c’è baruffa nell’aria

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A furia di sentir parlare di quell’età dell’oro che è stato il secolo scorso, pur nella sua brevità come asseriva qualcuno, ora siamo sempre più scettici verso i numerosi traghettatori di esperienze dal passato che ci presentano la loro infanzia trascorsa durante la ricostruzione post-bellica, negli anni del boom economico, nei cortei delle contestazioni studentesche, dietro al grilletto di una p38 o sotto le spalline di una giacca spencer come il migliore dei mondi possibili e che da allora nessuno mai più potrà aspirare a tanto. E le cabine a gettoni e la Lambretta e il Commodore 64 e via dicendo. Io sono uno di questi, ovviamente, ma mi nascondo dietro a una narrazione impersonale in modo da non scontentare nessuno, sapete come funziona nell’editoria cialtrona e fai-da-te.

E può rientrare in questo dibattito la presunta scomparsa, con il nuovo millennio, dell’odore degli esercizi commerciali al dettaglio con la loro scomparsa tout court. Già vedo il vostro sistema di ricerca ravanare nell’hard disk della memoria con la query *.madeleine e gli occhi che iniziano a luccicare al ricordo della panna da cinquanta lire con la cannella sopra che compravate con la vostra mamma dalla signora Ines o la torrefazione del signor Gianbattista che con il suo aroma di caffè ogni mattina riempiva le scale del vostro palazzo.

Perché non si sente più il profumo millessenze delle drogherie perché non esistono più le drogherie, almeno dalla mie parti e nell’area metropolitana che a breve qui intorno sarà costituita. Non si sente più l’odore delle botteghe dei ciabattini, perché sono spariti entrambi, sia le botteghe che i ciabattini. E così via. Ci resta un’eredità meno romantica fatta di gelaterie che a Milano e a Perugia e a Catania hanno gli stessi gusti fighi e presidiati che sanno dello stesso gusto, librerie dove al posto della carta si percepisce solo la fragranza dei gadget in plastica, catene di abbigliamento tutte uguali dove prevalgono gli afrori umani durante i saldi e l’asetticità dei tabacchini in cui nessuno può fumare tantomeno gli avventori che imperturbabili perdono le loro fortune al videopoker.

Nei bar solo toast bruciacchiati, al limite solo i ristoranti cinesi non sono mai cambiati e sono rimasti in linea con l’olio utilizzato per la cottura dei cibi, così quando esci di lì è sempre meglio portare tutto in una lavanderia cinese. Tutto il resto è noia e non solo olfattiva, diciamocelo. Pensate a tutte le storie che nella letteratura e nei film sono nate nei negozietti, così li chiamano i più appassionati, e grazie ai loro esercenti prima che la centrocommercialità omologasse i nostri consumi e ci si ricordasse di loro solo per gli scontrini fiscali o, meglio, la loro non emissione. Quelle vicende in cui le commesse delle piccole librerie si innamorano di chi prima li voleva schiacciare sotto il peso di un colosso dell’editoria, o le rivendite di articoli per fumatori frequentate da scrittori e ladruncoli di riviste porno. Per non parlare delle artigiane del cioccolato, lì sì che aromi e amori erano davvero l’uno anagramma dell’altro. Poi vabbé, se volete liquidare il discorso e questi tromboni che ogni prima era sempre meglio di ogni adesso, fategli l’esempio delle pescherie e vedrete tutta la poesia finire lì, con l’alzarsi della saracinesca.