tra le cause principali dell'ipertensione risulta lo stress da assistenza clienti

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Se frequentate persone di una certa età sarete abituati ad assistere a conversazioni su temi relativi alla sfera della salute. La stessa cosa succede per i blog, quindi se avete il tempo dalla vostra parte e gli acciacchi di cui vi dolete sono causati da cose come un eccesso di attività sessuale o certi postumi da bisboccia con gli amici, non me la prendo se chiudete la pagina che raccoglie questo post per cercare qualcosa più in linea con la vostra giovinezza del cazzo. Perché oggi devo assolutamente chiedere un parere a chi, come me, soffre di ipertensione, ha cioè la pressione alta ed è condannato alla pastiglietta ogni giorno per tenere quei dannati valori su livelli normali. Il mio problema è che esco dall’ufficio alla sera e, malgrado la cura, mi sento l’inequivocabile turbine nelle orecchie che mi lancia il suo rumorosissimo segnale d’allarme. Il lavoro mi stressa e non ho capito se, a parte la baby-pensione, ci sia qualche altro rimedio. Ma in verità c’è solo un’altra cosa che mi manda la massima oltre il tetto dei 150: i customer service degli operatori telefonici.

Gli imprevisti relativi alle utenze – ho Fastweb per la linea fissa e Internet a casa, Tre per il contratto voce e dati sullo smartphone di mia figlia (il mio cellulare è aziendale e poi devo dire che non mi ha mai dato alcun problema, è Vodafone) – riescono veramente a mandarmi su tutte le furie ma non si tratta di un’incazzatura vera. È più quel senso di impotenza di fronte ai processi “ignoranti” (nell’accezione di opposto di intelligente o smart) che il mix di informatizzazione cieca e demotivazione umana del personale che ne fa parte rendono i servizi di assistenza la più probabile causa di estinzione del genere umano, ciò che ci porterà giorno dopo giorno sempre più vicini allo scoppio di una guerra termonucleare globale, la quale avrà nell’esasperazione dei consumatori verso questa sorta di impossibilità di ricondurre a valori e significati comuni l’iperuranio in cui vivono i contact center e gli operatori che vi operano la sua più nobile causa.

Ma voi riuscite a immaginare la composizione del servizio clienti che vi sta trasmettendo la musichetta di attesa mentre tutto intorno a voi sta crollando? Un ambiente virtuale composto da tecnologia ubicata nelle nuvole e donne e uomini ammassati con cuffie e microfono in qualche tugurio arredato a loft del sud est asiatico, in fusi orari che fanno due o tre volte il giro del pianeta. Il compromesso tra qualità dei servizi e costi al ribasso è che chiediamo risposte che non ci vengono date, usiamo strumenti che soventemente non funzionano come dovrebbero, auspichiamo tempistiche che la tecnologia ci induce a credere percorribili quando invece dall’altra parte, oltre il muro di gomma da cui speriamo giunga un segnale in grado di contribuire al nostro benessere, le priorità sono bel altre rispetto a darci corta in tempi che noi riteniamo accettabili.

Ogni volta, quando compilo form inviando richieste e nessuno mi dà un cenno, quando ascolto al telefono accenti e cadenze spesso difficilmente interpretabili, quando rifletto su risposte che in realtà non lo sono affatto ma servono solo per ritardare ulteriormente la fine di un problema in modo da aumentare la nostra dipendenza con questa dimensione che non ho ancora capito se è umana, divina, informatica oppure una proiezione delle nostre ansie, la pressione sale e la salute peggiora. Davvero preferisco qualunque cosa, anche a costo di passare ore in piedi a uno sportello per poi avere a che fare con un impiegato cafone e maleducato, l’importante è che sia dal vivo e in carne e ossa. E sono disposto anche a pagare il triplo.