vade feretro

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A me questa faccenda che se fosse capitata qualche giorno prima poteva essere tranquillamente una parodia di “Weekend con il morto” mi ha fatto riflettere innanzitutto sul perché, come sostiene anche Gramellini – notate che ho usato “anche”, scusate l’immodestia, ma vi giuro che ci avevo pensato pure io ieri – le cose dalle nostre parti assumono sempre contorni farseschi. Voglio dire, era abbastanza verosimile che sarebbe emerso il problema di una salma così scomoda. Ora, non dico che uno debba pensarci tutti i giorni, ma insomma sul fatto che prima o poi un centenario per di più boia e nazista avrebbe raggiunto tutte le sue vittime a sessanta e rotti anni di distanza si poteva anche essere proattivi. Magari non noi ma il suo avvocato o chi di competenza, così da sbarazzarsi delle esequie altrove e mettere tutti di fronte al fatto compiuto. Dopodiché posso anche capire che ci sia ancora gente del calibro di Carlo Vichi, il proprietario della Mivar, che mostra con naturalezza il busto del mascellone oggetto della sacrosanta e meritata ostensione retroversa a Piazzale Loreto, ma che nel 2013 siamo ancora qui a leggere dell’esistenza di nazisti pronti a partecipare al funerale di un boia assassino non so. Ma cosa hanno in testa queste persone? Perché nessuno gli ha voluto bene da piccoli? Per non parlare della cronaca degli eventi che ci ha fatto fare i conti anche con la presenza in Santa Romana Ecclesia di personale investito di responsabilità officiante auto-definitosi lefebvriano. Perché il buon Francesco non tira su la cornetta e fa una telefonata anche a questi per fare il punto sul senso della loro presenza nel disegno divino? Ma se proprio uno vuol essere costruttivo e non criticare e basta, ecco la mia soluzione sul cadavere scomodo: gettarlo in discarica e tanti saluti. Con tutto il rispetto per le discariche.

un inglese, un tedesco e un italiano

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In coda per l’ingresso agli Uffizi, una coda lunga, estenuante, di quelle che ti fanno passare la voglia delle gite culturali nei giorni in cui tutti fanno le gite culturali ma, purtroppo, nel tempo organizzato dal sistema socio-economico non ci sono alternative. Ho dietro di me un anziano turista inglese che, probabilmente molto più avvezzo di me alle attese educate, legge il suo libro, controlla lo stato della fila di persone davanti, chiacchiera con la moglie. Mi viene naturale impicciarmi cercando di scambiare qualche battuta con il mio inglese so and so, ma per fortuna il suo italiano è molto più fluente della mia lingua straniera (se non del mio italiano stesso). La ciacola prende corpo, e il mio interlocutore si dimostra persona simpatica e brillante, molto colto e arguto, insomma, l’attesa della visita prende un’altra piega.

Dietro di lui, altrettanto ordinati e pazienti, una famigliola tedesca. Madre, padre, un paio di figli e una nonna. Anche loro chiacchierano, ma il padre ha un tono di voce lievemente sopra la media, ma è comprensibile, deve tenere a bada anche i bimbi che, come è nella loro natura, si annoiano costretti lì tra tanta gente. E ogni volta che il papà parla, noto una smorfia di fastidio nella faccia del mio compagno di coda, l’anziano inglese che stringe gli occhi e corruga la fronte. Lo guardo preoccupato, chiedendo implicitamente una spiegazione. “Ho combattuto contro i tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale, per più di due anni in Europa e anche qui in Italia. Non dimenticherò mai il loro modo di impartire ordini, di rivolgersi agli altri, di parlare con militari e civili”. E a dirla tutta, mentre ascolto la sua difesa, nel mio emisfero ignorante trovo il pregiudizio per cui anche per me il tedesco è la lingua dei nazisti. Sono bastati film, documentari e libri a costruire un ricordo di cose che non ho visto e che non ho subito, e la cosa paradossale è che si tratta di un ricordo ancora troppo vivo. Il turista inglese si sistema il cappellino di tela, con una salvietta si asciuga il sudore, mi fa un cenno come a dire “ora mi passa”, e mentre ora ho attivato l’emisfero razionale, quello in cui c’è Angela Merkel, per esempio, osservo l’uomo tedesco che depone a terra uno zaino e si mette sulle spalle il più piccolo dei suoi figli.