poi uno si chiede perché ci si affeziona a un computer

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Questa cosa l’avrei dovuta scrivere ieri l’altro perché parlare di rabbia quando la rabbia ti scende non vale. C’è il primato della ragione sul sentimento e così finisci per banalizzare tutto con qualche passata di quell’intonaco che è la maturità, l’essere adulto e grande, il dare il giusto peso a quello che ti succede. Prendere a pugni qualcosa senza cattiveria fa male solo alle nocche. Le tue, naturalmente. E infatti ora che ci ripenso potrei tranquillamente chiudere il post qui, metterlo tra le bozze e aspettare di incavolarmi di nuovo per una ragione così e riciclare questo incipit che può andar bene per altre occasioni e sfoghi più sentiti. Ma no, andiamo fino in fondo e vediamo che cosa ne esce, anche se il passo più difficile è descrivere quella roba che ti senti dentro quando subisci un torto, un affronto personale. Quando qualcuno ti raggira e non te ne rendi conto subito, cioè avverti che ci sono tutti i presupposti di una fregatura ma ti senti ipnotizzato come quegli anziani che leggi sui giornali da parrucchieri o nella cronaca locale sui quotidiani di provincia abbandonati nei bar sul bancone dei gelati. I pensionati che cadono nelle grinfie di illusionisti del crimine, poteri occulti e malvagi che convincono i più deboli a fare cose come intestargli i loro beni o firmare assegni in bianco. Ti senti un misto di trance e orgoglio di non voler ammettere che il genere umano fondamentalmente è una merda perché anche tu ne fai parte e non vuoi darla vinta. Che non è come prendere un schiaffo che ti brucia subito, ma è come bere un calice di veleno e passare il tempo ad assistere al male che in diretta prende possesso di te.

A me per esempio inizia a battere il cuore all’impazzata perché acquisto la consapevolezza che la rabbia che sale non avrà mai sfogo con il diretto interessato, e rivivere nella mente tutte le varianti di come sarebbero andate le cose se fossi stato meno ciula, mai termine fu più appropriato, fa aumentare ancora di più quella febbre di mancata giustizia. Si tratta di un’implosione contenuta che causa crolli di pareti dentro, un tremito che parte dalle fondamenta e ti fa rovinare addosso tutti i piani della tua personalità ma è come se si trattasse di un esperimento controllato, dentro una teca di vetro anti-tutto che non fa percepire all’esterno nulla se non un tonfo sordo come quando ti cade il Castiglioni-Mariotti sulla moquette.

Poi ripensi al conoscente che ti aveva chiesto diecimila lire tanto ci vediamo sempre in giro e poi non lo vedi mai più perché si è trasferito altrove e ha chiesto a tutti i conoscenti diecimila lire tanto ci vediamo in giro. O cose più grosse come quella volta in cui tua sorella e tuo cognato ti hanno chiesto di firmare un mutuo con la comune casa di campagna come garanzia tanto non succederà mai che smetteremo di pagarlo e poi invece succede che non lo pagano più e così capisci che essere fratelli non è che ci si vuole bene per forza. Sessantamila euro perduti come lacrime nella pioggia. Minchia. Oppure, ed è successo proprio ieri l’altro, un tizio di una società concorrente che con un abile stratagemma ti soffia un lavoretto – pagato da morti di fame, eh – e ti fa anche tutta la scenetta preparatoria al telefono. Una società che ha un nome che ricorda i servizi professionali, ma che di professionale ha solo il modo in cui raggira il prossimo. Così ti guardi intorno e ti chiedi tutta questa rabbia, allora, dove è finita. No, ferma tutto, ecco, vedi, lo sapevo, non sta in piedi. Questo post è meglio pubblicarlo un’altra volta.