Il vento, venendo in città da lontano, le porta doni inconsueti, di cui s’accorgono solo poche anime sensibili

Standard

Ieri lungo un’elegante strada perpendicolare a viale Molise, che se non siete di Milano (non è un difetto, nemmeno io sono nato qui) è uno degli anelli concentrici a elevato scorrimento intorno al centro città, ho sentito forte e chiaro il profumo dei funghi. Non funghi cotti, come li chiamiamo noi i funghi a funghetto o fritti o anche scottati sulla stufa di ghisa come quella che avevo in campagna. Nemmeno i funghi sott’olio che preparava mia nonna con interminabili giorni di lavorazione, le superfici dei mobili disponibili sgomberate dai suppellettili e sommerse di funghi bolliti e il forte odore dell’aceto. Per non parlare dei funghi da supermercato, quella roba insulsa che la usi per cucinare il sugo ma che non sa di nulla e a mangiarla non dà nessuna soddisfazione. Intendo invece il profumo dei funghi con il gambo piantato saldamente nel sottobosco e la cappella che si mimetizza con le foglie che l’autunno non risparmia a nessun albero, sempreverdi esclusi. Ho attraversato la strada e appena salito sul marciapiede opposto mi è subito arrivato alle narici l’odore inconfondibile dei funghi. Non potevo fermarmi perché i treni non aspettano quelli che si distraggono a cercare i funghi in città, e, a proposito, mi sono sentito subito un po’ come Marcovaldo. Ho dato solo un’occhiata veloce in giro ma di aiuole o strisce di terra non asfaltate dove trovare i funghi urbani non ne ho viste nemmeno mezza. Illusione olfattiva? Reminiscenza proustiana? Oppure ho forse equivocato un odore corporeo di qualche passante dalla discutibile igiene personale? Chissà. La stagione però dovrebbe essere quella giusta, così ho deciso che oggi proverò a cercare con più calma. Vi do appuntamento a dopo la lavanda gastrica.