Matt Berninger – Serpentine Prison

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Matt Berninger è la voce dei The National, e i The National sono il corpo di Matt Berninger. Ecco perché “Serpentine Prison” è un disco a metà. Un album che, nella versione completa, sarebbe stato un nuovo bel disco di una band compatta che auspichiamo non si disgreghi mai.

Dovremmo boicottare i cantanti dei nostri gruppi preferiti che fanno i dischi da soli. O, meglio, se fanno dischi da solisti che avrebbero potuto fare, senza difficoltà, insieme al nostro gruppo preferito.

E dei cantanti dei nostri gruppi preferiti non dovremmo comprare i dischi da solisti perché contribuiremmo ad alimentare i loro sogni secessionisti, la visione egoriferita della one-man band e la consapevolezza del fatto che i cantanti dei nostri gruppi preferiti hanno avuto l’opportunità di fare un disco da solista solo grazie al nostro gruppo preferito che li ha condotti lì dove sono. A pubblicare un disco solista che, di riffa o di raffa, potrebbe costituire il primo di una nuova carriera senza il resto della band.

Una legge naturale che giustifica il motivo per cui ho procrastinato fino al tempo limite la recensione di “Serpentine Prison” di Matt Berninger, primo album solista dell’inconfondibile voce dei The National nonché cantante di uno dei miei gruppi preferiti.

Ho tirato alle lunghe per non ammettere che è un disco che ho prenotato su Amazon diversi mesi prima dell’uscita. Che ho anelato evitando gli spoiler dei singoli usciti nell’attesa, per godermelo nel suo insieme. Che ho decantato con parenti, amici e conoscenti e, sui social, persino con gente mai vista, senza averne ascoltato una sola nota. “A ottobre esce il disco solista di Matt Berninger”, scrivevo e dicevo a tutti cercando di dissimulare il fatto di non aver ancora capito se la cosa mi facesse sentire felice oppure no.

Poi il disco mi è stato recapitato da un corriere con la mascherina, come tutti i corrieri di questi tempi. Ho gettato il cartone dell’imballo e ho lavato accuratamente le mani prima di mettere il lato A sul piatto del giradischi. Ho lasciato che la puntina atterrasse sul vinile immacolato, ho contato fino a tre e poi la musica è iniziata e c’eravamo solo io e Matt Berninger. Matt Berninger e me. E nient’altro.

“My Eyes Are T-Shirt” passa in fretta, è uno di quei brani-ponte un po’ acustici che nei dischi dei The National portano da una canzone perfetta a quella dopo, altrettanto eccellente. Probabilmente “Serpentine Prison” – penso io – è stato previsto con un’introduzione di riscaldamento, una formula di warm-up per entrare nel vivo del disco.

Che strano, però. Anche “Distant Axis” è un po’ così. Una canzone dei The National un po’ più The National di quella di prima, di quelle in cui, dal vivo, i gemelli Dessner suonano con la chitarra in aria. Ma anche “One More Second” è una ballad dei The National in versione unplugged, come quelle che chiudono i live come “Vanderlyle Crybaby Geeks”, da suonare a tu per tu con il pubblico e a microfoni spenti. E comunque la cosa si ripete persino con “Loved So Little” e “Silver Springs”. A questo punto capisco tutto e mi precipito a trovare anche l’archetipo di quello che seguirà. “Oh Dearie”, “Take Me Out of Town” – che ha persino una di quelle sezioni fiati dei The National che mi piacciono tanto -, la suadente “Collar Of Your Shirt” e la più nationalista di questo disco, “All For Nothing”, fino all’ultima traccia, quella che dà addirittura il titolo al concept. A quel punto il disco finisce e mi trovo a trarre delle conclusioni.

Così mi faccio coraggio. Dove sono tutte le idee innovative che hanno spinto Matt Berninger ad avviare un progetto autonomo? Qual è il punto di non ritorno, quello che induce chi in musica vuole mettersi in proprio a fare cose per sfogare la componente artistica precedentemente repressa dal resto della band? Qual è la narrazione, quali sono i suoni e le atmosfere libere che gli altri dei The National avrebbero ridotto a una visione da branco, durante quel rito in cui, spinti da fame compositiva condivisa, i membri di un complesso stanano la preda creativa per sbranare l’ispirazione individuale?

Non ci sono scuse. “Serpentine Prison” è il nuovo disco dei The National, solo che senza i The National suona un po’ sottotono e ripetitivo. Una specie di demo composta da Matt Berninger nella sua cameretta, una versione provvisoria da portare al resto della band per dare la forma che i pezzi dei The National meritano grazie all’estro dei gemelli Dessner e a una sezione ritmica unica, nell’universo dell’indie rock. Un disco la cui copertina è molto più bella di quello che contiene, con i mocassini senza calzini che si intonano alla giacca e la posa mentre Matt si gratta l’orecchio, un cliché dell’indie rock. E lo so. Parlo come un uomo tradito, un amante deluso, un innamorato geloso. Ed è per questo che dovremmo boicottare “Serpentine Prison” di Matt Berninger.

Dovremmo boicottarlo, ma sarebbe una stupidaggine. Vai, Matt, anche questa volta il tuo timbro baritonale, il tuo approccio al songwriting, il tuo stile indie-snob hanno colto nel segno. Il disco l’ho comprato e l’avrei comprato anche se avessi ascoltato i singoli usciti prima, come comprerò qualunque cosa deciderai di registrare con chiunque. D’ora in poi, e per sempre.

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