mortacci tua, che caffé

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Gli spot della Lavazza in paradiso vanno avanti da un po’, quanto sarà? Dieci anni? Quindici? No, quasi venti. Scopro sul sito Lavazza che la campagna con San Pietro è in onda dal 1995, che longevità. Se non ricordo male, anche la serie di spot precedenti con Nino Manfredi era stata mantenuta a lungo, ve la ricordate? Certo, la caratura dei protagonisti è sensibilmente diversa, nel frattempo l’Italia è cambiata e sono cambiati anche i consumatori di caffè. O per lo meno siamo tutti di bocca più buona, soprattutto per la soglia critica sulla qualità televisiva. Sarà per questo che dopo tutto questo tempo solo ieri sera ho pensato che io di prendere il caffè con un morto, anche se ciò ridurrebbe sensibilmente i miei gradi di separazione da un apostolo, non è che abbia tutta questa fretta, a meno che non sia l’anima dell’animaccia di quella sagoma di Bonolis o del suo compare o di quello con la barba che interpreta lo spot ora a venire a trovarmi. Be’, ripensandoci, il caffè non sarebbe un piacere proprio per nulla, nemmeno così.

come prima più di prima

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Che l’estate in alcune aree urbane metta in mostra in tutto il suo squallore l’oscenità ambientale e umana è un dato di fatto che chiunque di noi può riscontrare cimentandosi nella visita di quartieri, strade, ma anche luoghi più consoni alla stagione. Con il caldo si liberano tutti i cattivi odori di cui muri e asfalto sono intrisi e a cui durante l’anno nessuno ci fa caso, forse solo perché il freddo ci trasmette igiene e asetticità, mentre con il caldo si diffondono germi e il cibo si guasta. Un quadro che può essere traslato anche in senso metaforico. La Rai che, avendo perso ogni vantaggio competitivo con le tv commerciali e quelle a pagamento, si gioca il tutto per tutto e con crescente difficoltà attraverso gli unici programmi di cui nessun’altra emittente è provvista, ovvero la nostra storia, la nostra cultura e la società in bianco e nero che si è evoluta in colore in trent’anni di monopolio televisivo. E ogni estate ci ripropone l’Italia dei nostri nonni e genitori tutta tagliuzzata e montata con il filtro romantico che la lontananza temporale da allora ha messo a punto. Quante volte ci siamo sorpresi a dire che non ci sono più i varietà di una volta, i comici di una volta, i balletti e le canzoni e i contenitori di tutto ciò. Ebbene, non so quale sia il criterio di selezione degli sketch, forse l’obiettivo è proprio quello di non evidenziare lo iato tra due società molto diverse e tra quello che comporta la visione di un Valter Chiari rispetto a un Panariello e quindi la parola d’ordine è non far prendere coscienza del livello in cui ci troviamo. Ma poi alla fine scopri quei blobboni acritici in primissima serata, come Techetechetè, e pensi che non è vero che è ci siamo ridotti così a causa dell’estetica e dell’etica Mediaset, ma che eravamo un popolo di sottosviluppati anche prima.

un popolo di comparse

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Quando, nel 2011, vedo i passanti fermarsi dietro gli inviati dei telegiornali per strada, prendere il telefonino e chiamare la zia o la nonna per avvertire che sono in tv. Quando vedo grandi e piccini mettersi sotto le luci, davanti alle telecamere e ai monitor per guardarsi come vengono in trasmissione e fare ciaociao con la manina, fare le facce. Quando, nell’epoca di youtube e della democratizzazione del protagonismo tramite la rete e la diffusione delle immagini private a sproposito vedo persone che subiscono il fascino di un canale, quello televisivo, che fa fatica a sopravvivere a tutto il resto, penso che proprio non ci sia più nessuna speranza.