gruppi di supporto

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Se nei giorni scorsi avete partecipato a una delle tappe italiane del tour dei Depeche Mode avrete avuto modo di apprezzare gli Algiers, il gruppo che ha aperto il concerto e che non so quante volte ve l’ho detto ma sono una delle band che amo di più, negli ultimi anni. Il primo omonimo disco, pubblicato nel 2015, è una bomba e se ve lo siete persi non vi sto più amico.

Il fatto è che ieri, che era il day-after della data milanese della band di Dave Gahan, ho pubblicato una foto su Facebook del nuovo arrivato nella mia collezione di ellepi che è invece “The underside of power”, il secondo disco degli Algiers uscito un paio di giorni fa. Mi sono visto sorprendentemente notificare una pioggia di like da amici che hanno conosciuto gli Algiers grazie alla loro presenza a San Siro. Qualcuno addirittura sostiene che la loro performance sia stata persino meglio riuscita di quella dei ben più blasonati headliner per una resa superiore dell’impianto di amplificazione o forse perché Dave Gahan era un po’ giù di voce. Non so, io non c’ero e non mi sento di confermare notizie che potrebbero essere fake news, ma ci tengo a sottolineare quanto sia importante la presenza dei gruppi di supporter per i grandi nomi della musica perché preparano l’atmosfera, scaldano i motori delle emozioni e consentono agli spettatori di non annoiarsi. D’altronde, per parafrasare uno di quegli aforismi che i quarantenni copia-incollano sulle jpeg da pubblicare sulle loro pagine Facebook con Biancaneve, Corto Maltese, cuoricini vari e quella specie di cagnolino che vi dà il buongiornissimo, è o non è l’attesa del concerto essa stessa il concerto?

Per non parlare del vantaggio che hanno i gruppi come gli Algiers a preparare il pubblico e fare da apripista a band del calibro dei Depeche Mode, facile immaginare il perché. La storia della musica è piena zeppa di aneddoti curiosi, abbinamenti improbabili, casi di scalette che i più avrebbero preferito al contrario e persino vere e proprie rivolte nei confronti degli organizzatori rei di aver mescolato pericolosamente, per un’interpretazione della musica arbitraria, distante dalla realtà e oltremodo dubbia, fan di estrazione opposta.

Io di questi aneddoti un po’ ne conosco, ora ve li dico e, se avete voglia, mi piacerebbe sentire i vostri. Magari mettiamo insieme una compilation e la intitoliamo “Racconti di supporto”. Intanto c’è l’approccio snob di quelli che vanno ai concerti perché interessati alle band che suonano prima di cui, però, è bene segnalare anche il titanismo con cui si sobbarcano il costo spropositato dei biglietti rispetto all’effettivo valore commerciale dell’apporto artistico dei loro meno noti beniamini. Cristiana, ma forse ve l’avevo già detto, aveva speso un capitale (non aveva certo problemi di soldi) per Marc Almond che suonava prima dei The Cure nell’89. Inutile dire che, al termine dell’ultimo bis di Mr. Tainted Love, Cristiana ha girato i tacchi e se ne è uscita dal Palasport di Torino. Io ho vissuto un’esperienza simile per vedere i Soundgarden ai tempi di Badmotorfinger, in tour con i Faith No More e tutto il baraccone dei Guns N’ Roses, ma devo confessare che – da buon ligure – non me la sono sentita di uscire prima, con quello che avevo pagato il biglietto. E, a proposito di Slash e compagnia bella, ho letto che da qualche parte in Polonia suonano dopo i Killing Joke che, a dirla tutta, non è che insieme si azzecchino molto. Provate a mixare in sequenza “Love like blood” con “Paradise City” e poi ne parliamo.

Nel mio piccolo, poi, cerco sempre di documentarmi sui supporter presenti ai concerti a cui partecipo. Facendo così tanti anni fa ho scoperto piacevolmente i Bloc Party che suonavano prima degli Interpol, mentre al loro concerto successivo ancora a Milano (gli Interpol li ho visti diverse volte) una parte del pubblico si è indignata perché avevano come gruppo supporter i Blonde Redhead, effettivamente con più carriera alle spalle della band di Paul Banks anche se, onestamente, se non fosse stato per il fascino della cantante giapponese alle canzoni dei Blonde Redhead avrei sbadigliato tutto il tempo. Gli Interpol poi anni dopo hanno suonato prima degli U2 a Roma, quello è stato sicuramente un buon trampolino. È stato invece molto rispettoso malgrado la gerarchia imposta dagli organizzatori della serata Bryce Dessner dei The National, salito sul palco dopo Johnny Marr e annunciando di essere onorato di condividere il concerto con l’ex membro degli Smiths grazie al quale aveva iniziato a suonare la chitarra.

È curioso e interessante, in genere, andarsi a spulciare la gavetta degli esordi di certi artisti che poi hanno avuto grande successo. I Simple Minds nell’81 o giù di lì aprivano i concerti di Peter Gabriel, mentre i Talking Heads all’inizio della loro carriera suonavano prima dei Ramones. Anche in Italia abbiamo episodi simili: la popstar Raf, quando era il frontman dei Cafè Caracas accompagnato alla chitarra da Ghigo Renzulli, aveva avuto il difficile compito di cantare prima dei Clash a Bologna nell’80. Era già notissimo in Italia invece Pino Daniele quando ha avuto l’onore di fare da supporto a Bob Marley a San Siro, pensate un po’, per non parlare di Peppino Di Capri che ha svolto la stessa funzione per i Beatles.

Per quanto riguarda la mia esperienza diretta ho solo un paio di cose da ricordare, e leggendo i nomi degli artisti con cui ho condiviso il palco è facile intuire l’importanza dei concerti e dei gruppi stessi in cui ho militato. Posso citare Neffa ai tempi di “Aspettando il sole”, non vi dico i profumi che si respiravano in camerino quella sera, gli Africa Unite e il loro tastierista Madaski che mi ha concesso l’uso del suo mixer di palco per la mia strumentazione, e infine un esordiente Roy Paci in forza alla sezione fiati di Persiana Jones (nientepopodimeno) che si è prodigato in consigli tecnici al mio trombettista di allora. Aneddoti di un certo livello, insomma.