le dimensioni che contano

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Non c’è fretta alcuna, ma prima o poi dovreste riflettere sul fatto se ci piacciono così tanto le cose in miniatura perché subentra quel fattore ancestrale per cui ci adoperiamo a moltiplicarci e fare bambini, quindi è una sorta di inclinazione naturale che ci porta a bearci nella rappresentazione in scala della realtà. O, viceversa, per soddisfare l’istinto di completezza che ci conferisce il tenere in mano o il conservare in ambienti appositi simulacri di esseri viventi e non, ricerchiamo nella genitorialità proprio il piacere di avere noi stessi ma tascabili, mini-persone da coltivare e crescere secondo la nostra visione di completezza. Nell’uno o nell’altro caso, la frequenza con cui nelle nostre vite ci siamo imbattuti in modellini di navi, soldatini, sorprese di ovetti Kinder, casette delle bambole, piste per auto da corsa e trenini elettrici, bambolotti, droni, Smart, gatti, cani e visite a Italia in miniatura e iniziative analoghe, è la più evidente testimonianza che da qualche parte là dentro, in quella misteriosa materia grigia dove risiedono tutte le cose più inspiegabili della nostra natura, c’è un qualcosa di vitale che favorisce in noi l’attrazione verso ciò su cui per dimensioni possiamo esercitare un controllo, tenere in mano, costringere alla nostra volontà. E più si tratta di un qualcosa di interattivo, semovente, dotato di volontà anche recalcitrante basta che si possa immobilizzare con la forza, tenere in gabbia o guidare anche con controlli automatici meglio è. Se ci pensate bene, ci siamo inventati persino tutta una teoria secondo cui anche noi siamo la creazione di un’entità desiderosa di avere a disposizione una versione ridotta del suo regno, non si sa bene con quale finalità. Questo in un quadro in cui si è sempre una sorta di Big Jim o di Barbie di qualcosa di superiore ma probabilmente dalle stesse proporzioni. E, da questo punto di vista, chi si è inventato l’iper-realtà e la sua rappresentazione per immagini, ecco lì siamo andati davvero contro natura. Spalanchiamo gli occhi di fronte a ciò di familiarmente grosso – doppi sensi a parte – e ci chiediamo dentro di noi come dovrebbe essere la vita quotidiana con tutta quella sostanza da portarsi appresso.