amarsi, un po’

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Le giornate campali in cui si mette in discussione tutto le senti arrivare dalla notte prima, perché si dorme poco e male, fa troppo caldo sotto il piumone invernale che è ancora lì visto che fino a nemmeno sette giorni fa c’era la neve e ci si alza sudati a bere una volta, poi per andare in bagno, poi a bere una seconda volta e alla fine un’ora buona prima della sveglia si è già con gli occhi spalancati e si inizia di buon mattino a mettere in discussione tutto. Poi ti prepari ed esci e le strade sembrano deserte, il che è anomalo, cosa c’è di diverso da ieri alla stessa ora? Vuoi forse farmi credere che anche gli altri hanno pensato di mettere in discussione tutto? Anzi, magari sono già arrivati a una conclusione prima di te, sono così determinati da aver deciso di passarsi al setaccio, punto per punto. L’ordine del giorno? Cos’è che sto andando a fare in ufficio, cos’è questa schiavitù della routine, basta con le code in automobile, perché non ho mai fatto in modo affinché sia tutto diverso. La cosa strana è che i pendolari che normalmente stanziano ordinati e silenziosi nella remissiva sopportazione dell’ennesimo ritardo li vedi ridiscendere le scale e fuoriuscire dal sottopassaggio. Hei dove state andando tutti quanti? Il treno sta per arrivare, ma siete ammattiti tutti d’un colpo? Chi è che sobilla, ci si chiede. I gruppetti che viaggiano quotidianamente insieme si sparpagliano e, come tutti, spariscono in fretta e in furia. E allora comprendi anche il perché l’ingresso della scuola era stranamente poco popolato, altro che riunione sindacale. Genitori, insegnanti e figli, anche loro sono stati assaliti dalle grandi domande.

Così è ufficiale, ecco dove volevano portarti tutti i segni premonitori, nulla è come sembra, tutto dev’essere messo in discussione. E ti chiedi da dove iniziare. Ma certo, comincia da quello che fai. Sei convinto di saper comunicare, vero? Ma guarda, bbbello, – senti la voce insolente del tamarro di periferia che c’è in te, la tua coscienza ha fatto le scuole a Quarto Oggiaro – guarda bbbello che la tua non è mica arte, bbbello, devi solo saper convincere, devi indurre gli altri a comprare. Che parole usi per aumentare le vendite delle aziende che si affidano a te? Pensi che sia sufficiente scrivere per comunicare? Non devi mettere te stesso, devi pensare come penserebbe chi sta dall’altra parte con i soldi alla mano, a loro non interessa leggere e sorridere della tua arguzia. La pubblicità è qualcosa di più, o per lo meno qualcosa di diverso. Tu non sei un copy, se solo un giornalista mancato. Ecco, a quel punto hai fatto il tuo dovere, hai celebrato degnamente la giornata del mettersi in discussione con tutta la durezza necessaria per infierire al meglio sulla tua autostima, nel frattempo le cose fuori si sono normalizzate. Qualche auto si è mossa e qualche travet è ricomparso con il suo best seller in mano, tutto sta riprendendo come se un domani ci fosse veramente e ognuno dovesse tornare a ricoprire il ruolo che, nella propria esistenza, conduce da sempre. E tutto perché non ci si vuole bene abbastanza, non si è mai abbastanza teneri con sé stessi. Certo, se la vita fosse una canzone di Otis Redding, tutto sarebbe più semplice.

prova con un po’ di tenerezza

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I bambini poveri, nelle favole di Natale, stanziano con gli occhi imploranti e le facce appiccicate alle vetrine delle botteghe di dolciumi e di giocattoli, osservando sognanti i vari Ebezener Scrooge (redenti) del caso acquistare questo e quello fino a quando il commesso più antipatico, infastiditosi, li caccia via. Poi i bimbi crescono e alcuni di essi, nel periodo natalizio, proprio quando aumenta un po’ ovunque – forse a causa di un meccanismo pseudo-pavloviano – la bramosia da acquisto, tengono un analogo comportamento fuori e dentro i negozi di libri, dischi e strumenti musicali. Ma in realtà questa sorta di “consumo interrotto” viene esercitata durante tutto l’anno, è che in prossimità delle feste il contesto rende tutto più drammatico e, per chi passa di lì, è più facile farci caso. Perché quei ragazzini già durante l’anno, a furia di stazionare nelle librerie e nei negozi di musica, sono riusciti a entrare nelle grazie di proprietari e lavoranti in un modo un po’ strumentale, tanto che a furia di vederseli lì, ogni pomeriggio a esplorare scaffali, tirare fuori volumi o vinili da copertine colorate, chiedere di provare questo o quell’altro synth senza poi acquistare nulla, sono diventati di casa, una forma di affido educativo parziale, solo per il tempo libero, che però mai favorisce i sentimenti più profondi tanto da indurre il proprietario o il commesso amico a fare un regalino come forma di ringraziamento per una così assidua presenza, anche perché la semplice presenza non consente affari di alcuna sorta e non aumenta gli introiti dell’esercizio nemmeno di un centesimo. Il mondo funziona così, purtroppo. Ma la passione di quei giovanissimi clienti solo in potenza, mai in atto, poi cresce e in loro si manifesta il desiderio di percorrere quella stessa strada professionale. Chissà, pensano, un giorno potrei avviare una libreria, rilevare questo negozio di dischi o vendere strumenti musicali. Per fortuna poi cambiano idea, altrimenti, visti i tempi che corrono, sarebbero già sul lastrico. Ma non mancano le testimonianze di come potrebbe essere stata, per esempio, una bottega di vinile di culto se uno di quei mocciosetti perditempo avesse testardamente perseguito il suo sogno nel cassetto.