nuove tecniche che danno il senso della profondità

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Anche se vivo da queste parti da più di dieci anni mi stupisco ancora dell’alternarsi di piani geometrici che le città di pianura e i lunghi viali che le percorrono sanno offrire. La prospettiva nelle belle giornate mi fa restare incantato con il mio nasone all’insù, mi piace percorrere le linee convergenti in tutta la loro lunghezza, facilitato dal contrasto cromatico delle architetture contro il cielo. Poi mi devo arrendere perché laggiù in fondo non si vede più nulla, sapete che con l’età la vista si indebolisce. Non so se c’entra, ma il vigore dei pensieri invece aumenta. Riflettevo proprio oggi su come coincidono i significati di prospettiva nel senso di rappresentazione di uno spazio sul piano e la sua accezione figurata. Vedere le cose in prospettiva, si dice. Gli elementi grandi in primo piano. Quelli che incombono sono i più vicini. Poi tutto si fa via via sempre meno preoccupante, si assottiglia fino a sparire, e le cose restano sullo sfondo quasi irrilevanti, rispetto all’immediato. Almeno per i meno coscienziosi. Disegnare e vedere quello che succede da qui al futuro più o meno è la stessa cosa, è un pensiero elementare ma mi ha dato conforto. Senza contare che in entrambi gli scenari, quello della proiezione matematica e quello dell’eventualità, esiste il concetto dei punti di fuga, quelli che per chi disegna sono spesso fuori dal foglio, per gli altri sono solo dentro, dentro di sé intendo, perché a tornare indietro – provateci – la prospettiva fuori non cambia.