quello che ci lega

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L’elenco del giorno potrebbe essere quello dei partiti o movimenti italiani dell’età repubblicana che non hanno mai deluso i propri elettori, un insieme nullo che fa venire in mente la lista delle squadre di calcio che non sono mai state in serie B, ne parlavo giusto qualche sera fa e ho scoperto che comprende un solo nominativo. Ma tornando alla politica, per un militante idealista convinto come quelli che formano la base storica della Lega, quelli con gli elmetti con le corna e l’acqua dell’ampolla, non dev’essere un bel momento, anche se non sono del tutto convinto che i padani che si sono lasciati abbindolare dalla paccottiglia celtica e dall’alleanza con quell’altro siano gli stessi che negli anni 80 gettavano le basi per un partito separatista del nord. La nostra storia politica è costellata di disillusioni per i motivi più disparati: gli estremisti che lamentano troppa moderazione, i passionali che ce l’hanno su con gli affaristi, i violenti che non vogliono deporre le spranghe, i laici che inorridiscono per la mancata secolarizzazione e così via. E, dagli anni novanta in giù, gli onesti che scoprono di sedersi a fianco dei disonesti. La domanda potrebbe essere quanto abbia senso appartenere a un’organizzazione partitica come abbiamo fatto fino ad ora, e cioè spinti da ideali e perché tutto sommato è bello avere sogni da condividere marciando in corteo con una bandiera in mano. Ma i sogni, se infranti, ci portano ben al di là della frustrazione, e alla fine non votiamo più e morta lì. La disaffezione alla politica, dopo l’ultimo eclatante episodio, subirà una ulteriore impennata. Ci salveremo soltanto diventando tutti quanti elettori tecnici.

berghem

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Quello dal palco arringa alla folla, urla “Padaniaaaaaaaa!”. E la folla risponde “Liberaaaaaa!”. E lui ancora “Padaniaaaaaaaa!”, e la folla di nuovo “Liberaaaaaa!”. La politica riassunta negli slogan fa accapponare la pelle dall’imbarazzo, anche a noi riesce difficile nei cortei cantare a una voce lo spirito comune, perché la sintesi della sintesi della sintesi, alla fine una parola o due, lascia perplessi perché è sempre più distante dalla realtà. Le valli del dio Po, per esempio, sentono la stessa solfa da decenni. “Secessioneeee!” esclamano casalinghe e montanari avvinazzati, giovani idealisti e bikers borchiati e ingilettati, sempre più neri e sempre meno verdi. E a parte gli spokesperson che credono ancora in quello che rimane del Bossi e sono dati in pasto agli inviati dei tiggì, la base è tutta schierata con quelli che sì, va bene la libertà da Roma, ma leviamoci dalle scatole quel puttaniere. Ma la festa dei popoli padani è telegenica ugualmente e il rito dell’ampolla è ancora più retorico dello slogan. Ci vogliono decenni perché una tradizione diventi tale, ci vogliono nonni che raccontino ai nipoti della prima volta in cui venne celebrato il dio Po. Ma nessuno ammette la verità: il cammino intrapreso verso l’autodeterminazione del popolo del Nord ad oggi ha raggiunto solo un importante risultato, il nome in dialetto sui cartelli stradali. Il primo passo è compiuto.