tieni, asciugati gli occhi

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Offrire un fazzoletto a una persona che piange è un gesto davvero d’effetto e di una nobiltà senza eguali. Non so se vi sia mai capitato di assistere a un episodio di questa gentilezza estrema in cui la commozione di chi necessita di asciugare le lacrime si fonde con la pena di chi interviene con la propria consolazione per toccare poi il cuore di chi è spettatore della scena. Che poi nei film il fazzoletto proviene dal taschino di qualche galantuomo o dalla pochette da sera dell’amica di chi si lascia soverchiare dalla disperazione. Ne ho visto recentemente protagonista proprio uno di seta nera, pensate un po’, che se l’avessero dato a me ci avrei pensato due volte prima di usarlo magari soffiandoci pure il naso dentro. La dicotomia tra stoffa e carta è d’altronde uno dei temi più divisivi tra le persone. Ci sono le fazioni usa e getta e quella dell’usa e lava e riusa, demagogia contro ecologia anche nei pannolini, salviette, tovaglioli, carta da cucina e molto altro. Ma sempre più vi capiterà di affondare la vostra mestizia in due veli leggeri e monouso, prima sotto gli occhi e poi ai lati, nell’imbarazzo di aver scelto di far passare allo stato liquido i propri sentimenti e lasciar piovere emozioni che magari non sapevi nemmeno più di avere lì. A me è capitato qualche giorno fa, quando è mancato mio papà. Seduto con un parroco cingalese che parlava di lui come se fossero stati vecchi amici in vita, ho sentito il silenzio al profumo di incenso e fiori che ha liberato qualcosa. E io, che non piango mai anche se vorrei farlo spesso e non avete idea di quante occasioni in cui vorrei aprire i rubinetti, ho accettato di essere stato colto in quel dolore transitorio. Mia moglie mi ha passato un Kleenex di Peppa Pig, ho fatto quello che dovevo fare e poi l’ho appallottolato sotto la manica del golf di cotone, come se fosse necessario tenere una prova casomai qualcuno mi avesse chiesto come mi sentivo.

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