iniziare qualcosa e non poterlo finire

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Un altro anniversario che ricorre in questi giorni del 2012 è il venticinquesimo della pubblicazione di “Strangeways, here we come”, il capitolo conclusivo di una delle esperienze musicali più significative della parte meno oscura degli anni ottanta. Dappertutto si è letto che si tratta del long playing più sofferto, funestato dall’aria di dismissione del gruppo, le tensioni interne, la pressione di scrivere canzoni migliori di quelle incluse negli album precedenti. Vi consiglio un illuminante articolo su Stereogum e la stessa pagina di Wikipedia che raccoglie una completa reportistica piuttosto agiografica del disco con il faccione di Richard Davalos in copertina, che quando lo comprai ero convinto che in realtà si trattasse di Elvis. E mi fa piacere leggere che sia Marr che Morrissey lo considerano il loro album preferito, perché tutto sommato è anche il mio. Non a caso, se mi dicessero di salvare un solo pezzo degli Smiths perché si stanno disintegrando tutti i supporti musicali fisici e virtuali del mondo è c’è spazio solo per una manciata di mega, sceglierei il pezzo qui sotto. E fermatemi se qualcun altro l’ha già detto prima.