinano la carriera scolastica e poi recriminano ai genitori l’abuso di ingerenza, ci sono quelli che fanno cosa vogliono e si rovinano la carriera professionale e poi recriminano ai genitori l’eccessivo lassismo, ci sono tutti i casi intermedi che azzeccano la scuola, la cannano in pieno, pigliano una sfilza di dieci, ci mettono vent’anni ad arrivare al diploma. Insomma, vada come vada è tutto un colossale terno al lotto. Ma si sa, l’unico modo per non sbagliare è non agire e in certi casi come il passaggio alle superiori non è che ci sia tutto sto spazio per tergiversare. Noi così – di nascosto dalla diretta interessata – abbiamo iniziato questa sorta di scouting grazie al quale speriamo di giungere a un livello di consapevolezza tale in modo da poter contribuire con il nostro parere al futuro della ragazza in questione. La piccola sembra aver già le idee chiare sin d’ora, questo è stato un fattore che ci ha motivato ulteriormente all’azione, e pur non coincidenti con le mie (che dal titolo di questo post avrete capito quali sono) sono comunque degne del massimo rispetto. D’altronde, se le cose resteranno stabili per i prossimi dieci anni, o uno impara un mestiere di quelli che non vuol fare più nessuno, o una scuola preparatoria agli studi universitari vale l’altra. C’è poi quel prezioso sistema di valutazione che si chiama Eduscopio – da poco è stata pubblicata la versione aggiornata al 2015 – dove volendo si possono incrociare le velleità di apprendimento con il valore della struttura a cui ci si vuole rivolgere. Il prossimo sabato, per chiudere il cerchio almeno per ora, approfitteremo degli Open Day di un paio di istituti per capire meglio l’offerta didattica e il contesto. Ma, come vi dicevo, al momento quella del liceo classico sembra un’opzione scartata per diverse ragioni a mio vedere piuttosto superficiali che vanno dall’impegno richiesto ai programmi e attualità del piano di studi. Ma non è detto, c’è tutto il tempo e poi conto sulla collaborazione degli insegnanti che spero indirizzeranno la loro alunna verso un corso di studi in linea con le sue attitudini. Io non mi pronuncio, anche perché la ragazza è tosta e non ha assolutamente l’aria di una che si vuol fare convincere da un matusa retrogrado come me. E voi come vi siete comportati/vi state comportando/vi comporterete?

si torna tutti bambini

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Finita la sbornia emotiva del natale dei bambini gli adulti rientrano nella comfort zone della leggera ebbrezza da feste comandate, quel mix di ferie, pasti in eccesso, soldi buttati via e Carlo Conti su Raiuno a mezzanotte che è un po’ il comune denominatore degli adulti con i figli già troppo grandi per credere a Babbo Natale o Gesù Bambino o chi per esso, per cui risulta superfluo organizzare tutta la messinscena della visita notturna con i doni sotto l’albero e il latte con i biscotti nel punto di ristoro. Che non è affatto meglio, sia ben chiaro. Il momento in cui i bambini crescono è la fine di tutto questo, almeno fino a quando i genitori passano al livello superiore di nonni con nipoti in cui si ha l’ultima occasione di commuoversi con questo genere di cose. Anche i più cinici si lasciano infatti coinvolgere nel vortice del sentimentalismo, io ne so qualcosa: dopo decenni di nichilismo celebrativo, dalla mia adolescenza fino alla vigilia della genitorialità, improvvisamente per i figli si vestono i panni (rossi e con barba posticcia) del più mainstream dei tradizionalismi imposti dal mercato, ma di fronte alla gioia e alla soddisfazione dei bambini qualunque radicalismo passa in secondo piano. E infatti scaduta l’ultima occasione in cui si mette in atto il teatrino della visita notturna con elargizione di beni, tutto rientra nel materialismo adolescenziale dei propri figli che anzi, proprio in voluto contrasto con il passato recente, è ancora più marcato e distruttivo e quindi più insopportabile per gli animi più sensibili. Perché nel frattempo i genitori sono passati dall’altra parte della barricata, tutto sommato l’albero fatto con un certo criterio e la letterina e tutte quelle cose lì non erano niente male e hanno risvegliato un qualcosa di latente in una sorta di rebirthing emotivo, il che significa che quando poi i bimbi crescono e si spezza l’incantesimo dell’infanzia sono i genitori quelli più a rischio di ferite nei sentimenti. Almeno io ci sono rimasto malissimo, è successo l’anno scorso e anche in previsione delle feste che stanno per iniziare mi sento come derubato di qualcosa di bello, avete capito cosa intendo. Festeggiare certe cose tra adulti non dà la stessa soddisfazione, quindi se avete figli sotto i dieci anni, oltre a invidiarvi, vi dico di godervela e di dare il massimo per rendere il tutto più speciale che si può, per loro. Ma so che già lo fate, che siete messi peggio di come ero messo io, e anzi, chi è senza peccato scagli la prima statuina del presepe.

dei padri e delle battute sciocche che fanno i padri

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Non so se avete visto il video di Barack Obama che, durante il discorso tenuto in occasione della cerimonia della grazia al tacchino, ha fatto una battuta, come dicono quelli del Post, “di quelle che fanno i padri mettendo in imbarazzo i figli, ma che alla fine fanno un po’ ridere”. Le battute stupide le facciamo tutti, noi papà, ed è interessante seguire la curva inevitabilmente discendente dell’approvazione dei nostri figli che si incrocia con quella in salita, appunto, della vergogna per un senso dell’umorismo così infantile e inappropriato per un adolescente. Nonostante ciò, noi papà continuiamo a farle perché siamo autoreferenziali, da questo punto di vista, speriamo che prima o poi tutto ritorni come prima e cioè che i figli a un certo punto tornino bambini della materna, cosa che raramente avviene. Ma è bene che sappiate che non si tratta di uno sforzo inutile, quello di tenersi in esercizio con le battute stupide, perché poi i padri magari diventano nonni e anche se l’umorismo cambia con le mode certe stupidaggini non tramontano mai.

Io sono uno dei più autorevoli inventori di battute stupide da fare a tavola, in macchina durante i viaggi lunghi, ora anche via whatsapp direttamente con mia figlia. Questo perché ho avuto un grande maestro che era mio papà. Ecco, lui fin troppo tanto che, quando la demenza senile e poi Alzheimer se lo sono pian piano portato via, teneva conversazioni solo con le stesse freddure ma proprio nel senso delle stesse due o tre ripetute in ogni occasione. Per questo cerco di mettermi un freno e darmi un contegno, non voglio che mia figlia mi creda solo in grado di dire e fare stupidaggini anche se, insomma, la questione è piuttosto borderline.

Ma il punto è che noi papà, ora che abbiamo addirittura Barack Obama come endorser, ci siamo tutti ringalluzziti sul valore sociale e affettivo delle nostre battute stupide. Possiamo andare orgogliosi della nostra stupidità al cospetto delle nostre mogli e far loro notare che il presidente dei presidenti del mondo mondiale, quello di fronte al quale sono pronte a sciogliersi per la sua classe, intelligenza, carisma, fermezza, serietà, impegno, fascino, lui in persona ha detto in occasione della cerimonia della grazia al tacchino una cosa come “il tempo vola, i tacchini no”. Roba che farebbe scompisciare dal ridere qualunque figlio sotto i dieci anni e arrossire dall’imbarazzo qualunque pre-adolescente. Da allora, la mia produttività in termini di battute stupide in casa è aumentata credo del 150%. Le dico, mia moglie mi osserva sorridendo, mia figlia fa la sua solita smorfia di disapprovazione, io rido e ricordo che si tratta di una stupidaggine che avrebbe potuto dire Obama, il presidente degli Stati Uniti forte di un doppio mandato. Noi papà di tutto il mondo, con Barack Obama che ci rappresenta. Stasera, per farvi un esempio, quando saremo a tavola, magari nel bel mezzo di una conversazione del più e del meno, potrò dire a mia moglie e mia figlia che anche oggi c’era nebbia.

nebbia

come riconoscere una donna mai vista prima

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Avevo dimenticato, in tutto questo insieme di eventi che ci stanno ribaltando il concetto di divenire del tempo in una sorta di caduta libera, che da adolescenti o giù di lì si può anche piangere senza un motivo. Anzi, forse è il fatto in sé di non rendersi conto di esserlo che ti induce alle lacrime. Forse a quell’età si prova una sorta di nostalgia dell’uovo di cui si è appena chiusa definitivamente la porta. Come quando esci di casa e hai una di quelle serrature che si aprono solo dall’interno e ti rendi conto che sei senza chiavi e da un parte pensi che tanto non ti sarebbero servite, visto che non devi più rientrare almeno fino a quando non ci sarà qualcuno che ti aprirà dopo aver suonato il campanello. Ci siamo capiti? Resti fuori al freddo, da una parte sei pronto ad allontanarti, dall’altra boh. Di certo se c’è chi ha fatto un buon lavoro là dentro sei sufficientemente coperto e pronto a partire. Tutte metafore, eh. Due sere fa mia figlia tutta vestita di nero, che sarà più o meno una specie di contrappasso in negativo perché chissà cosa pensavano i miei guardandomi, era a cena seduta davanti a me, io e lei soli, e mentre masticava le scendevano dei goccioloni dagli occhi che non vi sto a dire. Aveva i capelli raccolti in uno chignon alto e, davvero, ho visto una donna. Abbiamo parlato, siamo in una fase in cui sono in parte tornato a essere un buon confidente, ma apparentemente non c’era un perché. Una canzone particolarmente forte da un punto di vista emotivo come l’ultimo successo di Adele le ha spianato la strada per un impeto di tristezza. Poi forse l’essere già grande e non trovare ordine dentro di sé – hai ancora tanti di quei anni, cara, per farlo – deve averla confusa al limite. Non è facile trovarsi alla guida della propria vita le prime volte, senza l’istruttore al fianco che ti spinge ad accelerare tanto ha i doppi pedali e alla peggio inchioda e afferra il volante. Non è nemmeno il caso di appiccicarsi una P di principiante stampata sulla schiena, anzi il bello è proprio quello: sperimentare un po’ con i comandi, vedere che succede fino a sentirsi sicuri. Che cosa posso dirti, cara, se non che se c’è un temporale di cose dentro di te che ti bagna la faccia fuori chi se ne importa, puoi venire dentro per asciugarti i vestiti quando vuoi e restare finché c’è bisogno. Ecco, ora è ufficiale: da qualche giorno qui in casa abbiamo un adulto in più.

ce l’avete sempre in mano

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Chiedete pure ad Anna se la mia è una fissazione. Erano appena usciti i Nokia 3210 e già io mi lamentavo di quelli che girano per la strada con il cellulare in mano scrivendo sms e ne avevo una considerazione pessima tanto verso quelli che, agli albori della tecnologia mobile, si mettevano in piazza con ‘sti robi a ostentare le loro possibilità economiche. Con Anna c’era stata una litigata che non vi dico. L’avevo accusata di comportarsi come uno di quei quindicenni che passano il tempo a giocare con Snake, avete presente? Tutto perché camminava al mio fianco e anziché bearsi della mia compagnia si smessaggiava con l’amica. Il fatto era che probabilmente si annoiava con me, come biasimarla. Comunque quella del tenere il telefono sempre in mano è un’abitudine che mi scatena il fastidio perché è anti-estetico e vi fa davvero sembrare dei lobotomizzati. Succede anche nei confronti di mia figlia: esce per incontrarsi con le amiche e, non usando ancora una borsa, si tiene quel coso in mano con il rischio, oltretutto, di perderlo. Ed è proprio lì che volevo arrivare.

Ho appena rinvenuto un Huawei non so che modello ma di quelli grossi. Era incustodito sul sedile del treno in cui ho trovato posto. Il bello è che di fronte c’era già seduta una signora a cui ho chiesto se fosse suo. Mi ha risposto di no, al che ho riflettuto sul comportamento bizzarro. Cosa aspettava a intervenire? Trovi un oggetto di valore su un treno e aspetti che qualcuno se lo prenda? Ho scambiato qualche parola mentre cercavo di risalire all’ultima chiamata, e constatata l’impossibilità di agire a causa del blocco numerico inserito ho capito che la signora non si sentisse molto a suo agio con la tecnologia. L’ho rassicurata sulle mie buone intenzioni circa la restituzione e mi sono anche offerto di lasciarle i miei recapiti, non so l’utilità di questa precauzione ma comunque devo averla convinta.

Dopo un po’ finalmente ha chiamato la madre della proprietaria, una certa Greta che a quanto ho capito studia in un liceo che si trova nel paese a fianco al mio, alla cui stazione è scesa combinando il patatrac. E posso anche immaginare come è andata: il tempo del viaggio passato a spippolare sullo smartcoso in mano e al momento della discesa in tutta fretta il telefono è rimasto lì. Ragazzi miei, abituatevi a tenere il telefono in borsa, o nella tasca della giacca. Si tratta di un oggetto di valore, per di più personale, ancora di più se pensate che non l’avete pagato voi ma i vostri genitori con il frutto del loro lavoro. Se capitasse a me andrei nel panico, ed è per questo che ho rassicurato la mamma di Greta quando ha chiamato dandole nome e numero ed esortandola a chiamarmi per assicurarsi che sono veramente io. E invece boh, non ha più richiamato, si vede che si fida. Il mio egocentrismo va a mille, come potete immaginare, quando compio una buona azione. Non so se sia giusto o sbagliato riempirsi di orgoglio in questi casi, credo che però l’importante sia il fine della cosa, se poi uno lo fa per darsi lustro sul proprio blog son fatti suoi, giusto? Ecco: io il mio ego ce l’ho sempre in mano, come vedete, pronto a metterlo in bella mostra in occasioni come queste. Vi confesso però che quando ho raccolto il Huawei e ho dato un’occhiata alla cover, la scritta “Odio tutti” stampata sul retro mia ha fatto venire voglia di ricambiare il sentimento non restituendolo. Cara Greta, gli slogan sono semplificativi di natura, spero tu possa diventare grande imparando a fare le eccezioni e a tenere il telefono al sicuro dalla tua distrazione.